S'affida ad un'ambientazione iperrealista e multimediale la messinscena di Prima/Dopo, lavoro dello scrittore tedesco Roland Schimmelpfennig, giovane drammaturgo cult della Schaubühne an Lehniner Platz di Berlino e autore del Deutsches Schauspielhaus di Amburgo; il lavoro è andato in scena in prima nazionale al Teatro Piccolo Arsenale, con la regia collettiva della Compagnia ‘O Zoo Nô (Benedetta Francardo, Massimo Giovara, Paola Rota, Roberto Zibetti), le scene di Nicolas Bovey, le luci di Christian Zucaro, i costumi di Roberta Vacchetta.
In uno spazio che fluttua nel vuoto, animato da colorazioni livide e da proiezioni artistiche, si susseguono senza soluzione di continuità 51 segmenti di vita di coppia, non recitati, ma descritti, in senso letterale, e condizionati dall'automatismo delle azioni e dalla circolarità del tempo. Il "prima" e il "dopo" sono i termini di una misura cronologica possibile, che investe i comportamenti dei singoli individui, comportamenti caratterizzati dalla frenesia e dalla solitudine, e le loro contraddizioni mentali, espresse attraverso la formulazione istruttoria. Al centro della scena sta una camera matrimoniale rotante, simile ad una navicella spaziale che, per effetto della sospensione gravitazionale, lascia galleggiare frammenti di pensiero, e nulla più. Ciascuna figura dichiara la sua condizione, come se leggesse una didascalia, mentre transita dalla stanza, si sveste, si lava i denti, cambia una lampadina, osserva una stampa appesa alla parete. Alla fine del percorso si ricompone un mosaico di brevi eventi, che torna a sbriciolarsi sull'onda di un eterno mutamento, riconducibile allevoluzione delluniverso e della specie.
L'idea base della realizzazione è suggestiva, perché indaga scientificamente, in modo asettico e distaccato, sulle incongruenze del sentimento, sulla gelosia e sull'abbandono, con un procedimento prossimo più al montaggio cinematografico, ad una successione di micro-performance, che alla forma-teatro. Sul piano esecutivo il complesso torinese dimostra un'accettabile coerenza espressiva, non priva di qualche caduta di stile, ma nell'insieme si tratta di una prova che tende ad escludere la presenza dello spettatore, sopraffatto dalle lungaggini di un testo enunciativo e dalla pretesa di affidarne il senso esclusivamente alla casualità, mentre è costretto ad un'immobilità anomala rispetto all'eccessivo moto rotatorio della scatola scenica.
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