Dopo
numerosi capolavori e alcune pellicole non propriamente riuscite, anche Wim
Wenders sembra essere entrato a far parte di una "nuova primavera" per numerosi autori ormai avanti con gli anni, da Bellocchio
a Loach, da Allen a Scorsese a Miyazaki. Nel 2023
il cineasta di Düsseldorf classe 1945 ha presentato in concorso allultimo
Festival di Cannes Perfect Days, coproduzione germano-giapponese che si
è aggiudica i premi per la Miglior interpretazione maschile (Kōji Yakusho)
e quello della giuria ecumenica. Il film è inoltre rientrato nella shortlist
per lOscar al Miglior Film Internazionale 2024, nel tentativo di riportare il
premio nel paese del Sol Levante dopo la recentissima vittoria dellincantevole
Drive My Car (2021) di Ryūsuke Hamaguchi. Wenders ritorna a
girare nella capitale del Giappone e a proporre un dialogo tra passato e
presente a quasi quarantanni di distanza dal documentario Tokyo-Ga
(1985) – dedicato a Yasujirō Ozu – che contrapponeva la società
nipponica degli anni Cinquanta a quella contemporanea. In Perfect Days è
tangibile lomaggio ai tempi andati – a partire dal formato quadrato scelto per
il film – nonché a Ozu stesso: dalla scelta delle inquadrature, dalla posizione
della macchina da presa negli ambienti chiusi fino alla ricerca simmetrica dei
corpi e della loro disposizione nello spazio.
Una scena del film
Il sessantenne
Hirayama (Yakusho), addetto alle pulizie delle toilette pubbliche di
Tokyo, vede scorrere le proprie giornate con un ritmo compassato, con azioni
quasi sempre uguali ma sempre con una lieta accettazione di eventuali variazioni
ed episodi inattesi: luomo si sveglia ogni giorno allinterno della propria
camera, ripiega il materasso, si lava il volto, si veste, esce di casa
sorridendo al cielo (a prescindere dalle condizioni metereologiche), prende un
caffè freddo al distributore, sistema nel furgone lattrezzatura da lavoro,
inserisce nello stereo una musicassetta e parte. A interrompere la sua
confortevole routine una serie di incontri: dallavvenente giovane amica
(Aoi Yamada) di un collega strampalato (Tokio Emoto) alla visita
di una nipote adolescente (Arisa Nakano) che non vede più da anni, fino
allincontro fortuito con un uomo prossimo alla morte (Tomokazu Miura).
Una scena del film
La
sua vita è scandita da azioni ricorrenti e dalla presenza di ambienti e oggetti
quotidiani: piscine pubbliche, piccoli ristoranti, bevande, cibo, il letto
pieghevole, gli strumenti da lavoro, le innumerevoli chiavi, le piante che cura
con dedizione da orefice, i libri e soprattutto gli scatti a rami e foglie
dalberi fatti con un apparecchio analogico. La passione per la fotografia
sembra simboleggiare il suo affetto verso il passato, rappresentato proprio
dalla pellicola, dal rullino, dal successivo sviluppo in camera oscura e dalla
raccolta metodica delle foto in appositi contenitori, catalogati in ordine
cronologico. Hirayama rappresenta di fatto lintoppo “analogico” in un
ingranaggio digitale, leccezione, la lentezza e la tenerezza a discapito della
massa amorfa, rapida, vorticosa e insensibile. Il fatto che Wenders abbia
scelto di ambientare la storia proprio nella capitale del Giappone – piuttosto
che in campagna – non fa che rinforzare questo contrasto, come si evince dalla
scena in cui la nipote scatta foto con lo smartphone mentre lo zio è
ancora legato a una vetusta fotocamera. Il digitale e lanalogico non sembrano
essere più strumenti, possibilità al servizio delluomo, ma vere e proprie
condizioni esistenziali nelle quali riconoscersi o meno.
Una scena del film
Un
titolo praticamente privo di difetti, solido, lirico, credibile e necessario
come non se ne vedevano da tempo. Il suo principale punto di forza risiede nellefficacia
e nellintensità espressiva e gestuale dellattore Yakusho, che ritorna
a lavorare con un autore occidentale dopo le fortunate esperienze prima in Memoirs
of a Geisha (2005) di Rob Marshall e lanno successivo in Babel
(2006) di Alejandro González Ińárritu. Altri incisivi protagonisti di Perfect
Days sono i brani musicali (da Velvet Underground a Nina Simone, da Van
Morrison a Lou Reed, solo per citarne alcuni) e, appunto, lelemento
della fotografia, come già nellindimenticabile documentario The Salt of the
Earth (2014) e ancor prima nel lungometraggio Palermo Shooting
(2008) in cui figura, nel ruolo di sé stessa, anche la “pioniera” fotoreporter
palermitana Letizia Battaglia.
Una scena del film
«Komorebi
è la parola giapponese per la luce e le ombre create dalle foglie che
ondeggiano al vento. Esiste solo una volta, in quel momento».
Questindicazione, forse chiave di lettura dellintero film, fa la sua comparsa
sullo schermo soltanto dopo i titoli di coda, quasi come se Wenders puntasse ad
“arrivare” solo a quegli spettatori con la capacità di aspettare, di avere
pazienza, di rimanere in sala a godersi lultimo brano e labbrivio delle
emozioni. Dunque, komorebi rappresenta un invito a vivere il presente,
per rendere perfetti gli attimi e, di conseguenza, i giorni e gli anni.
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