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Il teatro e la guerra.  Gli scrittori per la pace

di Massimo Bertoldi
  marines americani all'aereoporto di baghdad - 5 aprile 2003
Data di pubblicazione su web 11/04/2003  
Presentiamo questo articolo purtroppo di grande attualità, per gentile concessione dell'autore e della rivista " Il cristallo" che lo pubblicherà nel prossimo numero. [la redazione]

Il tema della guerra costituisce un filo rosso che attraversa la storia del teatro occidentale, dai Greci ad oggi. Soprattutto il Novecento è denso di esempi. Ernst Toller scrive a ridosso della prima guerra mondiale una serie di drammi pacifisti (Henkemann, Oplà, noi viviamo, Il pastore Holl) mentre Hitler saliva al potere; Jean Giraudoux pensa ad una smilitarizzazione dell'epopea bellica ne La guerra di Troia non si farà, opera che si allinea ai drammi postbellici di Pirandello, Irwin, Anouilh, Eduardo. Su tutti domina la drammaturgia dell'impegno politico di Brecht, fondata su un nemico ben definito, il capitalismo, da abbattere con una ideologia precisa, il comunismo.

Con il crollo del muro di Berlino e il conseguente declino delle ideologie muta il concetto e l'immagine del 'nemico'. Il tema della guerra è assorbito nello smarrimento di una protesta contro avversari invisibili. Forse i testi di Heiner Müller e l'opera di Tadeusz Kantor esprimono questo vuoto delle coscienze prodotte da una contemporaneità enigmatica, permeata di crudeltà, violenza e male.

Talvolta la guerra trapassa nel teatro sotto forma di spettro premonitore attraverso il filtro di elementi irreali e fantastici. Nel 1973, per esempio, Eugene Ionesco aveva immaginato in Le solitarie lo scoppio a Parigi di una guerra civile caratterizzata da un disordine diffuso che intaccava come fa la lebbra la metropoli francese, con i palazzi che crollavano, la gente che moriva per le strade e la caduta - per fortuna immaginaria - della Tour Eiffel.


Marines e profughi
Marines e profughi

Oppure si incontrano esperienze in cui il teatro vive un impatto reale e diretto con la vita durante la guerra. Significativo, in merito, è stato l'allestimento di Aspettando Godot curato da Susan Sontag a Sarajevo nell'estate del 1993 su una scena illuminata da dodici candele, con un cast di attori stremato dalle condizioni in cui aveva dovuto provare ma emozionato per aver dato alla piecé il senso più profondo per cui Beckett l'aveva ideata.

Dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle di New York e la risposta americana nell'Afghanistan condotta secondo la logica spietata della rappresaglia - si è detto - sono cambiate molte cose. Azione terroristica e reazione militare "hanno travolto nelle macerie la Bibbia e il Corano, Dante e Shakespeare" (Eugenij Evtushenko). E' da chiedersi, a questo punto, in che misura il teatro si sia rapportato a questo nuovo scenario, è riconoscere i percorsi narrativi definiti e definire le caratteristiche dell'impianto drammaturgico dei testi.

La nostra parziale indagine si limita all'ambito italiano e prende in esame alcuni contributi prodotti all'interno dei circuito dei cosiddetti Scrittori per la pace, un gruppo piuttosto consistente allargato anche ad attori, registi e musicisti. Si tratta di opere importanti sotto il profilo dell'impegno civile, generalmente concepite per la lettura scenica, come è avvenuto in spettacoli organizzati a Roma, Milano e Bologna.

1. L'11 settembre

Gli aerei-bomba dei kamikaze islamici esplosi al World Trade Center e i conseguenti bombardamenti americani intorno a Kandahar assediata hanno prodotto una nuova definizione di nemico, visibile e invisibile nel contempo, reale e immaginario. Nella assimilazione del binomio guerra-terrorismo la drammaturgia abbandona la strada della rappresentazione "realistica" degli eventi (funzione assolta con il filtro dello "spettacolo" dal media televisivo), si orienta piuttosto alla narrazione di micro-situazioni, di frammenti di vita che diventano cupe metafore delle inquietudini del nostro presente.

