Attori e mercanti shakespeariani
L'acqua è l'elemento che contraddistingue la versione cinematografica di The Merchant of Venice, film diretto e sceneggiato da Michael Radford, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema: non tanto perché descrive itinerari interni alla città lagunare, lungo i quali si sviluppa la vicenda, dal ponte di Rialto al Ghetto, quanto per l'ambivalenza simbolica che rimanda ad una fluidità di relazioni e, insieme, ad un'opacità di sentimenti e di stati d'animo. L'occhio della camera vuole motivare i comportamenti dei protagonisti come se fossero osservati e, a loro volta, guardassero, mentre si muovono lungo il percorso acqueo. S'aggiunga, inoltre, un'ampia gamma di riferimenti liquidi, dalla pioggia allo sputo e al sangue, che sottolinea la consistenza dei comportamenti e delle interrelazioni. Anche l'ambientazione veneziana diventa funzionale al navigare quotidiano, ai rapporti di scambio in una Repubblica crocevia del mondo, sul finire del Cinquecento; si tratta d'intese basate sulla compravendita di merci e di denaro, in un mondo apparente coerente, in verità scosso da una conflittualità accesa.
Da quest'assunto Radford sviluppa un'indagine sulla complessità della natura umana e sull'incomprensione reciproca, accentuando non poco lo spunto di una rigida opposizione confessionale tra cristianesimo ed ebraismo, sistemi religiosi segnati da una distanza incolmabile e dalla reciproca diffidenza. Seguendo rispettosamente la traccia shakespeariana il regista evidenzia l'ambiguità dei personaggi, insistendo sulle espressioni e sugli sguardi, oppure disegnando assi trasversali e verticali all'interno dell'inquadratura, tali da accentuare le gradazioni del conflitto. È rilevante la funzione della luce, che stenta talvolta a violare la compattezza del buio, a penetrare nelle zone d'ombra della città; affidandosi al tremolare di una torcia, anche la fisicità dei corpi si diluisce nell'opaca liquidità della notte.
Il nobile mercante Antonio, modello di moralità e dedizione alla parola data a costo della vita, soggiace al fascino di una gioventù spensierata e gaudente; ama intensamente la leggerezza di Bassanio, al punto da impegnare una libbra della sua carne a garanzia di un prestito anticipato dal giudeo Shylock. Costui è un usuraio per costrizione - non tanto per vocazione - seppure sappia misurare con attenzione il valore dell'oro, dei gioielli e dei ducati; ancor più l'ebreo, dapprima segretamente, poi in maniera dirompente, è corroso dal rancore contro quel buon cattolico che gli sputa addosso e lo scansa, come si evita un cane. A tratti, però, la descrizione di Antonio risulta appannata da un atteggiamento estremo, assente dalla partitura drammatica.
Oltre al dissidio confessionale, che il film elabora talvolta in forma acuta e ambivalente, emerge nitidamente il segno di Shakespeare, laddove ai maneggi degli uomini oppone la felice incoscienza amorosa dei giovani. Una barca sconfina oltre il cancello che al tramonto rinserra la popolazione dei giudei entro i confini del Ghetto, recando ragazzi innamorati in maschera: così, con il favore della notte Gessica, la figlia di Shylock, s'affida alle braccia del suo Lorenzo e fugge recando con sé un po' dell'oro paterno. Nello stesso momento un altro vascello, approntato con il prestito garantito da Antonio, salpa alla volta dell'isola di Belmonte, alla conquista della bellissima Porzia, la dama che per volere di un padre perduto sottopone i suoi pretendenti alla prova dei tre scrigni.
Seguendo il filo dell'avventura alla conquista del cuore di una donna di rare virtù, il film esalta il passaggio acquatico in direzione del territorio del sogno, trasformando il viaggio verso il palazzo di Belmonte nell'approdo all'isola di Citera, nel miraggio di un amore che nessun evento può infrangere. Radford elabora, qui come in altri passaggi della sua opera, un gioco di sovrapposizione con un'iconografia ideale, che ravviva la fissità di un quadro, in cui l'esaltazione dell'eros impone l'estremo sacrificio dei padri e dei tutori. Radford mostra l'indiscutibile abilità di comporre una scena realistica e, insieme, immaginata, come se le pitture di Longhi si fondessero con la magia dei pittori visionari del primo Ottocento (quelli che si cimentano con i soggetti shakespeariani).
