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Terra di nessuno

di Giuseppe Mattia
  Green Border
Data di pubblicazione su web 10/02/2024  

Dopo tre anni dal facilmente dimenticabile Šarlatán (2020), la veterana Agnieszka Holland torna all’attenzione della critica mondiale dirigendo e co-sceneggiando il dirompente Green Border (Zielona granica), presentato alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia durante la quale si è aggiudicato il Premio speciale della giuria nonché, ex aequo con Io Capitano di Matteo Garrone (2023), il Green Drop Award. La natura di questo secondo riconoscimento la dice lunga sull’ultima fatica dell’autrice di Varsavia, riservato ogni anno all’opera che «meglio abbia interpretato i valori dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli». Proprio su quest’ultimo punto ruota il veemente atto d’accusa di Holland, ambientato in uno dei punti nevralgici dell’Europa, al centro di intricate questioni geopolitiche. Attraverso cinque storie destinate a legarsi, a intrecciarsi, a perdersi, la regista classe 1948 realizza un’opera essenziale ma anche scomoda, per molti, a partire dallo stesso governo polacco e dalla commissione giudicatrice nazionale che ha deciso di estromettere illogicamente il film dalla corsa ai prossimi premi Oscar.



Una scena del film

Una suggestiva ripresa aerea sorvola un bosco paludoso, glaciale, ostile, solcato da un filo spinato a sancire un’invalicabile linea di demarcazione – non solo fisica ma anche politica ed etica – tra Polonia e Bielorussia. Attraverso una scansione in capitoli – funzionale per isolare ciascuna storia conferendole il giusto spazio – vengono presentate le pedine di un’atroce scacchiera, ognuna a proprio modo destinata a confrontarsi con tale confine e con i concetti di individualità e umanità. Il primo nucleo è formato da una famiglia di rifugiati proveniente dalla Siria e da una donna di mezza età di origine afghana, tutti intendi ad atterrare a Minsk per poi varcare la frontiera, raggiungere la Polonia e, da lì, la Svezia. A difesa della frontiera polacca c’è una giovane guardia in procinto di diventare padre per la prima volta. A difesa, invece, delle tribolate figure respinte brutalmente al confine, vi è un gruppo di giovani attivisti che si avvarrà dell’aiuto di una psicoterapeuta, comune cittadina, decisa a non girarsi dall’altra parte e a fronteggiare il proprio governo nonostante le aspre pene riservate a chi favorisce l’immigrazione clandestina. I migranti diventano come palle da tennis, percosse, scaraventate da una parte e poi dall’altra dalle sadiche guardie di frontiera e dall’esercito sia polacco sia bielorusso, accumulando ferite e perdite indicibili. 



Una scena del film

Il senso di ingiustizia, di indifferenza collettiva e di bailamme – favorito anche dalla babele linguistica nella quale svettano il polacco, l’arabo, il francese e l’inglese – rappresenta forse il punto di forza di Green Border, ambientato nel 2021 con un’appendice finale nel 2023. Holland non si tira indietro nel rendere pubblici i tentativi del governo di Lukashenko di promulgare false promesse di un passaggio indolore verso l’Unione Europea, che si rivela in realtà una tappa infernale in una terra di nessuno. Il coraggio della regista sta anche nel mostrare le sfumature xenofobe dei propri connazionali, adducendo motivazioni tristemente diffuse come, appunto, l’utilizzo dei migranti come “armi” di Lukashenko per colpire la Polonia al cuore. Gli strali prendono di mira anche il governo polacco di Mateusz Morawiecki (2017-2023), nazionalista di estrema destra.

L’assetto drammaturgico ricercato, con pochi ma azzeccati momenti di puro e straziante pathos, si regge su un impianto corale che rende giustizia a ciascuno dei personaggi coinvolti, approfondendo in maniera adeguata le rispettive motivazioni e direzioni. Lo stile documentaristico militante di Holland, sebbene in un film di finzione, è valorizzato dal suggestivo e “gelido” bianco e nero del direttore della fotografia Tomasz Naumiuk, con una tangibile delicatezza e sensibilità anche nei momenti più truci, senza mai calcare troppo la mano e lasciando sempre immensa dignità agli sventurati di turno. Dalla presenza di un comparto attoriale composto da numerosi interpreti non professionisti emerge la predilezione dei primi piani e della micro-gestualità, a riprova di uno sguardo sapiente che rifiuta banali e didascalici moralismi. 



Una scena del film

Al di là del ricorso a tematiche facilmente fraintendibili come opportuniste e furbesche quali la solidarietà tra popoli, la tolleranza e la presa di coscienza davanti le ingiustizie che ci circondano, Green Border rappresenta un richiamo al dovere civile e morale di conoscere, di guardare in faccia la realtà di certe politiche e di certi atteggiamenti individuali, così comuni da coinvolgerci quotidianamente. Assenti, dunque, tracce di pietismo ricercato nonostante non si nasconda il fatto che da sempre esistono morti di serie A e morti di serie B, rifugiati di serie A e rifugiati di serie B: si veda l’amaro riferimento alle più generose politiche di accoglienza dell’Unione Europea riservate ai milioni di ucraini in fuga dall’invasione russa. Nel film non vengono suggerite soluzioni facili ma solo inviti a una necessaria presa di coscienza cosicché noi spettatori siamo costretti a riflettere e a conoscere, condannati all’impossibilità di estraniarci da responsabilità con la scusa di non sapere o di non aver mai saputo.




Green Border
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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