In Fondamentalisti di Roberto Traverso (> "Hystrio", anno XV - n. 4, 2002, pp. 103-104) i protagonisti sono due broker milanesi, trentenni e cinici, impegnati in trattative nell'Ufficio della Borsa quando dal monitor del computer assistono alla tragedia dell'11 settembre. Il loro atteggiamento trapassa rapidamente dall'effetto spettacolare, prodotto dalla visione delle immagini televisive, dal quale si sprigiona una catena di sensazioni ed emozioni, al lucido calcolo e alla convenienza degli investimenti finanziari perché "le guerre fanno bene all'economia". Il principio utilitaristico proprio della professione si è radicato anche nei sentimenti: le relazioni amorose citate qua e là sono calcolate come un business, gli uomini sono visti sono come consumatori e "noi siamo tutti americani".

Un analogo slogan riecheggia in John Burlatti sfida la storia di Tiziano Fratus, un testo caratterizzato da una struttura drammaturgica finalizzata alla rappresentazione della solitudine e dell'incomunicabilità dell'uomo moderno. I tre protagonisti - John Burlatti, primo ministro dal nome italo-americano per significare l'assimilazione dell'ideologia politica e dei valori USA in chiave nazionale, la moglie e la figlia universitaria - non si scambiano mai battute, monologano in modo quasi autistico, non si sfiorano nemmeno con gli sguardi. Tuttavia, all'interno dell'ipocrita finzione tipica del loro status borghese, sono le due donne ad aprirsi una breccia nel muro della morale perbenista e conservatrice.

La figlia traduce la ribellione giovanile nel fidanzamento con un ragazzo africano; la moglie, fiera casalinga per scelta non per imposizione come "quelle donne talebane", considera il marito "un uomo perfetto" e poi lo tradisce con un suo stretto collaboratore. L'uomo usa il linguaggio della propaganda politica, parla di benessere nazionale, di sogni di progresso democratico con ricette indirizzate alle giovani generazioni - proibizionismo radicale e lotta all'aborto - miglioramento della giustizia, rafforzamento della scuola e della sanità private, declassamento del sindacato, "cancro di questa società", e l'abolizione di "quelle leggi che impediscono la massima libertà agli imprenditori, e ai lavoratori". I richiami alla realtà italiana appaiono evidenti e attuali, come il fondamentale discorso conclusivo, pronunciato dopo l'11 settembre, in si cui celebra "la guerra per la democrazia, una guerra per la giustizia, una guerra per la civiltà".

In un altro breve testo, California di Edoardo Erba ("Hystrio", cit., pp. 99-101), la scena si sposta in un luogo di meditazione di scuola orientale, spazio solitario nello stato americano del titolo, dove l'anziano maestro, dopo l'attentato di New York, si è chiuso in un silenzio assoluto anche verso i suoi discepoli. La violenza del terrore provoca il totale black out nella comunicazione e il pensiero si chiude in se stesso.
Un atteggiamento non dissimile è manifestato dal Padre nel microdramma Il volo di Fortunato Cerlino e Filomena Lavarone (nel sito www.dramma.it). Il vecchio e malato uomo vive nella sua azienda agricola, ha uno scontro verbale piuttosto acceso con il Figlio, scrittore inurbato alla ricerca di successo, che diventa metafora dell'incomunicabilità tra mondi diversi, tra tradizione rurale e pseudomodernità, visioni della campagna e visioni della città. Ne è esempio la citazione delle Torri Gemelle, trasfigurate in una manifestazione terribile della natura, come "i due violenti soffi di vento [che] si sono abbattuti sull'albero, e migliaia di foglie sono andate perse".

