From left to right non è solo il titolo di una videoinstallazione
musicale dellartista e performer Michele Sambin, ma anche un invito a
seguire, leggendo la prima monografia su di lui curata da Sandra Lischi e Lisa Parolo,
il filo rosso del rigore creativo sotteso alleclettismo che permea lintero
corpus delle sue opere. Il libro tesse una conversazione continua tra chi
scrive, lartista e le sue creazioni, tre linee che, senza intersecarsi,
vanno avanti a interrogare parallelamente i materiali di volta in volta presi
in esame: un universo di informazioni
contenute in altri libri, archivi multimediali, opere di altri artisti e di
altri tempi ancora recuperabili o idee conservate nella memoria del performer, lunico a poterne dare
testimonianza. In questo senso acquista rilevanza scientifica la corposa
intervista gestita da Lisa Parolo e Michele Sambin, le cui immagini
accuratamente selezionate corredano fin dalle prime pagine lintero testo.
La monografia prende le
mosse dalla memoria dellartista e allimportanza di questa fa ritorno alla
fine quando, di nuovo Lisa Parolo, tira le somme di un lungo e complesso lavoro
di archiviazione che si è necessariamente avvalso, oltre che di una dettagliata
documentazione, anche del contributo dellartista stesso, al fine di
ricostruire il giusto contesto espositivo per ognuna delle diverse tipologie di
opere catalogate e consegnate alla fruizione del pubblico di oggi e di domani.
A mettere in relazione il
lavoro di Sambin con il contesto internazionale interviene il contributo di Sandra
Lischi che traccia un quadro delle sperimentazioni in ambito videoartistico tra
gli anni Settanta e Ottanta, evidenziando le caratteristiche – indagate nello
stesso periodo da artisti quali Nam June
Paik, Steina e Woody Vasulka, Bill Viola, Robert Cahen
– che legano limmagine video, più che alla fotografia e al cinema, al suono e
alla musica proprio in virtù di quelle connotazioni tecniche che consentono al
nuovo medium di far scaturire da una
stessa sorgente immagini e suoni, eliminando quindi la necessità di
immobilizzarli nel tempo e di rielaborarli successivamente. Lopportunità di
riprendere e trasmettere in simultanea permette a Sambin di riflettere nelle
sue opere sullimpossibilità di conservare il tempo e quindi anche sullambiguità
del potersi riconoscere nella propria immagine riflessa. Viene messo in
evidenza inoltre come, grazie alla tecnica del videoloop, opere video di Sambin quali Il tempo consuma (1979),
VTR&I (1978) e soprattutto Sax (1979)
muovano già in qualche modo verso il teatro in quanto cercano di combinare fra
loro temporalità differenti: quella della trasmissione in diretta, della
differita e dellesibizione dal vivo.
A Silvia Bordini è invece affidata una ricognizione dei luoghi,
istituzionali e non, dove gli artisti hanno potuto sperimentare i nuovi
linguaggi. Se Bordini unisce alla descrizione degli ambienti artistici
frequentati da Sambin un ampio ragguaglio sui luoghi della sperimentazione
produttiva nel campo della videoarte in Italia e spazia da Roma a Bologna e da
Acireale a Milano, Lisa Parolo si concentra invece sui luoghi della
documentazione e della fruizione dei video tra Venezia e Padova. In aggiunta
alla ricca documentazione fornita dal saggio sul contesto storico artistico in cui egli
operava, Michele Sambin sceglie di affiancare al testo immagini che riproducono
il catalogo della sua prima mostra personale (Padova, 1972), dal quale emerge
una costante della sua ricerca: la centralità della riflessione sullautonomia
indispensabile allopera darte affinché possa farsi mezzo di relazione.
Riccardo Caldura indaga linsieme delle opere grafiche dellartista,
costituito prevalentemente da disegni, schizzi, acquerelli, chine che portano
il segno di idee e progetti legati tanto alla ricerca video quanto, poi, allelaborazione
di schemi o vere e proprie partiture sceniche per il teatro. Interessante in
particolare risulta il rapporto tra forma e suono che emerge dagli esempi della
produzione grafica di Sambin posti ad accompagnare lo scritto, non solo laddove
i lavori sono ispirati e dedicati a celebri musicisti o a precisi strumenti
musicali, ma soprattutto nellambito delle illustrazioni per linfanzia, dove
il segno conserva tracce della continua ricerca tra gesto/movimento e
musicalità, o negli studi sul rapporto tra tempo e spazio come i Disegni spartito. Caldura colloca in un
insieme a parte e più specifico – definito da Sambin stesso come “pittura
musicale” – quelle opere in cui la fusione tra musica e suono è perseguita
ancor più scrupolosamente, e che portò tra gli anni Ottanta e Novanta alle
raffinate soluzioni grafico-pittoriche delle Partiture musicali e dei
Disegni astratti, in cui le immagini sembrano sfuggire, come potrebbero
fare effettivamente solo su uno schermo, allimmobilità visiva e temporale.
