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Vesuvio 29 d.c.

di Siro Ferrone
  Immagini dalla mostra
Data di pubblicazione su web 06/09/2004  
La mostra Storie da un'eruzione, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dal 20 marzo al 31 agosto 2003, è stata progettata dalle Soprintendenze archeologiche di Napoli e Pompei e dedicata alla celebre eruzione vesuviana del 79 d. C. Con la presentazione dei risultati degli studi archelogici e vulcanologici più recenti, sono esposti alcuni tra i più spettacolari documenti di ricostruzione antropologica, costituiti dai calchi dei corpi realizzati in gesso e in vetroresina direttamente sugli scheletri delle vittime scoperti alla marina, a Ercolano e sul corpo di una fanciulla di Oplontis. La mostra è stata successivamente allestita al Museo Reale di Arte e Storia di Bruxelles, dal 9 ottobre 2003 all'8 febbraio 2004, e dal 25 luglio è esposta a Trieste, presso le Scuderie del Castello di Miramare, dove sarà visitabile fino al 31 ottobre.

E' una delle mostre più belle viste in Italia negli ultimi tempi. È ospitata nella sede, recentemente restaurata, del Museo Archelogico Nazionale di Napoli, che abitualmente accoglie una miniera di capolavori disposti in sale a loro volta preziose e affascinanti. La cura e la perizia degli allestitori nostri contemporanei sono state pari ai meriti del monumento storico. Iniziato nel 1586 su commissione di Don Pedro Giron, duca di Ossuna e viceré di Napoli, trasformato a partire dal 1612 dall'architetto Giulio Cesare Fontana su incarico di un altro viceré, Don Pedro Fernando de Castro, trasformato alla fine del XVIII secolo dall'architetto Pompeo Schiantarelli in "Real Museo" e "Palazzo dei Vecchi Studi", il palazzo cominciò allora a ospitare le collezioni archeologiche provenienti da Ercolano, Pompei e Stabia, incrementando costantemente nel tempo, sotto i più diversi regimi, la qualità e quantità delle sue raccolte. Oggi è uno dei massimi musei del mondo.

Della mostra attualmente aperta colpisce, prima di tutto, l'abilità drammaturgica con cui è stato tracciato il percorso di visita. Dopo avere attraversato, a piano terra, una galleria di effetti speciali un po' elementari (proiezioni multimediali che riproducono gli effetti del cataclisma che investì le pendici del Vesuvio nel 79 d.C), saliti gli storici scaloni, si intraprende una scoperta che comincia dalla visione di alcuni dei reperti più belli: nelle prime sale, in mezzo a capolavori già conosciuti come appartenenti al Museo napoletano, provenienti dalle ville vesuviane di Ercolano e Pompei, si stagliano nuove acquisizioni, sculture soprattutto, di valore assoluto (si veda la sala che ospita documenti della Villa dei papiri di Ercolano). L'allestimento di Maurizio di Puolo stabilisce effettivamente un dialogo felice tra le collezioni permanenti e le novità.

Più oltre, muovendo dalla contemplazione del "bello" ci avviciniamo alla decifrazione del "vero": alcuni calchi disposti in modo teatrale, restituiscono la percezione della morte sorpresa in un gruppo di fuggiaschi sul litorale campano; la suggestione narrativa serve da cerniera tra la galleria artistica e la rappresentazione della vita quotidiana dei romani al tempo dell'eruzione. Subito dopo infatti, in una fuga di raccolte salette, oggetti recuperati dal mobilio, frammenti minuti dell'esistenza domestica dei nostri antenati, indizi di vita familiare, suggeriscono congetture storiche, o addirittura cronistiche. Sono i risultati a cui sono approdati gli archelogi in questi ultimi anni di ricerca. La filologia e l'archelogia vengono adoperate dai curatori non per descrivere oggetti o frammenti ma per "ricostruire", con parole piane e trasparenti, il quadro d'insieme, drammatico e narrativo, in cui quei dettagli, altrimenti enigmatici o sterili tranne che agli specialisti, possono inserirsi. E questo scopo viene realizzato con un uso sapiente e cordiale delle didascalie che scandiscono la visita. Da anni ci aspettavamo una tale semplicità ed efficacia comunicativa. Un modo di informare colto e rispettoso nei confronti di ogni livello di pubblico. Un modello di cui in genere solo gli anglosassoni possono vantarsi.

Più oltre, nel grande salone affrescato della Meridiana, un funzionale sistema di teche induce il visitatore a una consultazione attenta di oggetti ancora più minuti. Come in un doloroso rinoscimento di cadaveri amici, dalle tasche e dalle sporte dei pompeiani caduti sotto il fuoco e la cenere, escono le prove di esistenze disparate: chiavi, amuleti, monete, monili, gioielli, armi, memorie. Queste testimonianze gli archeologi e i curatori hanno interrogato, con prudenza e con pazienza, estraendo per ognuno dei "personaggi" un canovaccio di storia: come sono arrivati lì, sul punto di morte, da dove venivano, dove andavano, come sono caduti, quando. Microstorie talvolta già note e simili a leggende, altre volte inedite. In un cimitero di destini incrociati, il visitatore è posto nella privilegiata condizione di fermare il tempo. Più volte si trova a cogliere lo stesso istante, in diversi luoghi delle pendici del Vesuvio, in diversi angoli del salone, e afferra – brancolando nel buio di un atroce momento di morte – un lampo di verità, un indecifrabile istinto di vita.

Lungo il percorso l'emozione si riflette negli 11 calchi (più palpitanti quelli ottenuti con le antiche tecniche del gesso rispetto ai moderni ricorsi a sostanze chimiche trasparenti) dei corpi umani. Questi, disposti sul pavimento, ai nostri piedi, suscitano quel sentimento di terrore e pietà che è alla base di ogni rappresentazione tragica. Sono i protagonisti del dramma (dramatis personae) che le didascalie e gli oggetti ci hanno preparato a cogliere. Quasi ideogrammi del transito dalla vita alla morte, identificazioni del respiro. 

Tutt'intorno, sempre nella sala della Meridiana, si possono ammirare in anteprima le raffinate pitture parietali che decoravano tre triclini ritrovati, durante le recenti campagne di scavo condotte nel suburbio di Pompei. Anche queste, tracce di scenografie ordinarie in un teatro straordinario.


Storie da un'eruzione. Pompei, Ercolano, Oplontis

Napoli, Museo Archeologico Nazionale, 21 marzo 2003-31 agosto 2003. Bruxelles, Museo Reale di Arte
 



 

 





 
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