Un'altra riflessione sull'effetto dell'atto terroristico emerge da Orlando, atto unico di Roberto Cavosi [nota redazionale: sulll'autore e il testo vedi anche "Teatri della diversità", 24, 2002; di Cavosi vedi inoltre Trilogia della luna] che racconta la storia di Mino, puparo siciliano, alla guida di un teatro di Pupi con passione e serietà coadiuvato dalla moglie e dalla figlia. Tuttavia il pubblico scarseggia. Le gesta del Paladino Orlando contro il feroce Saladino sembrano "roba vecchia", perciò si profila l'idea di cambiare repertorio orientando l'attenzione alla contemporaneità: "Forse dovremmo raccontare l'ultima notte di uno di quei kamikaze. Ci pensi? Con i pupi. Un kamikaze che si appresta a salire sull'aereo...".

Un contributo sicuramente originale per impianto drammaturgico e impasto contenutistico è Quale faccia fare mentre si precipita dal novantaduesimo piano di Massimo Bavastro (in www.dramma.it). La scrittura segue la velocità di caduta di un corpo da una simile altezza, le frasi sono vorticosi pensieri raccolti in nuclei con effetti comici e assurdi. L'uomo è "l'unico superstite della tragedia, (...) uno strofinaccio da cucina che cade".

La struttura monologante caratterizza anche Salomè seconda di Paolo Puppa, un testo che tratta la materia con crudezza e violenza morale mista a depravazione. Ne è oggetto un talebano catturato come trofeo di guerra da un generale americano amante della proprietaria di una lussuosa villa di Cordenons, vicino ad Aviano. La sua prigione è un putrido ambiente, tuttavia la botola rimane aperta perché la figlia è "eccitata" alla visione di quell'uomo-animale, essere mostruoso, che serve "come diversivo" alla noia quotidiana.

2. Medio Oriente

la questione palestinese è un altro ambito storico trattato dagli Scrittori per la pace. La rappresentazione affronta il terrorismo indagando la psicologia e la potenza dell'impulso religioso negli attentatori da una prospettiva narrativa materna. Jihad di Raffaella Battaglini (in "Hystrio", cit., pp. 93-94) e Per volere del martire Jamal di Mario Bonacini (in www.dramma.it) sono due intensi e drammatici monologhi che condividono la figura della madre lacerata tra sofferenza per la morte del figlio kamikaze e la gioia del sacrificio per la libertà del proprio popolo. Le parole slittano dalla realtà al sogno, dalla disperazione al mito della gloria in un panorama di devastazioni militari.

3. Uomini di guerra

La guerra trasforma gli uomini, altera i sentimenti e i comportamenti, popola l'immaginario di paesaggi e azioni altrimenti impossibili. Nei lavori degli Scrittori per la pace si incontrano uomini di guerra in senso stretto, ovvero militari, e uomini direttamente implicati, in qualche modo determinati dal sistema bellico in quanto ne riproducono la logica. Nell'uomo, a livello mentale, la guerra produce conseguenze piuttosto devastanti. E' la follia, talvolta lucida talvolta inconsapevole, che fa perdere il senso delle cose e la loro reale dimensione. L'azione bellica tende a trasformarsi in qualcosa di ludico con effetti infantili fino al trionfo della morte.

Un pilota di guerra di Daniela Morelli (in www.dramma.it) è un monologo ricavato da un episodio veramente successo: un pilota francese compie una ricognizione sulla regione di Grenoble il giorno prima della sbarco in Provenza (31 luglio 1944), che sancirà l'interruzione di simili operazioni di volo. Il ritmo del testo è veloce, le parole esprimono sicurezza fino a quando, forse per un'avaria al motore, l'aereo di ferma, il dialogo con la torre di controllo rallenta, subentra la paura.

