Alla Biennale di Venezia fra "metadanza" e "rigorosa nonchalance"
Mai come nel caso dell'abilità performativa dell'americano John Jasperse, fatta di iterazione, decostruzione, sfalsamento prospettico, stravolgimento del rapporto fra artista e spettatore, può essere di grande aiuto ricorrere al concetto di "metadanza", calco della ben più illustre e accredita formula di "metateatro". In quale altro modo potremmo infatti definire gli esiti rivoluzionari della ricerca jaspersiana che sconvolge i modi tradizionali di recepire lo spettacolo coreutico e le forme di scrittura coreografica? Di sicuro la portata innovativa delle metadanza non è sfuggita all'occhio vigile di Karole Armitage, direttrice artistica del "2 Festival Internazionale di Danza Contemporanea" della Biennale di Venezia, che ha invitato il connazionale a proporre in prima italiana al Teatro Piccolo Arsenale Just two dancers, un lavoro del 2003 in sintonia con lo spirito del festival, improntato all'essenzialità del linguaggio del corpo.
La scarna mise ne scène di Jasperse, preceduta al Teatro alle Tese da Echoes from the street di Armitage, è stata introdotta dalla stessa direttrice, che ha spiegato come guardare, attraverso uno specchio, lo spettacolo del coreografo americano, tornato alla Biennale dopo aver presentato lo scorso anno Giant Empty. E in effetti al Piccolo Arsenale, attraversato da alcune pedane che annullano la frattura fra palcoscenico e platea, si partecipa all'evento provvisti di uno specchio consegnato all'entrata del teatro. I presenti, grazie a questo marchingegno che aiuta a non perdere d'occhio le perfomances dell'esile John Jasperse e della giunonica Juliette Mapp, diventano ad un tempo spectatores del duo e degli altri spettatori, anche loro concentrati sulla propria visuale, e spectati, guardati a loro volta senza accorgersene.
In questa prospettiva tridimensionale non solo va in frantumi la consueta fruizione dell'azione scenica ma anche gli astanti, da elementi passivi, si trasformano in soggetti attivi della mise en danse e osservatori delle tante facce divertite, perplesse, incuriosite, scettiche, che appaiono nello speculum. A dilatare poi i punti di fuga di una spazialità ormai compromessa, concorrono due lunghi teli ricamati color avorio, convergenti sul fondo del palcoscenico, e una finta ed enorme finestra alle spalle del pubblico con una tenda chiara che, mossa da un ventilatore, lascia spazio all'immaginazione. Sulla musica originale di Chris Peck, fatta di sonorità stridenti e rumoristiche eseguite dal vivo da Peck e da Regina Sadowski, gli impeccabili John e Juliette iniziano il loro duetto che li vede ripetere gli stessi movimenti in punti diversi (uno davanti e l'altra dietro al pubblico, uno a sinistra e l'altra a destra) ma contemporaneamente visibili grazie allo specchietto.
La loro danza è fisicissima, concitata, convulsa, giocata su respiri diaframmatici e dinamiche muscolari, come nella lunga e ininterrotta serie di piccoli salti, nelle articolate sequenze eseguite all'unisono, nella fagocitazione di tutto lo spazio, reso praticabile dalle pedane itineranti su cui corrono, si muovono in ogni direzione, si sdraiano, si avvinghiano, si divertono a contaminare tecnica classico-contemporanea, contact improvisation, arti marziali. Opera d'avanguardia, Just two dancers, se è da ascrivere al genere della metadanza, è anche espressione delle ultime tendenze della ricerca coreutica d'oltreoceano di cui John Jasperse è considerato un nome di punta. Vincitore di concorsi coreografici, insignito di premi per il carattere sovversivo della sue produzioni, che risentono anche dalla lezione di formalisti fiamminghi del calibro di Anne Terese de Keersmaeker, il dancemaker ha firmato lavori per la John Jasperse Company, il Whithe Oaks Dance Project di Barysnikov, la Batsheva Dance Company e il Balletto dell'Opera Nazionale di Lione, contribuendo alla decisiva svolta della danza americana e non solo.
