drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Giorgio Gaber o le insofferenze creative

di Maurizio Agamennone
  giorgio gaber
Data di pubblicazione su web 11/02/2003  
Sembra paradossale, o irrilevante, ma all'origine c'è un bambino alle prese con una malattia quasi invalidante (paresi alla mano sinistra): tenace e risoluto, per fronteggiare il suo disagio comincia ad armeggiare con una chitarra "di casa" , imitando il fratello maggiore.

Nel giro di qualche anno, ascoltando dischi americani, ruba le posizioni degli accordi ai chitarristi più grandi e già attivi professionalmente (fra questi, Franco Cerri, che all'epoca suonava alla "Taverna Messicana" di Milano, e i più ricorderanno nei panni, virtualmente zuppi, dell' "uomo in ammollo" di una vecchia promozione televisiva).

Adattando alcune posizioni difficili alle sue dita doloranti, diventa musicista professionale, comincia a esibirsi in locali milanesi a frequentazione giovanile (il "Santa Tecla"), negli anni del primo, timidissimo rock and roll nostrano, fino a conquistare il ruolo di chitarrista e band-leader del "Molleggiato": proprio Adriano Celentano, che non amava provare - e così ha continuato ad agire fino a oggi - e perciò aveva affidato al nostro il compito di curare e seguire le prove per i suoi spettacoli, nel periodo iniziale della sua carriera.

Questo è l'imprinting artistico di Giorgio Gaber, che nasce proprio come strumentista, lontano, alle origini, da qualsiasi habitus da chansonnier o cantautore. È ancora l'Adriano a fornirgli, casualmente, l'opportunità di cominciare, anche, a cantare: poiché disertava le prove, era necessario che qualcuno intonasse le parti vocali, che poi Celentano avrebbe dovuto eseguire in palcoscenico, per tenere insieme la band. Gaber come "fida voce sostituta" del primo Celentano, dunque.

Alla chitarra, come strumento preferito, e intimo, Gaber rimase legato fino alla fine: sulla chitarra scriveva le sue canzoni, e con la chitarra, cantando e accompagnandosi da solo, concludeva i suoi spettacoli, con numerosissimi ed attesissimi bis. Fino alla fine degli anni sessanta, Gaber scrive soprattutto canzoni; le presenta nei festival di Sanremo, alla televisione, ispirandosi a personaggi della vita urbana milanese: la Ballata del Ceruttie il Trani a gogò, entrambe composte con Umberto Simonetta, sono rappresentative di questo periodo, insieme con la più tenera "Non arrossire" e, ancora, la milanesissima Porta romana. Per circa dieci anni, diviene uno degli artisti più rappresentativi e popolari della canzone italiana, conosce Mogol e Nanni Ricordi, gira Caroselli, incide diversi dischi, nel 1969 partecipa a Canzonissima (la trasmissione televisiva associata alla Lotteria di Capodanno: vi presenta Com'è bella la città).

Poi, bruscamente, insofferente, sull'onda dei fermenti sociali, culturali e politici dell'ultimo scorcio di decennio, Gaber abbandona giornalisti, programmi televisivi e modi di facile intrattenimento per inventare una nuova forma di spettacolo che ha segnato la sua attività fino agli ultimi anni: un uomo solo in palcoscenico - con una regia delle luci sempre più accorta: di questa funzione scenica divenne, nel tempo, un maestro. E un genere nuovo di canzone, la "canzone a teatro", prende il posto delle vecchie ballate "milanesi", insieme con una strumentazione che sostiene e valorizza la fisicità della sua performance affidata al suo corpo sottile, lungo, nervoso, l'andatura claudicante, il naso imponente, e alla sua voce, senz'altro intonata, profonda e chiara nella articolazione, ma lontanissima dalla suadenza fonica del grande vocalista.

Eppure, proprio questa voce e quel corpo - un po' sconnessi e poco "a norma" - riuscivano a saturare la scena, senza tregua, e fino all'ultimo respiro, con un'autorevolezza che, quasi, non aveva pari: la sua figura incerta e zoppicante, e il suo gestire sghembo, costituivano un formidabile strumento per tenere il pubblico incatenato alla elaborazione dei suoi lunghissimi monologhi, in cui recitazione e intonazione cantata si alternavano per dare corpo alle parole, in teatro, nel qui e ora della performance, che sostituisce, definitivamente, finzioni e virtualità televisive.

E gli stessi suoi dischi - numerosi e registrati dal vivo - non sono altro, in fondo, che testimoni o documenti dell'evento, vale a dire, i suoi spettacoli: documenti incompleti, perché insufficienti a rappresentare il visuale (per ovviare a questa difficoltà documentaria, sono utili i volumi, con video-cassetta, Giorgio Gaber, Storie del signor G, Polygram Video, 1991 e Id. Parole e canzoni, Stile Libero/Einaudi, 2002), ma proprio per questo significativi nell'indicare lo spettacolo dal vivo - il palcoscenico - e la partecipazione attiva - la platea, i palchi del teatro - come i vettori principali, forse esclusivi, della sua opera.

Le insofferenze di Gaber continuano nei decenni successivi. Negli anni Settanta, dopo il Signor G (1970) - che Giorgio Strehler e Paolo Grassi ospitano al Piccolo Teatro di Milano, scommettendo sulle qualità affabulatorie e incantatorie dell'ex canzonettista - i lavori più importanti saranno Far finta di essere sani (1973), forse il più vicino all'epica del Sessantotto, Anche per oggi non si vola (1974), Libertà obbligatoria (1976), Polli d'allevamento (1978).

Quest'ultimo marca una nuova insofferenza, alienandogli molte delle simpatie maturate, e ospita uno dei temi critici costanti nell'opera di Gaber, la querelle contro il conformismo e l'acquiescenza, non insofferente, verso le posizioni - politiche, di gusto, di consumo - dominanti. Negli anni Ottanta e Novanta, perciò, prevale una prospettiva severa e arcigna, sferzante e fortemente individualistica, in cui sembra emergere un "io osservante", impegnato a valutare criticamente i modi di azione e pensiero di masse amorfe e stupidamente aggregate in gruppi coesi e omologati, fino a un'estrema insofferenza, un'amara inquietudine (La mia generazione ha perso, 2001), che è pure la nostalgia di una socialità appassionata, nella partecipazione entusiasta e sorridente che tenta di dare un senso alla vita, il rimpianto per un "noi" disperso, che non ha più la capacità di consolare un "io" disperato: "Ma ormai son tutte cose del secolo scorso/la mia generazione ha perso".
Gaber ha composto i suoi spettacoli insieme a Sandro Luporini, pittore viareggino, durante intensi soggiorni estivi, fatti di lunghe conversazioni e fertile scrittura.

 

 




 




Trani a gogo

Trani a gogò/Una stazione in riva al mare
RICORDI 1962, 45 giri










Dialogo
Dialogo tra un impegnato e un non so (1972)
Doppio LP
Registrazione dal vivo dello spettacolo
presentato dal Piccolo Teatro di Milano / registrazioni effettuate al Politeama Genovese
nei giorni 6-7-8 novemdre 1972


le immagini delle copertine dei dischi sono tratte dal sito
www.giorgiogaber.org





Il Signor G
Il Signor G
grafica E. Fioravanti/G&R Associati
Locandina dall'archivio del Piccolo Teatro di Milano
 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013