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Prigionieri del sogno americano

di Federico Ferrone
  Catherine Zeta Jones
Data di pubblicazione su web 02/09/2004  
Prima del delirio artistico che dovrebbe portarlo nei prossimi cinque anni a dirigere il quarto Indiana Jones, un film tratto da La Guerra dei mondi di H.G. Welles ed altri due progetti rispettivamente su Abraham Lincoln e sull'assassinio degli atleti israeliani durante le olimpiadi di Monaco 1972, Spielberg sembra avere preso un certo gusto alla commedia. Dopo il recente Catch me if you can, ha richiamato Tom Hanks, ormai alla sua terza collaborazione col regista, caricandogli sulle spalle una buona parte del peso di una commedia romantica a inevitabile lieto fine e sfacciatamente debitrice del cinema di Frank Capra.

The Terminal, che ha aperto la 61esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è infatti una commedia natalizia (nonostante esca nelle sale a settembre) con un'ambientazione che fino a qualche anno fa si sarebbe definita surreale ma che non può che assumere oggi, volenti o meno gli autori, connotazioni di critica politica all'ossessione "securitaria" degli Stati Uniti e alle frontiere dei paesi occidentali come principale luogo della nuova esclusione sociale.

Tom Hanks
 
Protagonista del film è Viktor Navorski, cittadino in visita a New York proveniente dall'immaginaria Krakozhia, staterello est-europeo partorito dal crollo del Muro di Berlino ed in preda alle scosse di assestamento della transizione post-comunista. Durante la trasvolata oltreoceano del protagonista, Krakozhia è vittima di un sanguinoso colpo di stato e il nuovo governo non è riconosciuto legalmente da quello degli Stati Uniti d'America. Risultato: Viktor non può varcare la soglia dell' "immigration office" per entrare sul suolo americano ma non può nemmeno tornarsene a casa, poiché il suo passaporto è quello di uno stato virtualmente inesistente.

Incastrato in quell'area neutra dell'aeroporto dove dominano negozi di vestiti e coffee shops, Viktor si ritrova in un limbo burocratico e fisico da cui è impossibile uscire. Da questa situazione scaturiscono, talora fantasiosi, talvolta prevedibili, i paradossi e le gag del film, che si svolge interamente nelle sale del JFK. Via via che i mesi passano, le autorità americane si dimostreranno incapaci di gestire le "falle"del proprio sistema di immigrazione costringendo Viktor a riportare carrelli dei bagagli "a gettone" per guadagnarsi da vivere, a sistemarsi in terminal chiusi per lavori per trovarsi un letto e ad imparare l'inglese tramite le strisce della CNN.

Spielberg ha affermato che l'ispirazione del film non nasce dalle paure americane del dopo 11 settembre e dalla strumentalizzazione del tema della sicurezza nazionale (quella Homeland Security, sicurezza nazionale, che ha prodotto, tra gli altri, Guantanamo e che viene indicata negli States dall'ormai celebre scala di rossi degli allarmi), ma dalla vicenda reale dell'iraniano Merhan Karimi. Questi, complici ogni sorta di burocrazie doganali e anche, crediamo, qualche motivo personale, si trova dal 1988 nell'aeroporto parigino di Charles De Gaulle, in attesa che gli vengano restituiti i suoi documenti, rubatigli al suo arrivo in Europa. La storia di Karimi aveva già ispirato il film Tombés du ciel, con Jean Rochefort nel ruolo di Karimi.

