Le celeberrime gare teatrali tra Chiari e Goldoni nella Venezia di metà Settecento sono tuttaltro che un capitolo chiuso, ormai acquisito della moderna storiografia. Lorizzonte agonistico che quelle gare dischiudono – orizzonte multisfaccettato, capzioso e contraddittorio – è ancora in gran parte da sviscerare. Dopo «Parrebbe un romanzo» di Laura Riccò, un apporto decisivo in questa direzione lo offre il saggio di Valeria Tavazzi, edito da Bulzoni, nel quale la studiosa analizza luniverso teatrale della Serenissima, al tempo della “riforma”, partendo da una prospettiva originale: il romanzo.
Genere neo-nato in Italia, dai confini ancora incerti e dalla materia magmatica, il romanzo è a questa altezza cronologica una fucina di riflessioni autoriali sul presente, un tritatutto di umori e suggestioni provenienti dallesterno, una tribuna dove respingere critiche (ad personam) e inoltrarne di nuove; dove perpetrare vendette e dispiegare autodifese. In virtù del suo carattere “militante”, il nuovo genere letterario si pone ai nostri occhi come strumento essenziale per ricostruire (e capire) la scena teatrale dellepoca.
I romanzi dei letterati e drammaturghi Pietro Chiari e Antonio Piazza sono in questa prospettiva una preziosa miniera. Il loro tessuto narrativo, fatto di trame avventurose, lascia trapelare particolari apparentemente insignificanti che celano però riferimenti satirici a persone ed eventi reali, ritrattini caricaturali lasciati anonimi per convenienza, opinioni fugaci che rivelano precise prese di posizione in ambito letterario. In breve, messaggi “subliminali” destinati allaccorto pubblico contemporaneo.
Proficuo, dunque, il lavoro svolto da Tavazzi, orientato allintercettazione di questo sostrato di allusività e alla sua ricomposizione ragionata nellambito di un mosaico complesso. Lattento lavoro esegetico, basato sul confronto di fonti letterarie di vario tipo (oltre ai romanzi, i pamphlets, le poesie doccasione, gli articoli di giornale, le prefazioni ai testi teatrali), ha permesso di dare volto e nome a compagnie e personaggi bersagliati di volta in volta dalla satira dei due menzionati romanzieri, nonché di gettare nuova luce su questioni di capitale importanza per la storia del teatro. Si pensi alla già citata riforma teatrale, o alle polemiche editoriali (tra Bettinelli e Goldoni, per esempio), o, infine, ai tradizionali giudizi storiografici sullo stesso Goldoni, su Chiari e su Gozzi.
Ricco di spunti lapprofondimento dei romanzi chiariani, cui è dedicata tutta la prima parte del volume. Qualche esempio. Ne La filosofessa italiana (1753) è meritevole dattenzione la proposta, ironicamente filtrata dallautore, di adattare le commedie classiche di Aristofane, Plauto e Terenzio a canovacci per la recitazione allimprovviso. Una drammaturgia alternativa alla riforma proposta da certe frange nobiliari dellepoca, invocata nel romanzo dallo stolto Marchese di Mondepin, probabile controfigura di Luigi Pindemonte, futuro collaboratore, guarda caso, della troupe di Antonio Sacchi (come documentato da Gozzi). Satira circostanziata, dunque, con destinatario preciso.
Ancora. In un altro romanzo, La commediante in fortuna (1755), Chiari indica in Marbele, alias Girolamo Medebach, «il vero ed unico riformatore del teatro italiano», attribuendo al grande capocomico «il ruolo che da anni [labate bresciano] cerca di contendere a Goldoni». Unoperazione controproducente solo in apparenza: invalidando il suo ruolo attivo nella riforma, Chiari invalida indirettamente anche quello del suo acerrimo e più diretto rivale.
Parimenti notevoli gli esiti della (ri)lettura dei romanzi di Piazza. In Giulietta (1771), ad esempio, il letterato veneziano, chiarista pentito, rivendica a Goldoni la palma di riformatore. Il celebre brano nel quale egli descrive, a distanza, e in qualità di testimone oculare, le già nominate gare teatrali, è stato troppo a lungo considerato un documento attendibile di come andarono davvero le cose. Negli anni Settanta del secolo, quando Piazza scrive, leco di quelle gare è in realtà tuttaltro che sopita, e la partigianeria ancora tangibile. La versione piazziana si rivela insomma poco obiettiva. Come la stessa Tavazzi suggerisce, sono da riconsiderare in questottica «numerosi aspetti della scena veneziana – le evoluzioni della commedia dellarte, lappropriazione chiariana della riforma e la cristallizzazione delle gare – considerati finora per lo più attraverso il monumento che Goldoni stesso ha elaborato con scaltrita attenzione propagandistica» (p. 200). Nei Mémoires e non solo.
di Gianluca Stefani
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