Il pilota si spoglia in parte della corteccia militare e diventa uomo che in questi momenti concitati ricorda l'arrivo a New York della moglie argentina con la mamma e lo sviluppo di molte situazioni comiche. Il registro linguistico cambia alla vista di un caccia tedesco all'orizzonte. Il pilota di sente "In-vul-ne-ra-bi-le!!!". Poco dopo viene centrato dal mirino nemico. Un pilota di guerra è sia una rappresentazione che una metafora della solitudine dell'uomo in azioni belliche. Si tratta di un tratto ricorrente nei testi in questione.

Visioni di una battaglia in corso di Remo Binosi ("Hystrio", cit., pp. 94-99) è di fatto un lungo e intenso monologo di una donna-soldato perché l'interlocutore cui si rivolge, il suo uomo gravemente ferito, non è in grado di rispondere. L'azione si articola lungo sei fasi del giorno, dall'alba alla notte, e si svolge in una casa diroccata che alla fine sarà rasa al suolo da un bombardamento aereo. Quello che sorprende è l'intreccio di diversi piani narrativi che si enucleano intorno allo scenario bellico: c'é la dimensione della rabbiosa solitudine della donna colta nella sfera degli affetti femminili quando ricorda con palpitante emozione momenti di felicità amorosa, ormai sepolti dalle macerie della storia, che si incontrano e si scontrano con il suo essere militare.

Nella scena centrale del Tramonto la donna prima punta il fucile e uccide un uomo qualsiasi, coniugando il senso della morte come fosse un piacere ludico connesso alla guerra, poi trasferisce il piacere nella sfera del pensiero di un erotismo trasgressivo vissuto con il proprio uomo più giovane di lei. Infuria la battaglia finale, violenta e dalle conseguenze devastanti ("la città brucia ... Non riescono a fermarli!..."), la donna si affaccia alla finestra e spara, segue una esplosione fortissima. Nell'ultima scena la protagonista indossa una gonna colorata e una camicetta bianca. Siede sulle rovine della casa, rifugio d'amore il tempo di pace ora tomba del proprio uomo. Le sue parole sono delicate, brandelli di felicità lacerati dalla guerra ora sublimati nel sogno.

Cecchini di Massimo Bavastro (in www.dramma.it) è un'opera ambientata in una città assediata, Sarajevo. Per rappresentare due facce contrapposte della stessa vita quotidiana, l'autore sceglie due coppie di personaggi uniti dal comune atteggiamento aggressivo, pur ricoprendo ruoli apparentemente inconciliabili. La prima parte della vicenda si svolge in una camera bruciacchiata di un ultimo piano di un albergo e protagonisti sono due soldati.

Il loro dialogo risulta un crescendo di delirio che prende avvio da discorsi relativi a trascorsi in sette religiose, per poi culminare, seguendo il ritmo vertiginoso di un orgasmo sessuale, nell'uccisione di una ragazza accomodata sulla sedia di un bar. Nella seconda parte l'azione si sposta nel retrobottega di un bar e due camerieri spiano il mondo nascosti come due cecchini. I clienti diventano 'bersagli' immaginari, ma i due amici, segnati da tensioni interne al loro rapporto, diventano vittime della guerra.

4. Genova 2001

La trasformazione delle strade di Genova in occasione del vertice dei G8 nel luglio 2001 in palcoscenico di manganellate e fumogeni con la colonna sonora di urla e sirene delle forze dell'ordine è stato uno spettacolo che ha messo in scena la negazione dei diritti di manifestare culminata in violenza e morte. E' quanto emerge da Genova '01 di Fausto Paravidino (in Teatro, a cura di Franco Quadri, Milano, Ubulibri, 2002, pp. 219-241 si veda anche la nostra recensione a Genova '01 e l'intervista a Fausto Paravidino), che l'autore struttura in quattro brevi atti in corrispondenza delle giornate.