Fedele alla sua linea, Spielberg elimina ogni ambiguità nel personaggio di Navorski, facendone un ingenuo e irrimediabilmente generoso eroe positivo, destinato a conquistare il cuore e la stima di tutti gli inservienti, perlopiù immigrati o afro-americani, che lavorano nell'aeroporto. Per il resto, difficile pensare che la maggioranza del pubblico americano colga tutta l'attualità del film ed i paralleli con la sclerotizzazione dei controlli di sicurezza del proprio paese, visti i placidi binari della commedia che il film imbocca dall'inizio fino alla fine. Anche se una scena resta nella memoria: mentre il cinico ed ambizioso super-direttore della sicurezza dell'aeroporto Frank Dixon (Stanley Tucci, sempre bravo) spiega a Viktor che potrà farlo uscire dal JFK se dimostrerà di avere paura di tornare nel suo paese e chiederà asilo politico. Alla domanda di Viktor "Paura di che cosa?", Dixon risponde: "Non importa. Per lo zio Sam l'unica cosa importante è avere paura di qualcosa".

Catherine Zeta Jones e Tom Hanks
 
Dal punto di vista cinematografico il pensiero corre al recente Lista de espera del cubano Juan Carlos Tabìo, dove un gruppo di cubani "parcheggiati" in una stazione dei bus per la rottura dei mezzi di trasporto, ricreava una situazione idilliaca grazie allo spirito di solidarietà. Rispetto al film di Tabìo, col quale Spielberg condivide il tono fiabesco, in The Terminal, piuttosto che lo spirito di gruppo e di collaborazione, emerge per forza di cose il tema molto americano del coraggio e l'intraprendenza dell'individuo, modesto ma generoso, che si conquista la stima e la solidarietà dei vicini. A partire, appunto, proprio dagli esponenti delle altre minoranze che scontano le stranezze di questa America impaurita: ispanici, indiani ed afro-americani, sono tutti in qualche modo degli "esclusi" gli amici di cui si circonda Viktor, vincitori morali di questo comunque divertente racconto edificante. Non manca neanche la bella hostess bianca (Catherine Zeta-Jones), che si innamora dei modi affabili e generosi di Viktor, anche se Spielberg ha il merito di tenere sotto controllo questo lato della storia.

Tom Hanks, che da qualche anno si tiene alla larga da ruoli drammatici (come nell'ultimo Ladykillers dei fratelli Coen), sfrutta il suo talento e l'esperienza accumulata in ruoli drammatici per tratteggiare il suo buffo personaggio, che ricorda più i ruoli avuti ad inizio carriera (vedi soprattutto Big) che quelli che lo hanno reso celebre di Philadelphia e di Forrest Gump. Bravissimo nel suo gramelot slavo-balcanico, Hanks è anche abbastanza a suo agio nelle gag "fisiche" di Viktor, specie all'inizio del film quando il suo personaggio è ancora incapace di esprimersi in inglese, per quanto i paragoni che Spielberg stesso ha tentato con Chaplin e Tati non abbiano in questo caso ragion d'esistere per un attore bravissimo proprio perché molto misurato.

Interamente girato su un unico, gigantesco set che riproduce l'aeroporto newyorchese di JFK, The Terminal è dunque una commedia alla Frank Capra, critica nei confronti delle falle del sistema di benessere statunitense, ma comunque pronto a celebrare il sogno americano facendo trionfare i buoni e gli indifesi e facendo ravvedere i crudeli ed i cinici, in questo caso il perfido Stanley Tucci. Se ha il merito di sfruttare con un'idea intelligente l'assurdità di un non-luogo come le frontiere (e come esse gli scali migranti, i centri di accoglienza/detenzione ecc. ecc.) è probabilmente fuori luogo cercarvi critiche e metafore ulteriori.

Infine una curiosità: verso metà film Viktor aiuta un cittadino russo, arrestato alla dogana per trasporto illecito di medicinali in territorio americano, a uscire di prigione e recuperare le medicine, vitali per suo padre, facendole passare per un vaccino per le sue capre, dunque non sottoposto ai rigidi controlli sanitari americani delle autorità doganali. Per tale operazione il protagonista riceve dal personale dell'aeroporto il soprannome di Viktor The Goat, la "capra" in inglese. Spielberg, che ha ribadito di essersi ispirato proprio al grande Frank nella realizzazione di The Terminal, aveva previsto anche il gioco di parole in italiano?

The Terminal
cast cast & credits
 



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