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Una labile metafora del mondo

di Fabio Tasso
  Un'immagine del film
Data di pubblicazione su web 01/01/2005  

L’ultimo lavoro di M. Night Shyamalan, prolifico regista indiano autore negli ultimi anni di pellicole quali Il sesto senso, Unbreakable e Signs, ha un’ambientazione inusuale: come indica il titolo, il luogo del film è un villaggio situato ad alcune decine di chilometri da Philadelphia, in un’epoca che plausibilmente è la fine del diciannovesimo secolo. In questo villaggio, circondato da un bosco e isolato dalla civiltà, vive una comunità di persone che conducono un’esistenza autosufficiente. I vecchi insegnano ai giovani come vivere, e come difendersi dalle creature "innominabili" che si nascondono nel bosco e minacciano la loro vita.

The Village è stato definito un film "politico", nel senso ampio del termine, perché mostra una comunità isolata dal mondo, chiusa in se stessa e assediata dall’esterno da nemici misteriosi e pressoché invisibili. È impossibile, in questa ottica, non pensare agli attuali Stati Uniti (che saranno ancora più così, probabilmente, dopo la rielezione di G.W. Bush alla presidenza), dei quali il film si fa allora metafora calzante ed efficace. Un microcosmo circoscritto nel nucleo formale di una storia di fiction che si fa rappresentazione simbolica di un macrocosmo ben più ampio, di una società ben più reale, al confronto con la quale nessuno di noi può sottrarsi.

Joaquin Phoenix

Ma poiché il valore di un film non risiede soltanto nella potenza delle metafore che è in grado di creare, l’opera di Shyamalan deve essere analizzata in tutte le sue componenti, filmiche, estetiche, perfino morali. Ed è qui che, spiace dirlo, il film mostra gravi lacune. Spiace, per esempio, constatare come il regista indulga ormai con pervicace ostinazione nella struttura narrativa che prevede il colpo di scena finale; personalmente non abbiamo mai apprezzato tale artificio, pur riconoscendo che esso aveva un’importanza ben superiore, per esempio, in Il sesto senso, nel quale ribaltava completamente la percezione che lo spettatore aveva avuto, fino a quel momento, della storia e dei personaggi, lasciando una perdurante sensazione di spaesamento. Qui, invece, il colpo di scena (che non riveliamo), oltre a essere poco incisivo, perché in gran parte prevedibile, non riesce a ottenere lo stesso risultato nei confronti di chi ha seguito la storia per oltre un’ora.

Ma il film difetta anche da altri punti di vista. Se la rarefazione visiva è uno dei punti di forza del film (l’ottima fotografia riesce a creare un’atmosfera indubbiamente affascinante), essa è accompagnata in parallelo da una "rarefazione narrativa" che purtroppo conduce ben presto a una stasi dalla quale il film non riesce più a risollevarsi. La trama è quasi inesistente, o comunque davvero ridotta, le situazioni, tranne qualche raro caso, sono più suggerite che mostrate. La mancanza di un filo conduttore immediatamente identificabile crea un evidente allontanamento dello spettatore dalla logica narrativa del film e contrasta con la bellezza evocativa e struggente di certe inquadrature, con la dolente e intensa interpretazione della protagonista Bryce Dallas Howard (la vera rivelazione del film), con l’indubbio tratto stilistico di Shyamalan. Le citazioni dal cinema del passato (a tratti sembra di vedere sequenze di Straub e Huillet) e la notevole ambizione non sono adeguatamente supportate dalla ricerca di una coerenza estetica, che purtroppo ci lascia, alla fine, perplessi nel chiederci il senso di ciò che abbiamo visto.

Bryce Dallas Howard 

Pare quasi superfluo, a questo punto, evidenziare i luoghi comuni dei quali il film fa un uso abbondante, quasi smodato: la ragazza cieca che "vede" più dei vedenti, la saggezza dei vecchi contrapposta all’incoscienza dei giovani, l’amore che vince sulla paura e sulla morte. Sono tematiche accettabili soltanto se inserite in un contesto solido e organico, del quale The Village è privo, perché perennemente indeciso tra la ricerca dell’effetto trhiller e il tentativo, fin troppo evidente ma non per questo meno fallimentare, di non offrire facili coordinate interpretative, configurandosi furbamente come opera "aperta" in grado di situarsi trasversalmente sopra tutti i generi.

Il risultato rischia di diventare, e a tratti lo è davvero, un mero e pretenzioso esercizio di stile, che sembra rivolgersi unicamente su se stesso e trovare punti di contatto soltanto con altri film dello stesso autore, senza cercare, proprio come i vecchi del villaggio, una strada per entrare in contatto con l’esterno. The Village vuole comunicare la paura, lo spaesamento, il terrore dell’ignoto, ma la persistente autoreferenzialità non gli permette di trasmettere limpidamente nessuno di questi (pur intensi) sentimenti, trascinandosi fino alla fine in un ingorgo strutturale confuso e impreciso. Shyamalan si permette anche il lusso, come era solito fare Hitchcock, di una brevissima (quasi rubata) apparizione, ma come interpretare questa scelta altrimenti che come un esempio di poca modestia?

Un'immagine del film

Il tentativo è apprezzabile, e il messaggio, pur seguendo sentieri tortuosi, arriva certamente allo spettatore meno distratto, ma Shyamalan dovrà sapersi liberare da schemi ormai logori e abusati, da un’eccessiva cristallizzazione del suo modo di fare cinema, se vorrà che nei film successivi l’equilibrio tra le esigenze formali e l’ambizione della storia conduca a un’efficace rispondenza di tutti gli elementi.




The Village
cast cast & credits
 



Locandina


 
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