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L’Italia sullo schermo. Come il cinema ha raccontato l’identità nazionale


Roma, Carocci, 2020, 367 pp., euro 32,00
ISBN 978-88-430-9891-0

Dato alle stampe nel gennaio 2020, L’Italia sullo schermo è l’ennesimo contributo di valore di Gian Piero Brunetta, critico e storico del cinema divenuto nei decenni un vero e proprio punto di riferimento, accademico e non. A più di dieci anni di distanza dal penultimo Il cinema neorealista italiano (Roma-Bari, Laterza, 2009), il professore emerito dell’Università di Padova ritorna, con una lunga serie di saggi, sul mai abbastanza indagato rapporto tra cinema e Storia; in particolare sulle modalità e sugli approcci con cui il cinema del belpaese ha saputo mostrare e scandagliare le pieghe della nostra identità, dall’ambiente risorgimentale (si pensi al primo film a soggetto La presa di Roma, 1905) fino alla contemporaneità. Il filo rosso del volume è la trasposizione su schermo di imprescindibili figure, episodi e fenomeni italiani, ideologicamente assunti a vero e proprio riflesso della società coeva rispetto alla produzione delle pellicole stesse.

Già nell’Avvertenza Brunetta ricorda il suo pluriennale interesse verso lo studio del cinema come fonte storiografica per la lettura della storia italiana, precisando che «alcuni saggi hanno subito ritocchi minimi, altri sono stati completamente rivisti, ampliati e aggiornati» (p. 13). L’Introduzione si apre con una citazione della giornalista e critica cinematografica Natalia Aspesi che, a fronte dello sconforto per il ridimensionamento dello studio della storia nelle scuole, sottolinea la peculiarità del cinema di non far cadere mai nell’oblio gli errori e gli orrori del passato. Proprio al centro del volume viene evidenziata l’importanza del distacco (temporale e cognitivo) per poter «collocare, in modo più corretto, il testo nel suo contesto, etichettare il film per le idee e le ideologie, le mentalità di cui si fa portatore» (p. 15).

Di notevole interesse è l’analisi delle procedure con cui il cinema degli esordi ha saputo sfruttare il teatro, la letteratura e soprattutto la Storia, a mo’ di nano sulle spalle di un gigante (per richiamare la metafora del filosofo francese Bernardo di Chartres). Svincolatasi dalla becera catalogazione di fenomeno da baraccone, la settima arte ha potuto così legittimare la propria nobiltà culturale e assurgere talvolta a vero e proprio “libro di storia” sullo schermo. Muovendosi anche oltre i confini nazionali e adoperando analisi comparate e intertestuali, Brunetta si serve delle fonti archivistiche e documentaristiche reperite quasi esclusivamente presso l’Istituto LUCE di Roma per indagare in maniera diacronica l’identità europea, il divismo, la costruzione del consenso, la guerra e la Resistenza, l’emigrazione, le influenze del cinema italiano all’estero, fino a giungere alle svariate forme di rappresentazione della Storia negli ultimi cinquant’anni.

Nel primo capitolo Brunetta sottolinea l’inclinazione interdisciplinare degli storici tout court ad avvicinarsi alle immagini in movimento, chiamando in causa – ai fini di una maggiormente approfondita lettura delle fonti – metodologie appartenenti ai campi della semiotica, dello strutturalismo e del positivismo. A tal proposito lo studioso sostiene che «il campo cinematografico è diventato sempre più una sorta di vaso comunicante, un contenitore in cui ci sono tantissimi elementi che confluiscono, coesistono, si possono districare, valorizzare e considerare nella loro complessità e interattività» (p. 21). Si aggiunge infine una considerazione sulle molteplici complessità nella comprensione del cinema come linguaggio, considerato un territorio in continua espansione ma che tuttavia stimola i ricercatori ad addentrarsi in zone oscure per scoprire cose impreviste.

