Lettera aperta a drammaturgia.it
di Alessandro Ferrini
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Data di pubblicazione su web 28/03/2001 |
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento sull'ultimo film di Nanni Moretti
Mi è piaciuto molto il film La stanza del figlio di Nanni Moretti. Sinceramente mi dispiace che il mio giudizio sia più vicino alla recensione di Enzo Siciliano che a quella di Siro Ferrone, soprattutto perché il primo mi sta profondamente antipatico mentre con il secondo sono anni oramai che parliamo e scambiamo pareri sui film, visti e da vedere. Trovo quindi stimolante scrivergli questa volta cosa mi è piaciuto del film: prima di tutto le stesse cose che sono piaciute anche a lui, e cioè il gusto fine della regia, il linguaggio narrativo sobrio e controllato, la recitazione misurata e attenta, l'analisi acuta e paziente. Il complimento più bello al film poi giunge, nel giudizio di Siro, con l'aggettivo artigianale, vera e propria medaglia al valore per il cinema italiano.
Personalmente però la cosa che ho trovato più bella del film è un'altra: il coraggio.
L'aver affrontato oggi un tema come questo credo che sia il vero merito di questa pellicola. Il rapporto che ognuno di noi sa di dover affrontare con il dolore e la morte, e la capacità di sopravvivere a questo appuntamento, è un argomento ambizioso e pericoloso allo stesso tempo: banalizzazione, retorica, fumosità intellettuale, sono stati spesso il prodotto di film che in altri casi hanno affrontato l'argomento. Moretti sceglie questo racconto breve, a cui dice lavorava e pensava da tempo, in cui la morte del figlio arriva improvvisamente a sconvolgere la vita di una famiglia fino ad allora felice.
Mi ha emozionato la semplicità, il decoro, l'umiltà che pervade tutta la vicenda narrata; la città, la famiglia, i figli, le passioni, la casa, la cucina, tutto ci vuole convincere che la quotidianità di tutti può venir attraversata se non interrotta dall'incontro con il dolore.
E mi è piaciuto che nonostante tutti abbiano detto e scritto che il film sia uno dei meno politici e autoreferenziali di Nanni Moretti. Io invece credo di scorgere in questo film una cosa nuova: una diversa visione della politica e dell'autorefenzialità e cioè il dover capire che la nostra attività politica comincia da come ci rapportiamo con noi stessi e con le persone più vicine per poi arrivare agli altri in forme sicuramente più manifeste ed eclatanti che il non limitare l'universo a se stessi è già un gravoso impegno politico e contribuisce già molto nel suo piccolo al miglioramento della società degli individui: il nostro quotidiano spesso meriterebbe di essere più apprezzato per il valore di tante piccole cose a cui non sappiamo più dare il giusto valore. Il rimpianto per una corsa non fatta con figlio è una degli episodi più convincenti del film.
Credo che il coraggio stia nel dire oggi queste cose attraverso un film. Spero anche dopo queste righe di poter continuare a parlare di cinema - ma non solo - con te, Siro.
Saluti e complimenti per l'iniziativa.
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