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La manipolazione secondo Demme

di Federico Ferrone
  Denzel Washington
Data di pubblicazione su web 04/09/2004  
Nel 1962, per la prima versione cinematografica di The Manchurian Candidate (Va' e uccidi il titolo italiano), John Frankenheimer aveva a disposizione, oltre al racconto di Richard Condon, tutto l'allora attualissimo campionario di paranoie e teorie del complotto da piena Guerra Fredda. Si era da poco entrati nel post-Maccartismo, il che permise a Frankenheimer di inserire anche elementi ispirati al clima di caccia alle streghe senza rischiare l'esilio (sebbene il film fu praticamente invisibile tra il '64 e l'88). Storia fanta-politica su un complotto ordito da sovietici ed elementi repubblicani per sovvertire la politica americana, The Manchurian Candidate rimane un capolavoro di tutto il cinema sullo scontro tra i due blocchi rivali e sulla paranoia del doppio gioco est-ovest.

A differenza dell'originale, che cominciava con la guerra di Corea, l'antefatto di questa nuova versione risale al 1991, durante la prima Guerra del Golfo. In Kuwait la divisione del comandante Bennett Marco (Denzel Washington, nel ruolo che fu di Frank Sinatra) è assaltata da dei ribelli. Due soldati americani muoiono ma grazie al temerario Raymond Shaw (Liev Schrieber), la pattuglia è messa in salvo e questi decorato della Medaglia d'onore, massimo riconoscimento militare in America. Dieci anni dopo Raymond, eroe di guerra e rampollo di una grande dinastia di politici americani, è pronto al grande salto candidandosi come vice-presidente, spinto dal suo partito e da una potentissima società privata, la Manchurian Corporation. Nel frattempo gli uomini della divisione di Marco sono tutti preda di incubi cronici e affetti da crisi di follia. E' solo la sindrome del Golfo, o c'è sotto un gigantesco complotto politico che utilizza una tecnologia capace di agire sulla volontà delle persone? Meglio non svelare troppo, se non che il film è la storia della lotta solitaria di Marco per scoprire la verità su un'inquietante ipotesi fantascientifica, prima che arrivi il giorno delle elezioni.

Meryl Streep 
 
A quarant'anni di distanza e con l'isteria del pericolo rosso ormai tramontata, il remake di Jonathan Demme deve inevitabilmente aggiornare i connotati geografici e politici della paranoia americana, e ciò non senza difficoltà. Quando il nemico obbediva a Mosca, poteva essere nascosto anche in casa propria, ma era sostanzialmente ben definito, mentre oggi è difficilmente individuabile. Nel film di Demme, dunque, l'America si trova alla vigilia delle elezioni e la classe politica vive una spaccatura tra i fautori della sicurezza ad ogni costo ed i nostalgici dell'America delle libertà civili. In questa versione della teoria del complotto, aggiornata ai giorni nostri, sono le società private, e non più i comunisti, che mirano ad infiltrarsi nei posti chiave dell'amministrazione americana, spalleggiati da alcuni "falchi" del Congresso.

L'adattamento storico risente di una minor forza e possibilità di sviluppo rispetto alla situazione politica dell'originale, ma il remake di The Manchurian Candidate - teso, ben girato, solidissimo anche se non originalissimo - è soprattutto un apologo sul tema della manipolazione da parte di politici e media sui cittadini, sul quale innesta discretamente anche temi di fantascienza. Angosciati, paranoici e vittime di una qualche sorta di complotto, i personaggi del film trasmettono al pubblico una sensazione di incertezza su cui si regge tutto il film.

Liev Schreiber
 
Dopo il recente e commovente documentario The Agronomist, le frequenti incursioni nel documentario politico e musicale e alcune esperienze contrastanti (vedi il pessimo The Truth About Charlie e l'ottimo ma misconosciuto Beloved), Jonathan Demme è tornato a una grande produzione hollywoodiana e a un cast di stelle. Ottimo Denzel Washington nel ruolo dell'eroe solitario ed inascoltato, costretto a ricercare la verità nella spazzatura mentre i piani alti si accaniscono contro di lui e Meryl Streep nel ruolo della diabolica senatrice Eleanor Shaw, disposta a tutto per il successo proprio e del figlio. Bravo anche Liev Schreiber, ragazzetto dalla maschera pulita che piace agli elettori, ma in realtà burattino nelle mani di altri tormentato dal senso di colpa. Tra gli altri, da segnalare Jon Voight nel ruolo di un senatore e Bruno Ganz in quello dello scienziato buono.

Il film appare particolarmente riuscito nella critica al sistema dei partiti americani, schiavo di ogni sorta di ricatto e pressione esterna. Impressionanti, soprattutto, le sequenze che si riferiscono alle enormi convention pre-elettorali. A momenti di durezza feroce e di claustrofobia, come le riunioni private tra i capi del partito, se ne alternano altri di delirio mistico e collettivo, come i discorsi dei candidati in diretta tv seguiti da folle oceaniche e inebetite. Difficile dire se la scelta del film sia dettata da una critica al sistema americano assoluta o contingente. Ormai, anche dove l'intento di un autore non è apertamente critico verso l'amministrazione Bush, temi come la strumentalizzazione della paura e le deformazioni dei media riecheggiano con insistenza come se fosse lo scenario in cui gli americani sono abituati a vivere da tre anni a questa parte.


The Manchurian Candidate
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