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Adesso è adesso

di Giuseppe Mattia
  Perfect Days
Data di pubblicazione su web 14/01/2024  

Dopo numerosi capolavori e alcune pellicole non propriamente riuscite, anche Wim Wenders sembra essere entrato a far parte di una "nuova primavera" per numerosi autori ormai avanti con gli anni, da Bellocchio a Loach, da Allen a Scorsese a Miyazaki. Nel 2023 il cineasta di Düsseldorf classe 1945 ha presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes Perfect Days, coproduzione germano-giapponese che si è aggiudica i premi per la Miglior interpretazione maschile (Kōji Yakusho) e quello della giuria ecumenica. Il film è inoltre rientrato nella shortlist per l’Oscar al Miglior Film Internazionale 2024, nel tentativo di riportare il premio nel paese del Sol Levante dopo la recentissima vittoria dell’incantevole Drive My Car (2021) di Ryūsuke Hamaguchi. Wenders ritorna a girare nella capitale del Giappone e a proporre un dialogo tra passato e presente a quasi quarant’anni di distanza dal documentario Tokyo-Ga (1985) – dedicato a Yasujirō Ozu – che contrapponeva la società nipponica degli anni Cinquanta a quella contemporanea. In Perfect Days è tangibile l’omaggio ai tempi andati – a partire dal formato quadrato scelto per il film – nonché a Ozu stesso: dalla scelta delle inquadrature, dalla posizione della macchina da presa negli ambienti chiusi fino alla ricerca simmetrica dei corpi e della loro disposizione nello spazio.



Una scena del film

Il sessantenne Hirayama (Yakusho), addetto alle pulizie delle toilette pubbliche di Tokyo, vede scorrere le proprie giornate con un ritmo compassato, con azioni quasi sempre uguali ma sempre con una lieta accettazione di eventuali variazioni ed episodi inattesi: l’uomo si sveglia ogni giorno all’interno della propria camera, ripiega il materasso, si lava il volto, si veste, esce di casa sorridendo al cielo (a prescindere dalle condizioni metereologiche), prende un caffè freddo al distributore, sistema nel furgone l’attrezzatura da lavoro, inserisce nello stereo una musicassetta e parte. A interrompere la sua confortevole routine una serie di incontri: dall’avvenente giovane amica (Aoi Yamada) di un collega strampalato (Tokio Emoto) alla visita di una nipote adolescente (Arisa Nakano) che non vede più da anni, fino all’incontro fortuito con un uomo prossimo alla morte (Tomokazu Miura).



Una scena del film

La sua vita è scandita da azioni ricorrenti e dalla presenza di ambienti e oggetti quotidiani: piscine pubbliche, piccoli ristoranti, bevande, cibo, il letto pieghevole, gli strumenti da lavoro, le innumerevoli chiavi, le piante che cura con dedizione da orefice, i libri e soprattutto gli scatti a rami e foglie d’alberi fatti con un apparecchio analogico. La passione per la fotografia sembra simboleggiare il suo affetto verso il passato, rappresentato proprio dalla pellicola, dal rullino, dal successivo sviluppo in camera oscura e dalla raccolta metodica delle foto in appositi contenitori, catalogati in ordine cronologico. Hirayama rappresenta di fatto l’intoppo “analogico” in un ingranaggio digitale, l’eccezione, la lentezza e la tenerezza a discapito della massa amorfa, rapida, vorticosa e insensibile. Il fatto che Wenders abbia scelto di ambientare la storia proprio nella capitale del Giappone – piuttosto che in campagna – non fa che rinforzare questo contrasto, come si evince dalla scena in cui la nipote scatta foto con lo smartphone mentre lo zio è ancora legato a una vetusta fotocamera. Il digitale e l’analogico non sembrano essere più strumenti, possibilità al servizio dell’uomo, ma vere e proprie condizioni esistenziali nelle quali riconoscersi o meno.



Una scena del film

Un titolo praticamente privo di difetti, solido, lirico, credibile e necessario come non se ne vedevano da tempo. Il suo principale punto di forza risiede nell’efficacia e nell’intensità espressiva e gestuale dell’attore Yakusho, che ritorna a lavorare con un autore occidentale dopo le fortunate esperienze prima in Memoirs of a Geisha (2005) di Rob Marshall e l’anno successivo in Babel (2006) di Alejandro González Ińárritu. Altri incisivi protagonisti di Perfect Days sono i brani musicali (da Velvet Underground a Nina Simone, da Van Morrison a Lou Reed, solo per citarne alcuni) e, appunto, l’elemento della fotografia, come già nell’indimenticabile documentario The Salt of the Earth (2014) e ancor prima nel lungometraggio Palermo Shooting (2008) in cui figura, nel ruolo di sé stessa, anche la “pioniera” fotoreporter palermitana Letizia Battaglia.



Una scena del film

«Komorebi è la parola giapponese per la luce e le ombre create dalle foglie che ondeggiano al vento. Esiste solo una volta, in quel momento». Quest’indicazione, forse chiave di lettura dell’intero film, fa la sua comparsa sullo schermo soltanto dopo i titoli di coda, quasi come se Wenders puntasse ad “arrivare” solo a quegli spettatori con la capacità di aspettare, di avere pazienza, di rimanere in sala a godersi l’ultimo brano e l’abbrivio delle emozioni. Dunque, komorebi rappresenta un invito a vivere il presente, per rendere perfetti gli attimi e, di conseguenza, i giorni e gli anni.




Perfect Days
cast cast & credits
 



La locandina del film



 
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