La sua è una concezione filmica che spesso rasenta il manierismo, ma che sa aderire alla splendida recitazione degli interpreti: su questo piano, è da riconoscere l'ottima scelta dei toni sonori e dell'espressività. Al Pacino inventa per Shylock un parlato al limite dell'interiorità, una vocalità che a stento comprime il tumulto del suo animo, roso dal desiderio di rivalsa di fronte a coloro che lo dileggiano, lo umiliano, lo derubano non solo del denaro e della religione, ma del gioiello più caro, l'affetto della figlia. Jeremy Irons disegna con la consueta bravura un Antonio misurato e palpitante: mentre si sgretola la solidità del suo patrimonio mercantile, sull'onda delle notizie catastrofiche che annunciano la perdita delle navi e dei capitali, lo sguardo e il tono delle sue parole celano a stento la trepidazione affettiva che lo spinge a cercare la vicinanza e il contatto (un bacio) dell'amico Bassanio.
La vicenda di Porzia è ricondotta dal regista all'interno dell'indagine sull'amore tra giovani, ma dal punto di vista femminile, prima d'interferire con il caso Shylock. Lynn Collins sviluppa meglio la fase preliminare, rispetto alla prova processuale, quella in cui il giudeo sfida la giustizia della Serenissima, chiedendo di ottenere ciò che gli spetta per contratto: una libbra di carne strappata dal petto di Antonio. Il travestimento maschile di Porzia scende un po' artificiosamente nel paradosso di un'inconsueta sapienza legale, in grado di affermare il primato dell'indulgenza sulla vendetta, mentre, nella stessa scena, s'innalza la qualità interpretativa di Al Pacino, la cui maestria regala allo spettatore la rappresentazione esemplare della metamorfosi di Shylock da carnefice a vittima, spogliato dei beni e costretto ad abiurare la propria fede. Anche il Bassanio di Joseph Fiennes si presenta fedele all'idea registica, soprattutto nell'ambiguità di una pulsione che lo tiene sospeso fra due amori egualmente vivi, quello per Porzia, la donna vagheggiata, e quello per Antonio, il maestro di vita.
The Merchant di Radford risulta nel complesso una proposta apprezzabile, a partire proprio dalla possibilità di un surplus interpretativo che la tecnica cinematografica offre alla vivezza della drammaturgia shakespeariana. La qualità del film si divide equamente sul piano della bravura degli attori e su quello della descrizione iconografica, densa di suggestioni simboliche e di riferimenti artistici.
Da quest'assunto Radford sviluppa un'indagine sulla complessità della natura umana e sull'incomprensione reciproca, accentuando non poco lo spunto di una rigida opposizione confessionale tra cristianesimo ed ebraismo, sistemi religiosi segnati da una distanza incolmabile e dalla reciproca diffidenza. Seguendo rispettosamente la traccia shakespeariana il regista evidenzia l'ambiguità dei personaggi, insistendo sulle espressioni e sugli sguardi, oppure disegnando assi trasversali e verticali all'interno dell'inquadratura, tali da accentuare le gradazioni del conflitto. È rilevante la funzione della luce, che stenta talvolta a violare la compattezza del buio, a penetrare nelle zone d'ombra della città; affidandosi al tremolare di una torcia, anche la fisicità dei corpi si diluisce nell'opaca liquidità della notte.
Il nobile mercante Antonio, modello di moralità e dedizione alla parola data a costo della vita, soggiace al fascino di una gioventù spensierata e gaudente; ama intensamente la leggerezza di Bassanio, al punto da impegnare una libbra della sua carne a garanzia di un prestito anticipato dal giudeo Shylock. Costui è un usuraio per costrizione - non tanto per vocazione - seppure sappia misurare con attenzione il valore dell'oro, dei gioielli e dei ducati; ancor più l'ebreo, dapprima segretamente, poi in maniera dirompente, è corroso dal rancore contro quel buon cattolico che gli sputa addosso e lo scansa, come si evita un cane. A tratti, però, la descrizione di Antonio risulta appannata da un atteggiamento estremo, assente dalla partitura drammatica.
Oltre al dissidio confessionale, che il film elabora talvolta in forma acuta e ambivalente, emerge nitidamente il segno di Shakespeare, laddove ai maneggi degli uomini oppone la felice incoscienza amorosa dei giovani. Una barca sconfina oltre il cancello che al tramonto rinserra la popolazione dei giudei entro i confini del Ghetto, recando ragazzi innamorati in maschera: così, con il favore della notte Gessica, la figlia di Shylock, s'affida alle braccia del suo Lorenzo e fugge recando con sé un po' dell'oro paterno. Nello stesso momento un altro vascello, approntato con il prestito garantito da Antonio, salpa alla volta dell'isola di Belmonte, alla conquista della bellissima Porzia, la dama che per volere di un padre perduto sottopone i suoi pretendenti alla prova dei tre scrigni.
