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Benny Carter, scompare un grande del jazz 

di Giovanni Fornaro
  Benny Carter
Data di pubblicazione su web 17/07/2003  
Non si à mai avuta, probabilmente, nell'ambito delle musiche nate con il secolo appena trascorso, la sensazione che un intero genere sia ormai concluso e storicizzato come con la scomparsa, lo scorso 12 luglio, di Benny Carter. Nato nel 1907 come Bennet Lester Carter a New York, si inserisce già da ragazzo nelle orchestre di jazz, a cominciare nel 1924 da quella di June Clarke e suonando con Earl Hines ed Horace Henderson. Sceglie il sax contralto senza disdegnare tromba, clarinetto, piano perché è con quella timbrica che la sua lucida musicalità, assolutamente melodica, perviene a vette di estremo rigore formale e di swingante attrazione ritmica.


Benny Carter


Dopo la costituzione della sua orchestra e le collaborazioni con Duke Ellington e Fletcher Henderson – a cavallo fra anni ’20 e ’30 – Carter inizia una parabola ascendente che, caso più unico che raro nella storia della musica afro-americana, non avrà mai cadute, attraversando l'intero secolo e tutti gli stili del jazz, marcandone le trasformazioni, anche quelle più radicali e costituendo per questo un elemento di importante continuità sia della tradizione performativa che della prassi di scrittura e armonizzazione.

Fra gli anni Trenta e Quaranta lavora agli arrangiamenti per l'orchestra di Benny Goodman. Dirige in Europa, dalla Francia alla Scandinavia all’Olanda. In Inghilterra collabora con la famosa BBC dance orchestra. Siamo nella "Swing Era", quando il jazz movimentava le notti di tutto il mondo occidentale perché avvertito e vissuto, dai ceti borghesi in ascesa e dalla nobiltà in decadenza, prevalentemente quale musica per ballare. Realizza, in Francia, notevolissime registrazioni con il chitarrista gitano Django Reinhardt (1937).


Benny Carter


Il successivo trasferimento ad Hollywood e la grande notorietà gli consentirono di ben comprendere l'importanza, anche economica, dei nuovi media audiovisivi: si dedicò intensamente all'attività di arrangiatore e compositore di colonne sonore per telefilm e film fra i quali si segnala Stormy Weather del 1943, da una struggente canzone che ha attraversato tutta la storia del canto jazz, da Billie Holiday a Joni Mitchell. La fervente attività non lo rese però impermeabile ai nuovi fermenti artistici, così si trovò a collaborare con artisti, quali Dizzy Gillespie, Max Roach, Charlie Parker, che sarebbero stati i primi protagonisti della "rivoluzione" del Be Bop: senza scomporsi, Carter apportò la sua sonorità stabile, misurata, rigorosa, che riuscì a non entrare in stridore concettuale e neanche stilistico con le innovazioni degli anni Quaranta.


Benny Carter


Nei decenni successivi Carter ha saputo evitare la stanca ripetizione di quanto già sperimentato, sia dedicandosi con successo alla didattica che realizzando alcune registrazioni indimenticabili, per conto di altri (gli importanti arrangiamenti di Kansas City suite – 1960, per Count Basie) o proprio, fra le quali va citata Body and Soul, geniale riarmonizzazione per quattro sassofoni dello storico assolo di Coleman Hawkins, dalle caratteristiche espressive raffinatissime (nel suo Further Definitions – reg. 1961).


Benny Carter


Benny Carter è stato un eroe dell'era dello swing che, inventando melodie e utilizzando gli accordi per cambiare con modalità non traumatiche gli antichi schemi del jazz, ha saputo elevare lo swing ad una sorta di supericona del ballo, "un’elastica e ardente geometria del corpo nello spazio", come seppe scrivere Jacques Réda. Conservando comunque la propria integrità e dignità artistica anche quando, dagli anni Quaranta, il jazz iniziò a perdere "l'equivalente cinestesico, mentale e forse qualcosa di più" (Réda) che lo aveva da sempre legato alla danza. 


 



 
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