drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

La 'loro' generazione: com'erano, come siamo.
Una riflessione su La meglio gioventù


di Fabio Tasso
  La meglio gioventù
Data di pubblicazione su web 18/09/2003  
Mai come in questo periodo, pare di capire, il cinema italiano si rivolge al recente passato. Ne sono prova film come Segreti di stato di Paolo Benvenuti, The Dreamers di Bernardo Bertolucci e Buongiorno notte di Marco Bellocchio, presentati in contemporanea a Venezia, e naturalmente La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. Il passato che ritorna. Un passato scomodo, forse, ma che continua a tormentare, come un sogno ricorrente, i registi italiani. Dal "caso" Salvatore Giuliano al "caso" Moro, passando per il Sessantotto. In mezzo, i cosiddetti "anni di piombo", iniziati nel dicembre 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano e terminati proprio (e forse non del tutto) con il sequestro e l'assassinio del politico democristiano.


La meglio gioventù
La meglio gioventù

Il film di Giordana non affronta in maniera diretta quegli anni. A dire il vero, non affronta in maniera diretta nessun avvenimento. Tutto scorre in secondo piano, come sottofondo, a scandire le tappe di una famiglia italiana dagli anni Sessanta a oggi. È un suo pregio, naturalmente, perché il film non vuole raccontare la Storia, ma una storia nella Storia. E ci riesce benissimo.

Appare quasi ozioso, a questo proposito, elogiare la bellezza e il valore dell'opera di Giordana, la straordinaria interpretazione degli attori, la splendida fotografia, l'impianto narrativo misurato e calibrato, che vira appena verso il melodramma nell'Atto II. Sono elementi che chiunque, semplicemente entrando in sala e godendosi le sei e più ore di proiezione, è in grado di apprezzare. E del resto, è ciò che hanno già fatto i giurati di Cannes, tributandogli il premio Un certain regard (tutt'altro che un riconoscimento minore, lo diciamo a beneficio di chi non ne fosse al corrente), e un pubblico italiano attento, informato, competente, sulla cui qualità (e sulle cui esigenze, sulla cui cultura, sul cui bisogno di "pensare") qualcuno dovrebbe cominciare a riflettere con maggiore attenzione, con la sua stessa partecipazione attiva ed emotiva. Il pubblico cinematografico italiano, lo diciamo una volta per tutte, non è stupido; non ha dieci anni; è maturo, e lo è sempre stato.


La meglio gioventù
La meglio gioventù

Ciò di cui vogliamo parlare qui è invece qualcos'altro; sono le enormi implicazioni sociali e generazionali che La meglio gioventù porta con sé. Il ritratto di un'epoca raccontato da chi quell'epoca l'ha vissuta. Ma a beneficio di chi? Di chi l'ha vissuta a sua volta, ovviamente. Ma non solo. Anche a beneficio nostro (di noi che scriviamo, e dei nostri coetanei), che in quell'epoca siamo nati, e non abbiamo ricordi ad accompagnare la visione. Ecco il senso di questa riflessione.

È la generazione che ha vissuto quegli eventi, quegli anni, a cominciare (ma in realtà l'ha sempre fatto) a interrogarsi su cosa essi sono stati, su cosa hanno rappresentato, e soprattutto su cosa sono diventati coloro che li hanno vissuti, direttamente o magari soltanto indirettamente, restando passivamente a guardare (proprio come i personaggi del film di Bertolucci) mentre tutto quell'insieme di vita e splendore e tragico orrore scorreva davanti ai loro occhi. Riflettere sul passato, anche non su quello personale ma su quello collettivo, sociale, civile, spesso è una necessità irrinunciabile; per capire se stessi, rincorrendo quello che si è stati.



La meglio gioventù
La meglio gioventù

Ma per loro, per chi gli anni Settanta li ha vissuti, in qualsiasi modo li abbia vissuti, riflettere su di essi ha un senso moralmente elevato, uno scopo che non esitiamo a definire sublime; è un atto che probabilmente non può attendere troppo tempo, la cui urgenza è davvero manifesta: è scavare dentro se stessi alla ricerca di qualcosa. Senza sapere se qualcosa verrà fuori, ma con la consapevolezza che la semplice ricerca, in sé e per sé, è già importante, anzi di più, necessaria. La ricerca è, in fondo, già un risultato. Smuoversi, mettersi in gioco e prendere di petto le questioni.