Seguendo il filo dell'avventura alla conquista del cuore di una donna di rare virtù, il film esalta il passaggio acquatico in direzione del territorio del sogno, trasformando il viaggio verso il palazzo di Belmonte nell'approdo all'isola di Citera, nel miraggio di un amore che nessun evento può infrangere. Radford elabora, qui come in altri passaggi della sua opera, un gioco di sovrapposizione con un'iconografia ideale, che ravviva la fissità di un quadro, in cui l'esaltazione dell'eros impone l'estremo sacrificio dei padri e dei tutori. Radford mostra l'indiscutibile abilità di comporre una scena realistica e, insieme, immaginata, come se le pitture di Longhi si fondessero con la magia dei pittori visionari del primo Ottocento (quelli che si cimentano con i soggetti shakespeariani).
La sua è una concezione filmica che spesso rasenta il manierismo, ma che sa aderire alla splendida recitazione degli interpreti: su questo piano, è da riconoscere l'ottima scelta dei toni sonori e dell'espressività. Al Pacino inventa per Shylock un parlato al limite dell'interiorità, una vocalità che a stento comprime il tumulto del suo animo, roso dal desiderio di rivalsa di fronte a coloro che lo dileggiano, lo umiliano, lo derubano non solo del denaro e della religione, ma del gioiello più caro, l'affetto della figlia. Jeremy Irons disegna con la consueta bravura un Antonio misurato e palpitante: mentre si sgretola la solidità del suo patrimonio mercantile, sull'onda delle notizie catastrofiche che annunciano la perdita delle navi e dei capitali, lo sguardo e il tono delle sue parole celano a stento la trepidazione affettiva che lo spinge a cercare la vicinanza e il contatto (un bacio) dell'amico Bassanio.
La vicenda di Porzia è ricondotta dal regista all'interno dell'indagine sull'amore tra giovani, ma dal punto di vista femminile, prima d'interferire con il caso Shylock. Lynn Collins sviluppa meglio la fase preliminare, rispetto alla prova processuale, quella in cui il giudeo sfida la giustizia della Serenissima, chiedendo di ottenere ciò che gli spetta per contratto: una libbra di carne strappata dal petto di Antonio. Il travestimento maschile di Porzia scende un po' artificiosamente nel paradosso di un'inconsueta sapienza legale, in grado di affermare il primato dell'indulgenza sulla vendetta, mentre, nella stessa scena, s'innalza la qualità interpretativa di Al Pacino, la cui maestria regala allo spettatore la rappresentazione esemplare della metamorfosi di Shylock da carnefice a vittima, spogliato dei beni e costretto ad abiurare la propria fede. Anche il Bassanio di Joseph Fiennes si presenta fedele all'idea registica, soprattutto nell'ambiguità di una pulsione che lo tiene sospeso fra due amori egualmente vivi, quello per Porzia, la donna vagheggiata, e quello per Antonio, il maestro di vita.
The Merchant di Radford risulta nel complesso una proposta apprezzabile, a partire proprio dalla possibilità di un surplus interpretativo che la tecnica cinematografica offre alla vivezza della drammaturgia shakespeariana. La qualità del film si divide equamente sul piano della bravura degli attori e su quello della descrizione iconografica, densa di suggestioni simboliche e di riferimenti artistici.
Cast & credits
Titolo
Il mercante di Venezia |
|
Origine
Gran Bretagna |
|
Anno
2004 |
|
Durata
124 min. |
|
Colore | |
Regia
Michael Radford |
|
Interpreti
Al Pacino Jeremy Irons Joseph Fiennes Lynn Collins |
|
Produzione
Spice Factory / Shaylock Trading / Navidi Wilde Productions / Avenue Pictures / De Luxe Production / Istituto Luce / Dania Film / Immagine e Cinema |
|
Distribuzione
Isituto Luce |
|
Scenografia
Bruno Rubeo |
|
Sceneggiatura
Michael Radford |
|
Montaggio
Luca Zucchetti |
|
Fotografia
Benoit Delhomme |
|
Suono
Paul Davies |
|
Musiche
Jocelyn Pook |
|
Note
35 mm. (1:2,35), colore Sonoro Dolby Digital |