Si tratta di un elenco partecipe di azioni, fatti, provocazioni, secondo lo schema del teatro-documentario, rielaborando in parallelo le impressioni e le testimonianze raccolte da fonti dirette, video e cronache. La contestazione genovese diventa un 'luogo della mente' per lo Scrittore di pace, e la morte di Carlo Giuliani assurge a funereo simbolo della globalizzazione dei potenti nei riguardi della libertà di pensiero che chiede giustizia, legittimità di esistere e incidere nella realtà.

Alla giovane vittima Alessandro Trigona Occhipinti dedica Uomini contro, un dialogo tra un maresciallo e un giovane dell'arma. La scena si svolge nel bagno di una caserma e l'ufficiale è alle prese con un'irritazione agli occhi causata dai lacrimogeni. Interagiscono due reazioni diverse: una velata e sottaciuta rassegnazione al peggio da parte del graduato in contrapposizione ad una visione ingenua e positiva del giovane ("Questa è una eccezione, un fatto che ... eccezionale che non significa niente"). All'improvviso entra in scena il carabiniere responsabile della morte di Giuliani. E' sconvolto. Non parla. "E' uno di leva, non addestrato, [...]. Carne da macello", afferma il maresciallo, il quale, poco dopo, prima di partire per un nuovo servizio in piazza, sputa nel lavabo "a chi ci mette contro".

Tra pièce teatrale e reportage si colloca Portraits: il G8 di Genova di Massimo Calandri e Pino Petruzzelli (in "Micromega", 2/2003, pp. 31-47), un testo finalizzato alla dimostrazione del legame intrigante tra Black bloc e forze dell'ordine. La denuncia risulta molto decisa e costruita su una solida documentazione storica, che si intreccia con i fatti di violenza e repressione di cui di cui è stato palcoscenico il capoluogo ligure.

Ne emerge un quadro assai complesso e contraddittorio che affronta la ricostruzione dei fatti di quei giorni di luglio "per accertare le responsabilità - affermano gli autori - per dimostrare che si possono condividere le istanze del movimento new global ed avere al tempo stesso fiducia nelle forze dell'ordine, prendendo le distanze dai violenti, con o senza divisa.". Dichiarazioni importanti e significative queste, perché orientano Portraits: il G8 di Genova verso i canali del dibattito intorno al rapporto tra repressione e contestazione in modo pacifico e costruttivo.

5. Una conclusione parziale

Ci sono altri contributi non compresi in questa breve ricognizione che avrebbero meritato adeguata considerazione. Tra questi è doveroso ricordare almeno Cuore di cenere di Roberto Agostini, Tutti uguali di Marcello Isidori, Il tempo del vaiolo di Tiziana Colusso, Lo scrittore per la pace di Renato Gabrielli, Amici per la pelle di Aldo Selleri (tutti editi nel sito www.dramma.it), 25 aprile di Luigi Gozzi (in "Hystrio", cit., pp. 101-102), La tisana del tiglio di Paola Ponti (in "Micromega", cit., pp. 48-53).

Ad eccezione del citato Cecchini di Bavastro, caratteristica comune di questi testi è la loro brevità, il voler confondersi in qualcosa di fuggente ma, nel contempo, diventare la speranza di incidere nella corteccia della realtà e delle nostre coscienze. Sembrano bagliori in una notte cupa disturbata da continue esplosioni, le cui bombe o proiettili possono aver colpito o mancato il bersaglio mirato. Il ritorno della luce lo svelerà.

La loro misura contenuta in poche pagine diventa metafora di un pensiero di vita o di morte: la rapidità della lettura accelera la fuga delle parole dalla memoria e dalla realtà perché il fuoco della guerra ha bruciato questo filone drammaturgico oppure perché questi testi si rivelano, all'improvviso e forse domani, del tutto inattuali e anacronistici come vorrebbero - ed è quello che mi piace immaginare - gli stessi autori.












































 









 

Twin Towers
Le Twin Towers di New York

foto da
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