Ma noi? Per chi in quegli anni è nato, che significato hanno o possono avere film come La meglio gioventù? Noi abbiamo visto/ascoltato/letto/percepito nell'aria centinaia di cose/parole/immagini/dichiarazioni su quegli anni, e continuiamo a farlo. Basta un evento anche casuale (la visione al cinema di La meglio gioventù, per esempio, oppure la commemorazione per la strage di Bologna del 2 agosto 1980) per essere catapultati in un mondo che conosciamo solo "per sentito dire", e che pure continua a rifarsi vivo, a intervalli più o meno regolari, e sembra richiedere alla generazione di ieri il pagamento di cambiali lasciate lì a maturare interessi sempre più pesanti.

Noi da un lato subiamo questa forma di ricordo, che di fatto non ci appartiene, e dall'altro ci sforziamo di comprenderla. Pur sapendo che non riusciremo mai a capirla fino in fondo, perché non abbiamo vissuto gli eventi, e in ciò che non si vive non si può entrare per davvero. Così la "loro" generazione racconta qualcosa per se stessa, va alla ricerca di se stessa, e forse senza saperlo, senza esserne consapevole, probabilmente senza curarsene, crea in noi un disagio difficilmente spiegabile, una sindrome che ci spinge a cercare di capire perché, per loro, è così importante ricordare, interrogarsi su quegli anni.

In La meglio gioventù; ovviamente non c'è solo questo. C'è la storia di una famiglia, innanzi tutto, e poi anche fatti diversi, precedenti e successivi, ci sono personaggi ed eventi che nulla hanno a che fare con quel periodo. C'è dell'altro, e naturalmente è anche questa la forza del film. Eppure è come se solo quegli anni, o soprattutto loro, fossero importanti, perché è da lì che parte tutto, è lì che si tirano le fila. E non ci vuole molto a capire, guardando l'Atto II, che quella storia i personaggi li influenza tutti, uno per uno. Ma non solo. Si capisce anche che quella storia influenza, in maniera diversa certo, chi viene dopo di loro, cioè noi. Com'erano loro è quindi, ovviamente, come siamo noi oggi. Ciò è incontestabile: non esiste confutazione possibile.

E allora, poiché le cose stanno così, una volta che il legame è creato, che i nodi sono stati intrecciati, non si può più tornare indietro. Bisogna buttarcisi, anche noi, come loro. E continuare a porsi, sapendo che non potremo mai dare risposte certe, domande su domande. Perché tutto quello? Cosa è stato, per davvero, al di là della prospettiva storica che schiaccia gli eventi in modo piatto e uniforme? Come sarebbero state le cose se nulla fosse successo? Cosa rappresenta per noi, e quale eredità ci ha lasciato? Come possiamo interpretare la Storia che come acqua impazzita arriva da tutte le parti a travolgerci? Sappiamo che le risposte non salteranno fuori da un momento all'altro. Potrebbero volerci anni, così come ce ne stanno volendo a loro. Però intanto continuiamo a pensarci. Perché siamo convinti di essere soprattutto il nostro passato, anche quello che non ci ha visti protagonisti, ma ingenui bambini che passavano il tempo a giocare. Abbiamo amato così tanto La meglio gioventù; forse anche perché, mostrandoci il mondo com'era un tempo e i nostri padri com'erano all'età che abbiamo noi oggi, ci ha dato un'ulteriore prospettiva, un altro punto da cui ripartire. Adesso sta a noi fare la Storia. Poi cominceremo a raccontarla (soprattutto a raccontarcela). E tra vent'anni, lo sappiamo già, i nostri figli verranno a chiederci cosa diavolo succedeva a cavallo tra il secondo e il terzo millennio. E allora può darsi che qualcosa saremo in grado di rispondergli.


 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013