Tra i giovani ricercatori che si
occupano di letteratura italiana del Settecento Valeria Tavazzi è certamente una delle più preparate e prolifiche.
Tra i suoi studi di maggior spessore si contano un saggio sui romanzi teatrali di Antonio Piazza e Pietro Chiari, e ledizione critica della Commediante in fortuna dello stesso abate bresciano.
Il suo ultimo lavoro risale invece la china degli anni per indagare il periodo
più oscuro della produzione letteraria di Carlo
Goldoni, quello al servizio dei teatri Grimani e antecedente la riforma. Tramite
uno scavo dei testi attento e libero da pregiudizi legati al fortunato destino del
veneziano, Valeria Tavazzi rivaluta e approfondisce lindagine degli esordi
goldoniani in cui ebbero un peso determinante «lesperienza di una comicità
bassa e parodica, mutuata dal mondo degli attori e ben presto ripudiata, nonché
il contatto con autori poco noti che potrebbero avere aiutato il giovane
Goldoni a prendere coscienza del ruolo dello scrittore per la scena» (p. 5).
Tra questi ultimi si annoverano Antonio Gori e Domenico Lalli, drammaturghi stipendiati a loro volta dalla
famiglia Grimani, sulla produzione
dei quali lautrice del saggio si sofferma nel primo capitolo. Lanalisi delle
strutture tematiche e linguistiche degli intermezzi firmati da Gori, messa a
confronto con quella degli omologhi componimenti goldoniani, induce la studiosa
a ipotizzare un sistema di prestiti reciproci tra i due colleghi. Svolto in
questi termini, il riesame della produzione comico-musicale del San Samuele
negli anni 1734-1736 impone di ridimensionare la portata innovativa del
contributo goldoniano al genere dellintermezzo, e di restituire dignità
letteraria al lavoro di Gori. Come già aveva sottolineato Piermario Vescovo, infatti, nella produzione di questultimo si
nota «una sostanziale precedenza nella scoperta o valorizzazione
dellambientazione e caratterizzazione veneziana del genere».[1]
Alla luce di queste
considerazioni appare quindi riduttivo credere a unideale evoluzione della
struttura drammaturgica dellintermezzo verso quella più elaborata e complessa
dellopera comica, lungo il cui percorso Gori e Goldoni costituirebbero tappe
successive e affatto indipendenti del medesimo percorso “evolutivo”. Al
contrario risulta più utile rimescolare le carte per individuare piuttosto nel
confronto tra i due poeti la scintilla capace di accenderne linventiva. In
questa prospettiva il teatro San Samuele, con i suoi comici, è la fucina da cui
viene sfornato un prodotto modellato secondo una nuova e più raffinata regola
dellArte. A questo proposito Valeria Tavazzi non manca di riconoscere che Momoletta, il più lungo e articolato
componimento di Antonio Gori, nonché uno degli ultimi per i comici di Giuseppe Imer, «conserva […] tracce di
una drammaturgia veneziana già abbastanza matura, che accosta allelaborazione
dei travestimenti e allespediente metateatrale del mondo nuovo, scenette
domestiche che sembrano farci pregustare addirittura il Goldoni maggiore» (p.
25). Nello stesso e in altri intermezzi non mancano neanche i riferimenti alla
cultura “alta”, una non scontata versatilità linguistica e unattenzione alle
didascalie che prova una funzionale conoscenza della pratica scenica da parte
dellautore.
Come riconosce giustamente Giulio Ferroni nella sua Presentazione, lo studio di Valeria
Tavazzi ha il grande merito di chiarire come «il formarsi e lo svilupparsi
della comicità goldoniana scaturisca dalla concretezza della vita teatrale
veneziana, dagli stimoli continui e contrastanti dati da quel costante scambio,
dialogo, contrasto con esperienze contemporanee, da quel fitto circolare di
testi e di spettacoli, dalla reattività di autori, compagnie, pubblico, dallo
stesso incontrarsi ed entrar in frizione di generi teatrali diversi» (p. VIII).
In questo contesto le recriminazioni di Goldoni circa il presunto furto del suo
primo intermezzo compiuto da Gori (si tratta evidentemente della Cantatrice che sarebbe stato rimodellato
col titolo di Pelarina) si stagliano
nitidamente sullo sfondo della missione teleologica condotta a posteriori dal
veneziano nelle sue Memorie, tanto
francesi che italiane. Ciò che Goldoni rivendica non è davvero la paternità dellintermezzo,
quanto il ruolo di iniziatore di un genere in cui riconosce i prodromi della
commedia di carattere e del quale desidera pertanto mostrarsi indiscusso campione.