Non poteva dunque mancare questo eccentrico protagonista alla Biennale Danza diretta da Karole Armitage che, nelle vesti di autrice, ha presenziato con Rave, una creazione interpretata dal Ballet de Lorraine, e con Echoes from the street, portata in scena in prima assoluta dalla Armitage Gone!Dance, la compagnia fondata dalla "punk ballerina" nel 1982. Forte di una squadra di dodici ottimi elementi, provenienti da varie parti del mondo, l'Armitage gioca sui contrasti multietinici degli incarnati pallidi, scuri, ambrati, dei ballerini, esaltati dai pagliaccetti e tute color oro di Peter Speliopoulos, dalle luci di Clifton Taylor e dal design del pittore neofigurativo Davide Salle, che delimita il palcoscenico del Teatro alle Tese con lunghi fili aurei e argentei. La coreografia, che la stessa Karole definisce "molto calligrafica", si snoda fra soli, duetti e ensembles, improntati ad un limpido classicismo contemporaneo, mentre l'accattivante scelta dei brani, Musica per archi, celesta e percussioni di Béla Bartok, One Last Bar, Then Joe Can Sing di Gavin Bryars, Impulse Turbineto di Annie Gosfield e The Unanswered Question di Charles Ives, ne sottolinea i passaggi compositivi.
La danza è pura, forte, dinamica, con accenti chiaroscurali che toccano l'apice nelle figurazioni della bella e liricissima coppia orientale (lui un alieno platinato, lei una rediviva Valentina Crepax) cui corrispondono quelle dell'altrettanto bella e vigorosissima coppia nera (lui un regale Madingo, lei una scattante Virago). La prima parte di Echoes from the street convince e regala forti emozioni ma la seconda lascia perplessi di fronte all'intrusione di ballerini di capoeria, Bharata Natyam, vogueing, che spezzano la concinnitas e vanificano quella "sensazione di una rigorosa nonchalance" ricercata dalla Armitage.
La scarna mise ne scène di Jasperse, preceduta al Teatro alle Tese da Echoes from the street di Armitage, è stata introdotta dalla stessa direttrice, che ha spiegato come guardare, attraverso uno specchio, lo spettacolo del coreografo americano, tornato alla Biennale dopo aver presentato lo scorso anno Giant Empty. E in effetti al Piccolo Arsenale, attraversato da alcune pedane che annullano la frattura fra palcoscenico e platea, si partecipa all'evento provvisti di uno specchio consegnato all'entrata del teatro. I presenti, grazie a questo marchingegno che aiuta a non perdere d'occhio le perfomances dell'esile John Jasperse e della giunonica Juliette Mapp, diventano ad un tempo spectatores del duo e degli altri spettatori, anche loro concentrati sulla propria visuale, e spectati, guardati a loro volta senza accorgersene.
In questa prospettiva tridimensionale non solo va in frantumi la consueta fruizione dell'azione scenica ma anche gli astanti, da elementi passivi, si trasformano in soggetti attivi della mise en danse e osservatori delle tante facce divertite, perplesse, incuriosite, scettiche, che appaiono nello speculum. A dilatare poi i punti di fuga di una spazialità ormai compromessa, concorrono due lunghi teli ricamati color avorio, convergenti sul fondo del palcoscenico, e una finta ed enorme finestra alle spalle del pubblico con una tenda chiara che, mossa da un ventilatore, lascia spazio all'immaginazione. Sulla musica originale di Chris Peck, fatta di sonorità stridenti e rumoristiche eseguite dal vivo da Peck e da Regina Sadowski, gli impeccabili John e Juliette iniziano il loro duetto che li vede ripetere gli stessi movimenti in punti diversi (uno davanti e l'altra dietro al pubblico, uno a sinistra e l'altra a destra) ma contemporaneamente visibili grazie allo specchietto.
