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Teatro: la libertà di non esistere

di Cristina Ventrucci
  teatro
Data di pubblicazione su web 05/11/2001  
(da « Lo straniero », n. 17, settembre 2001)

La differenza tra giornalismo e letteratura, ci ha detto Wilde, è la seguente: "Il giornalismo è illeggibile. La letteratura non è letta". Ponendomi a riflettere su certe problematiche della società teatrale contemporanea, sposto di poco il gioco: qual è oggi la differenza fra informazione e critica teatrale? Una prima risposta potrebbe essere: l'informazione non conosce. La critica non è riconosciuta. Per quanto, se nell'aforisma di Wilde l'accusa sembra andare in gran parte al lettore, o al pubblico, qui si individua invece una malattia intrinseca alla stessa sfera culturale e politica che s'intende indagare. Se l'informazione teatrale proposta dalle testate giornalistiche risponde ai criteri di una ben vestita superficialità, scandagliando solo i falsi segreti del già noto, facendosi dunque strumento commerciale anziché conoscitivo, la critica stenta a venire allo scoperto. Secondo una problematica che vede la critica ora non essere pubblicata - è nota ormai, purtroppo, la denuncia sulla cronica mancanza di spazio dato al teatro nelle pagine della stampa nazionale - ora invece non assumersi in pieno il proprio ruolo, quello del rischio, dello sguardo che punta lontano e che scommette, è il teatro, infine, a risultare suo malgrado illeggibile.

Illeggibile è l'informazione-promozione, legata ai lanci di un ufficio stampa, spesso ricalcata su di essi, mai autonoma, talvolta poco competente, in preda al gusto e incapace di creare sano interesse. Illeggibile è certa critica che, anche quando trova spazio, non sempre dimostra di aver messo a punto un linguaggio, uno strumento, un genuino motivo per scrivere. Illeggibile è infine il futuro dell'arte se chi è chiamato a occuparsene ha la debolezza di lasciarsi sedurre dal passato, l'ansia di affrettarsi a stabilire origini o sancire appartenenze. Fatta eccezione per il lavoro encomiabile di Radio 3 - che spazia largamente nei territori del teatro tra materiali e collegamenti, tra approfondimento e cronaca con attenzione al nuovo, fino a sperimentare le forme più alte di drammaturgia radiofonica - questi sono gli anni in cui i mass media, se adottano la parola "arte" è per parlare di un museo, o di un restauro, oppure per inserirla nelle categorie di un nuovo quiz formato americano. Questi sono i decenni in cui della parola "cultura" si sono impossessati gli assessori e gli "operatori" interinali. Ed è il millennio che non sa più dove siano nascosti gli intellettuali, ovvero "il sale della terra, i cani da guardia della società, i pionieri dell'avvenire, gli ingegneri dell'anima". Lo spazio critico è legato del resto per propria natura alla libera iniziativa e all'autoproduzione. Vi sono maestri in questo campo, pochi, pochissimi, grandissimi, che si sono fatti carico di colmare lacune editoriali enormi, di creare spazi mentali, allargando i confini geografici, drammaturgici, sventrando a ogni appuntamento i dogmi, con visionaria ispirazione. Ci insegnano che fuori dal compromesso si ha il vantaggio della libertà di pensiero. Ma se a questo vantaggio, di tutta risposta da parte della società teatrale, c'è il silenzio, oppure, nella migliore delle ipotesi, lo scontro; se la possibilità di un lavoro comune va interamente a impiegarsi in minuscole corporazioni, in alcuni casi addirittura monologanti, di quale libertà stiamo parlando? Della libertà di non esistere? "Cristallizzatevi e sarete qualcuno" è stato detto. In questa odissea preferisco chiamarmi Nessuno, applicare quella "meravigliosa facoltà di opporsi" che il senso critico mi offre e il teatro m'impone.

L'ultimo decennio teatrale ha nutrito speranze. Abbiamo assistito e in qualche modo partecipato al determinarsi di una congiuntura favorevole, ovvero a una rinnovata curiosità parallela al nascere di una nuova generazione teatrale. Qualcuno nell'osservatorio ha esercitato il coraggio, qualcuno lo esercita costantemente, qualcun altro non avendo tale dote mette in circolo astio personale e diffidenza congenita.

L'ingranaggio del mondo va avanti così, chi produce ruggine, chi con pazienza o imprecando provvede a oliare. […] Il timore però è che, adesso, quella che ci aspetta, più che una nuova fase di restaurazione, sia un ingresso nell'oblio: ignoranza è al governo e la polizia ha ricominciato a picchiare; ignoranza è all'opposizione e gli intellettuali sono rimasti in pochi a denunciare. L'esercizio critico è un lusso che questa società non vuole permettersi, uno specchio in cui non vuole guardarsi. La critica teatrale stessa del resto non è avulsa da segni di pigrizia, o da deliri d'onnipotenza. Il vuoto che viene a crearsi internamente al mondo dell'arte scenica, con ripercussioni su tutto ciò che ad essa è legata - per esempio la vita culturale di un paese - è un vuoto di relazioni e di confronto teorico, di collegamento tra alto e basso, di forza. Un vuoto di spazio dell'azione, oltre che un vuoto d'ironia. E se esiste ancora, in stato di solitudine, una verità della critica, " la nostra società che non vuole nient'altro se non ciò che già possiede, un certo benessere, una certa libertà, una certa paura, che bisogno può avere di un linguaggio, cioè di un teatro?

 







 
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