Come per Gori, Valeria Tavazzi
propone poi un riesame delle opere dello scrittore napoletano Domenico Lalli e
delle descrizioni che di lui offre Goldoni nelle memorie e nella dedica dellAristide. Ne risulta un sistema
dialogico che, opponendo le Rime
lalliane alle celebri righe dellavvocato, illustra i controversi rapporti tra
i due direttori del San Giovanni Grisostomo. In particolare, dietro le
amichevoli attestazioni di stima e amicizia, Goldoni sembra covare contro il
collega un desiderio di rivalsa. Risultato di accordi economici sugli
emolumenti derivanti dalle dediche che favorivano Lalli a scapito del più
giovane scrittore, la “ritorsione” si sarebbe manifestata in un mirato occultamento
dei debiti intellettuali contratti dallavvocato nei confronti del suo
predecessore. Lindagine è condotta dallautrice del saggio tramite una grande
attenzione alle sfumature presenti nelle fonti, e serve a ribadire
lappartenenza del veneziano a un sistema produttivo originale, ma di matrice
non individuale.
Il terzo capitolo è dedicato
dallautrice alle connessioni tra i drammi musicali confezionati da Goldoni per
i comici del teatro San Samuele e i coevi componimenti satirici rappresentati
negli altri teatri di prosa della Serenissima. Lesame del «dramma eroicomico
per musica» Aristide illustra ancora
una volta la prossimità di Goldoni rispetto a un genere satirico ampiamente
frequentato dalle compagnie dellArte nel primo Settecento, ma evidenzia allo
stesso tempo una prima vera presa di distanza dellavvocato dalla loro comicità
più bassa. Il gioco di rimandi allopera seria che distingue il testo non
sembra avere infatti funzione parodica, ma si fonda bensì su slittamenti esigui
di temi o scambi di personaggi che alludono ai modelli seri senza deriderli,
limitando le scene ridicole a pochi scambi di battute tra i servi.
Differentemente da Aristide, che
sembra avere più somiglianze con lopera musicale anteriore alla riforma
zeniana, Lugrezia romana in
Costantinopoli mostra una sostanziale conformità con le parodie
primosettecentesche, caratterizzate da una comicità greve e scurrile. Da questo
doppio confronto emerge un Goldoni ancora lontano dagli ideali della riforma
promulgata a partire dagli anni Cinquanta del secolo XVIII, diviso tra ricerca
di una comicità “nobile” e parodia spicciola (del genere serio che sta peraltro
parallelamente frequentando).
Nellultima tappa del suo studio,
Valeria Tavazzi mette sotto esame Il
teatro comico, assurto dalla critica a manifesto della riforma goldoniana.
La studiosa riconsidera le funzioni programmatiche del testo in virtù dei
rapporti vigenti tra il commediografo, il capocomico Girolamo Medebach, il rivale Pietro Chiari e altri autori di teatro
attivi a quel tempo. Ne risulta una grande complessità di piani e relazioni con
la produzione letteraria precedente e contemporanea, che aiutano a riquadrare
debiti e obiettivi della commedia ed evidenziano la vena militante di un
Goldoni impegnato su più fronti: le gare
teatrali con labate bresciano; il confronto con il capocomico sulle
responsabilità in compagnia prima e sui diritti editoriali poi; il rapporto con
testi e rappresentazioni coevi dietro il cui carattere metateatrale si svelano
compiti maieutici; il riequilibrio dei rapporti di forza tra teatro musicale e
teatro di prosa.
Il libro di Valeria Tavazzi costituisce
un tassello importante nello studio di Goldoni e del teatro veneziano del primo
Settecento in genere. Il suo merito maggiore è quello di aver recuperato e dato
un posto alla prima produzione goldoniana, quella meno o nientaffatto nota al
pubblico e ancora poco chiarita dagli studi scientifici, dandole un posto nella
ragnatela del repertorio teatrale comico e operistico del primo Settecento,
prima che la riforma si delineasse e desse i suoi frutti.
[1] P. Vescovo, Carlo Goldoni: la meccanica e il vero,
in I. Crotti-P. Vescovo-R. Ricorda, Il “Mondo vivo”. Aspetti del romanzo,
del teatro e del giornalismo nel Settecento italiano, Padova, Il Poligrafo,
2001, pp. 55-152: 67.
di Lorenzo Galletti
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