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Pantomima e opera in musica

di Giovanni Fornaro
  Gli astrologi immaginari
Data di pubblicazione su web 10/11/2004  
Pietroburgo, Teatro dell'Hermitage, 14 febbraio 1779. Va in scena la nuova opera buffa di Giovanni Paisiello, Gli astrologi immaginari, musicata con accresciuta soddisfazione dell'autore per l'aumento di stipendio appena ottenuto - da tremila a quattromila rubli annui - quale maestro di cappella, per intercessione della zarina Caterina II. Il musicista tarantino era stato "temporaneamente prestato" dalla corte partenopea a quella russa grazie agli enormi successi ottenuti in Italia e, sebbene obbligato ad inviare ogni nuova partitura alla corte napoletana, anche nella fredda capitale nordica si produsse in una serie di grandi successi, non sempre inediti (Lo sposo burlato, ad esempio, riproponeva integralmente il materiale musicale del Socrate immaginario, censurato a Napoli). Il "Giovanni Paisiello Festival", manifestazione che la città natale dedica al grande compositore da un paio di anni - ma già negli anni novanta vi si tenne un altro festival analogo, come questo curato dal musicologo Dino Foresio - riesce finalmente ad allestire un'opera lirica in forma scenica e recupera questa deliziosa "buffa" (conosciuta anche in area mitteleuropea col titolo, forse più appropriato, di I filosofi immaginari) rappresentata lo scorso 10 novembre presso il teatro Orfeo.

La storia si inserisce in quel filone che tendeva magnanimamente a rappresentare gli atteggiamenti ed i tic un po' snob dell'aristocrazia. Petronio è un filosofo e studioso d'astri che vorrebbe maritare sua figlia Clarice con uno dei suoi discepoli, sebbene la ragazza non abbia alcun interesse per la cultura e per i preferiti dal padre; ama invece Giuliano Triburla, anch'egli filosofo che però, provocando l'ira di Petronio, preferisce Clarice alla studiosissima sorella Cassandra. Sarà lo stesso amore per la filosofia a tradire Petronio, irretito dal falso maestro dei filosofi Argatifontidas (lo stesso Giuliano travestito) a firmare un impegno che, in realtà, è la concessione al matrimonio fra i due amanti.
 


Donato Di Gioia e Stefania Donzelli



 
Paisiello realizza una partitura dall'organico inusitato, perché prevede un baritono, un basso e due soprani, con assenza completa del tenore. A parte questo, la struttura si attiene al modello dell'opera buffa paisielliana del primo periodo napoletano, con assenza completa dei brani d'insieme, se non a fine dei due atti, pochi duetti - qui solo due - e recitativi secchi fra un'aria e l'altra, accompagnati dal solo basso continuo, composto dal clavicembalo (Michele Visaggi) insieme al violoncello (Giuseppe Grassi). La partitura è frizzante, mai banale, e presenta chiaramente quegli elementi che, anni dopo, saranno sviluppati innanzitutto da Mozart - il quale realizzò nel 1783 le Sei variazioni in Fa K 398, proprio sull'aria di Giuliano - e da cui non potrà prescindere nemmeno Rossini.

Mi sembra che le idee più interessanti dell'allestimento tarantino siano state espresse da Rosetta Cucchi, personaggio eclettico - pianista, attrice, scrittrice di testi teatrali, direttore musicale e di palco, regista - qui chiamata alle scene, alla regia ed ai costumi. La trovata, davvero geniale, è stata l'inserimento nell'azione scenica di un attore-mimo, interpretato magistralmente da Roberto Recchia, formalmente un maggiordomo un po' distratto e pasticcione, che in realtà fa ben di più che divertire e movimentare le sedici scene in cui è articolata l'opera, portando avanti ed indietro oggetti o introducendo i nuovi arrivati: egli vede sé stesso quale burattinaio, sorta di "servo di scena" emancipato, che vorrebbe regolare i rapporti tra i personaggi e lo svolgersi della vicenda. La situazione è però difficile da governare, gli sfugge di mano, implementando la disperazione dello stesso servitore e, conseguentemente, l'effetto comico, anche se in finale beneficerà delle grazie della "studiosa" Cassandra. Questo attore non-cantante realizza in qualche occasione un'azione secondaria rispetto a quella principale (cantata), rendendola spesso più interessante. Eppure riesce sempre a supportare la narrazione principale, in un ruolo non facile da sostenere, tra funambolismi e scivolate, bambinate e amorazzi.

Bella anche la scenografia, immutata da un atto all'altro: una metafisica biblioteca, i cui arredi sono costituiti da soli volumi accatastati, e alcune gabbie con uccelli rinchiusi all'interno, allusione non tanto velata alla sotterranea pruderie che muove la vicenda. Meno innovativi i costumi, che non sembrano avere un'idea-guida comune. I cantanti hanno sostenuto tutti egregiamente i ruoli, non semplici e in qualche occasione difficoltosi, come nel caso della cavatina del primo atto di Clarice - una esemplare Stefania Donzelli, recentemente ammirata al teatro Malibran di Venezia nel paisielliano Barbiere di Siviglia e, ad ottobre, all'inaugurale Orfeo ed Euridice della barese Fondazione Petruzzelli.

Il burbero Petronio è ben interpretato dal navigato baritono Mauro Utzeri, la dotta Cassandra è la brava (ed "in parte") Tiziana Spagnoletta, reduce dal Salvator Rosa di Gomez del "Festival della Valle d'Itria 2004", mentre di interesse particolare è apparsa la tessitura vocale, chiara e timbricamente accattivante, del baritono Donato di Gioia, ottimo Giuliano. L'Orchestra da Camera del "Giovanni Paisiello Festival", diretta dal maestro Lorenzo Fico, ha svolto un egregio lavoro, da mettere ulteriormente a punto nelle auspicate repliche future, mentre il coro è stato ben guidato da Giovanna Facilla.

Gli astrologi immaginari
opera buffa in due atti


cast cast & credits
 
trama trama


Stefania Donzelli
 
 
 
 
 
 
 

Stefania Donzelli e Tiziana Spagnoletta




 
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