Entrando nel vivo dell’iter preannunciato, il volume propone un saggio sul Risorgimento al cinema dall’età giolittiana e fascista fino a quella repubblicana e contemporanea. Passando in rassegna le principali pellicole sull’argomento, Brunetta compie un'intelligente suddivisione tematica ed estetica in base alla vena eroica dei personaggi; a quella sentimentale; a quella legata alla continuità tra passato e presente (in particolare in epoca fascista); a quella nostalgica e a quella narrata dal punto di vista dei vinti, come ad esempio i briganti filoborbonici del Meridione o gli stessi eroi tragici, delusi e rammaricati, di Noi credevamo di Mario Martone (2010), con la struggente conclusione del personaggio di Domenico (Luigi Lo Cascio): «Eravamo tanti. Eravamo insieme, il carcere non bastava: la lotta noi dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola. Noi credevamo…» (p. 62).

Dopo aver affrontato il divismo femminile degli anni Dieci ne L’irresistibile ascesa di Giuditta, il critico giunge a un’attenta riflessione sul portato propagandistico del nuovo medium durante la Prima guerra mondiale. In tale contesto il cinema è utilizzato come vera e propria macchina di consenso, fino al momento in cui «il grande pubblico, bombardato ogni settimana da immagini e racconti di guerra, subisce un processo rapido di adattamento, assuefazione e rifiuto di immagini» (p. 90). Acuto osservatore anche dei fenomeni sociologici, Brunetta si addentra in un’analisi minuziosa dei processi migratori di cineasti e maestranze italiane alla volta del Nuovo Mondo, influenzando le abitudini e l’immaginario americano sia dal punto di vista sociale sia da quello più prettamente cinematografico.

In Divismo, misticismo e spettacolo della politica vengono indagate le modalità con le quali il mezzo cinematografico è riuscito a edificare il mito di alcune tra le principali figure politiche del Novecento: da Mussolini a Hitler, da Stalin a De Gaulle. Sempre rimanendo nel contesto fascista, L’ora d’Africa del cinema italiano si focalizza sull’importanza dei documenti LUCE sulla «benefica luce di civiltà che il fascismo fa scendere sulle terre africane» (p. 176). L’excursus bellico continua nei successivi capitoli dedicati rispettivamente alla guerra civile spagnola e alla Seconda guerra mondiale. Di grande valore la minuziosa analisi del periodo della Ricostruzione in una vera e propria ricerca dell’identità-umanità perduta tra anni Quaranta e Cinquanta: da Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Luigi Comencini, Carlo Lizzani, Pietro Germi e Alberto Lattuada, giungendo a Luciano Emmer, Luigi Zampa e ai film con Totò, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Vittorio Gassmann.

In Cinema come autobiografia e memoria di una civiltà al tramonto, Brunetta definisce la settima arte come luogo in cui «miliardi di persone […] hanno trascorso un tempo importante del proprio vissuto, segnato da emozioni, empatie, pulsioni, transfert, desideri, traumi, sogni e passioni» (p. 289). Segue un’analisi delle cause della crisi delle sale risalente agli ultimi decenni, complice la proliferazione massiva di emittenti televisive ma anche una crisi di idee e di coraggio sia negli sceneggiatori che nei produttori (da tenere sempre a mente che un certo Federico Fellini non riusciva a trovarne per produrre i suoi ultimi progetti).

In chiusura, con Opere-mondo e cantori della storia d’Italia del Novecento si tratteggia il percorso che alcuni tra i più grandi autori del cinema italiano (ma anche del mondo) hanno compiuto nel cantare le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese a partire dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri: da Francesco Rosi a Bernardo Bertolucci, da Elio Petri a Ermanno Olmi, dai fratelli Taviani fino a Marco Tullio Giordana. La trattazione di questo labirintico dedalo di viuzze politiche, ideologiche, economiche e oscure, della produzione artistica nostrana, deve renderci tutti fieri del nostro cinema, al pari dell’inestimabile eredità rinascimentale che così bene ci contrassegna. Brunetta incastra nel mosaico della sua bibliografia un altro imprescindibile tassello.



di Giuseppe Mattia


La copertina

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