Il fondamentale passaggio
dalla partitura visiva alla sperimentazione in ambito videoartistico viene
approfondito da Roberto Calabretto,
il quale analizza in parallelo sia il carattere ludico con cui lartista si
avvicina alla pratica strumentale, sia il lavoro con il gruppo musicale Arke
Sinth, fondato insieme ad Alvise Vidolin
e Giovanni de Poli. Al loro fianco
Sambin sperimenta la musica elettronica e lavora sullaccostamento tra immagini
e suono. Come si può leggere nellintervista in apertura del libro, il suo
intento è sempre stato quello di applicare le teorie ejzenstejniane sul
montaggio filmico, in modo da combinare rigore tecnico ed emotività. Spetta a Bruno Di Marino portare nel suo
contributo critico degli esempi che esplichino il differente rapporto di Sambin
con il video – usato in modo da indagare sempre con particolare attenzione gli
intervalli cronologici in relazione al flusso delle immagini – e con la
pellicola, della quale si serve per indagare, secondo modalità differenti da quelle
utilizzate per la realizzazione di opere su nastro magnetico, le qualità
squisitamente pittoriche delle immagini in movimento.
Echi della ricerca di
Sambin intorno al concetto di circuito chiuso raggiungono anche le performances in cui lartista è coinvolto
principalmente dal vivo, come in occasione della sua esibizione di fronte al
pubblico della Settimana internazionale
della performance (Bologna, 1-6 giugno 1977). Alla partitura video/sonora
si affianca in questo caso una necessaria partitura fisica che, come segnala Francesca Gallo, influisce sullesecuzione
allontanandola dal progetto iniziale «in cui era prevista la confluenza delle
diverse riprese in un unico monitor, quadripartito» (p. 143). In Autoritratto per 4 camere e 4 voci
(1977) Sambin «ruota su se stesso» (p. 142), associando al movimento una
precisa partitura musicale di respiri e suoni che porta in scena, oltre che in
video, la sua ricerca sulla compresenza di differenti e sfasati punti di vista
e di ascolto. Nella video performance di poco precedente Playing in 4, 8, 12… (1977), in cui viene sperimentato luso del
mixer video, lartista si appropria della tecnica del contrappunto musicale e
ne dà una versione visiva che contribuisce, come il procedimento del videoloop, a
manipolare gli strumenti – musicali o tecnologici – per «trasformare il
monologo in dialogo» (p. 145).
Una installazione
interattiva del 1978, della quale non sono rimasti altri documenti che i
disegni preparatori, viene presa in esame da Andreina Di Brino, che analizza non solo il passaggio dal segno
tracciato su carta allinstallazione, ma anche le riflessioni sul punto di
vista dello spettatore, chiamato a confrontarsi attivamente con limmagine
proposta dal monitor. In Ripercorrersi (1978)
Sambin rompe il rapporto privilegiato e intimo tra ciò che viene ripreso e chi
osserva, invertendo radicalmente i ruoli: quella che sul disegno viene
rappresentata ancora come una platea, si rivela agli occhi della studiosa come
il nuovo centro della scena. In questottica le annotazioni di Sambin in
margine al disegno possono essere a pieno diritto definite drammaturgiche: lartista
non si limita infatti a descrivere come sono collocati gli oggetti o le persone
nello spazio, ma come i diversi elementi occupino posti ben precisi per
stimolare nello spettatore/attore delle reazioni, improvvisate e libere, ma
dirette dalla partitura scenica composta da Sambin.
A questultima riflessione
si collega il contributo di Cristina
Grazioli che, a partire dai primi oggetti funzionali costruiti dallartista,
arriva a rintracciare nel materiale scenico ideato per gli spettacoli del TAM
Teatromusica unattenzione costante alla qualità estetica degli oggetti, ai
quali è sempre demandato il compito di attivare un vero e proprio dialogo con
lo spettatore. Il saggio procede su questa linea accostando lopera video a
quella teatrale e mettendo in evidenza limportanza dei dispositivi
illuminotecnici o di proiezione che concorrono a frammentare e successivamente
a ricomporre in un intero le immagini/suono previste dalla partitura dello
spettacolo, fino alle recenti soluzioni della pittura di luce digitale (Light Digital Painting), grazie alla
quale è il performer stesso a creare
dal vivo i segni luminosi.
Prima di arrivare al già
citato contributo finale di Lisa Parolo, che mette in luce quale sia oggi il
compito dellarchivista, al quale è richiesto anche di costruire una
documentazione sulle possibili strategie di conservazione e di «ri-creazione»
(p. 224) delle opere, Anna Maria Monteverdi chiude il libro con un ricco excursus
in cui riepiloga il percorso di Sambin da pioniere della video performance, che
indaga il concetto di ripetizione sfruttandone tutte le potenzialità
generative, fino agli ultimi racconti visuali in cui, come ha scritto Fernando Marchiori in un altro libro
ricco di riflessioni (Megaloop. L'arte scenica del TAM Teatromusica, Corazzano, Titivillus, 2010), la pittura,
attraverso il video, si fa scena.
Mariangela Milone
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