La loro danza è fisicissima, concitata, convulsa, giocata su respiri diaframmatici e dinamiche muscolari, come nella lunga e ininterrotta serie di piccoli salti, nelle articolate sequenze eseguite all'unisono, nella fagocitazione di tutto lo spazio, reso praticabile dalle pedane itineranti su cui corrono, si muovono in ogni direzione, si sdraiano, si avvinghiano, si divertono a contaminare tecnica classico-contemporanea, contact improvisation, arti marziali. Opera d'avanguardia, Just two dancers, se è da ascrivere al genere della metadanza, è anche espressione delle ultime tendenze della ricerca coreutica d'oltreoceano di cui John Jasperse è considerato un nome di punta. Vincitore di concorsi coreografici, insignito di premi per il carattere sovversivo della sue produzioni, che risentono anche dalla lezione di formalisti fiamminghi del calibro di Anne Terese de Keersmaeker, il dancemaker ha firmato lavori per la John Jasperse Company, il Whithe Oaks Dance Project di Barysnikov, la Batsheva Dance Company e il Balletto dell'Opera Nazionale di Lione, contribuendo alla decisiva svolta della danza americana e non solo.
Non poteva dunque mancare questo eccentrico protagonista alla Biennale Danza diretta da Karole Armitage che, nelle vesti di autrice, ha presenziato con Rave, una creazione interpretata dal Ballet de Lorraine, e con Echoes from the street, portata in scena in prima assoluta dalla Armitage Gone!Dance, la compagnia fondata dalla "punk ballerina" nel 1982. Forte di una squadra di dodici ottimi elementi, provenienti da varie parti del mondo, l'Armitage gioca sui contrasti multietinici degli incarnati pallidi, scuri, ambrati, dei ballerini, esaltati dai pagliaccetti e tute color oro di Peter Speliopoulos, dalle luci di Clifton Taylor e dal design del pittore neofigurativo Davide Salle, che delimita il palcoscenico del Teatro alle Tese con lunghi fili aurei e argentei. La coreografia, che la stessa Karole definisce "molto calligrafica", si snoda fra soli, duetti e ensembles, improntati ad un limpido classicismo contemporaneo, mentre l'accattivante scelta dei brani, Musica per archi, celesta e percussioni di Béla Bartok, One Last Bar, Then Joe Can Sing di Gavin Bryars, Impulse Turbineto di Annie Gosfield e The Unanswered Question di Charles Ives, ne sottolinea i passaggi compositivi.
La danza è pura, forte, dinamica, con accenti chiaroscurali che toccano l'apice nelle figurazioni della bella e liricissima coppia orientale (lui un alieno platinato, lei una rediviva Valentina Crepax) cui corrispondono quelle dell'altrettanto bella e vigorosissima coppia nera (lui un regale Madingo, lei una scattante Virago). La prima parte di Echoes from the street convince e regala forti emozioni ma la seconda lascia perplessi di fronte all'intrusione di ballerini di capoeria, Bharata Natyam, vogueing, che spezzano la concinnitas e vanificano quella "sensazione di una rigorosa nonchalance" ricercata dalla Armitage.
2° Festival Internazionale di danza contemporanea
Cast & credits - Echoes from the street
Titolo
2° Festival Internazionale di danza contemporanea |
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Sotto titolo
Echoes from the street |
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Data rappresentazione
23/07/2004 |
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Città rappresentazione
Venezia |
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Luogo rappresentazione
Teatro delle Tese |
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Evento
2° Festival Internazionale di Danza Contemporanea |
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Interpreti
Compagnia Armitage Gone! Dance |
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Produzione
La Biennale di Venezia e The Armitage Foundation |
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Costumi
Peter Speliopoulos |
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Coreografia
Karole Armitage |
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Luci
Clifton Taylor |
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Musiche
Béla Bartok, Gavin Bryars, Annie Gosfield, Charles Ives |
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Note
Progetto: David Salle |
Cast & credits - Just two dancers
Titolo
2° Festival Internazionale di danza contemporanea |
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Sotto titolo
Just two dancers |
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Data rappresentazione
23/07/2004 |
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Città rappresentazione
Venezia |
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Luogo rappresentazione
Teatro Piccolo Arsenale |
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Prima rappresentazione
New York, Tear and Laughter Theatre, ottobre 2003 |
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Evento
2° Festival Internazionale di Danza Contemporanea |
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Interpreti
Compagnia Armitage Gone! Dance |
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Costumi
Kathy Kemp/Anna |
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Coreografia
John Jasperse |
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Luci
John Jasperse e Joe Levasseur |
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Musiche
Chris Peck, eseguita da Chris Peck e Regina Sadowski (musiche originali) |
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Note
Progetto: David Salle |