La vita è arte. Ma, soprattutto: lArte è Vita. È possibile quindi bloccare la prima in una forma definitiva? No, stando alla lezione impartita in questi ultimi 30 anni dallattività dal gruppo Tam Teatromusica, fondato nel 1980 da Pierangela Allegro, Laurent Dupont e Michele Sambin. Non a caso, la simbologia ricorrente nelle immaginifiche performance dellensemble padovano (vere opere sceniche «in equilibrio tra immagine, suono e gesto») rimanda continuamente a evidenti o nascosti movimenti circolari «concentrici, eccentrici, intersecati, elicoidali». La “circolarità” diviene quindi il fondamento ontologico di unarte del divenire, «eterno ritorno del non identico – perché il corpo a corpo è con il tempo, nel quale appunto tutto si consuma, cioè accade trasformandosi». Un continuo in-progress, che non sfocia nellincompiutezza ed è dettato dal categorico «rifiuto della forma chiusa, definitiva: morta». Prende vita, così, unarte dellazione, che manifesta la transitorietà dei suoi fenomeni: unarte viva, appunto.
Anima Blu, 2007
Coerente con questa concezione è Megaloop. Larte scenica di Tam Teatromusica, a cura di Fernando Marchiori. Il volume è stato presentato il 21 maggio a Padova nelle sale espositive del Centro Culturale Altinate/San Gaetano, in occasione della mostra, ad ingresso gratuito, Megaloop. 30 anni di Tam Teatromusica (8 maggio-6 giugno 2010). Interessante notare come il libro sia strutturato secondo una “circolarità” che collega la fine con linizio. E tale ritorno è semantizzato dallincipit dellepigrafe a Chi semina suoni raccoglie senso, saggio conclusivo di Marchiori: «È necessario ricominciare, tornare allinizio, ritrovare lorigine».
La mostra e il libro intendono riproporre la medesima infinita progressione, evidenziata fin dalla scelta del titolo comune ad entrambi: il video loop (invenzione di Michele Sambin del 1978) è la ripetizione continua del filmato, senza evidenti stacchi tra linizio e la fine. Nel caso dellesposizione padovana, «lintenzione non è presentare una mostra storica, ma riallestire la scena dando nuova vita ad alcune tra le opere più significative di un vasto repertorio, non una sintesi del lavoro svolto quanto piuttosto unopera ancora».
Per quello che concerne il volume, limpresa è più complessa, eppur coerente. La pagina stampata diviene un ideale ipertesto in cui è possibile sperimentare una nuova percezione del lavoro già svolto sulla scena: «le stesse immagini del libro, dalla copertina agli inserti a colori realizzati con montaggi di foto, disegni e partiture, sono state “riattivate” con accostamenti e soluzioni grafiche che le rendono per così dire nuovamente originali». Daltra parte, come evidenzia Antonio Attisani (Rinascite del teatro dallo spirito della musica), anche la storia del gruppo non esiste, in quanto tale, perché essa «non è una storia, […] ma una serie di atti, di attraversamenti del tempo e dello spazio, tramite opere che consistono nellincontro sempre rinnovato con le forme». Unesperienza che, guardata nella sua complessità, poco si confà a quella italiana ad essa coeva, ma che si ricollega in modo organico a ciò che è accaduto nel mondo: «la performatività delle arti ha cambiato larte performativa e viceversa, e il processo è tuttora in corso».
Ingres, La bagnante; Man Ray, Le violon d'Ingres;
un'immagine da Perdutamente (1989)
Larte del Tam si costruisce a partire da musica, pittura e movimento. Riflettendo sugli specifici che costituiscono il nodo artistico del lavoro dellensemble padovano, riassumibile ne La disciplina del transitorio, Fernando Marchiori (La traccia luminosa del performer) vi rintraccia una tradizione millenaria, che recupera lessenza del teatro delle origini e assorbe, rielaborandola, lesperienza dei grandi artisti innovatori quali Stanislavski, Craig, Appia, Fuchs e Grotowski. In questo senso, il saggio di Cristina Grazioli, Drammaturgie della luce: Composizione e scomposizione nellopera di Tam Teatromusica, aggiunge un tassello fondamentale, nel mostrare la consapevolezza della lezione di Appia, e soprattutto di Craig, per cui la luce diviene uno degli strumenti privilegiati per la creazione dello spazio.
Spettacoli come Armoniche (1980), Childrens Corner (1986) e Anima Blu (2007) rivelano «la sincronicità della creazione interdisciplinare». Una creazione che, se può apparire «indisciplinata», si conferma invece «disciplinatissima ordinata nel suo sviluppo fino allossessione in certi passaggi creativi di millimetrica precisione compositiva ed esecutiva». Segno di questo: le Partiture dei movimenti e dei suoni riprodotte nel saggio. Nel percorso verso la ricerca delle origini della poetica del Tam, Marchiori, oltre al già citato saggio, indaga lauto-riflessione di Michele Sambin intorno alla sua stessa arte. Sul filo della voce mette a fuoco un momento “particolare” in cui lartista è passato «anche attraverso unapertura alla parola e alla testualità […] dopo unampia prima fase in cui si era rigorosamente astenuto dallimpiego del linguaggio verbale nel complesso intreccio della sua scrittura scenica». In questa complessa e affascinante indagine del passato, Riccardo Caldura (Tracce preistoriche. Ovvero intorno al lavoro di Michele Sambin prima del Tam) assomma informazioni importanti, poiché è «nel novero di iniziative ed esperienze che Michele Sambin veniva compiendo a Venezia negli anni Settanta che vanno rintracciati elementi di fondo della ricerca successiva del Tam».
Barbablù, in principio (2000). Immagini tratte dalla partitura
Struttura ciclica, dunque, anche per il volume in oggetto. Suggestivo il titolo dellultimo paragrafo: Ritorno allinfanzia. Il teatro per i bambini è sempre stato negli interessi del gruppo padovano, con lavori come 12 animali, Noncy sento e, soprattutto, Childrens Corner. Negli ultimi tempi, poi, ha tratto nuova energia dal lavoro di Flavia Bussolotto. E questo è vero. Ma ci affascina il fatto che il libro si chiuda con un Ritorno allinfanzia, allinizio, in un ideale videoloop, o, meglio, megaloop, della vita, in attesa di vedere di nuovo tutto da capo, in un cerchio che si ripete allinfinito, ma mai uguale a se stesso. Perché larte è vita, certo, ma in questo caso, soprattutto, la Vita è Arte.
di Diego Passera
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