Non è comune che un fumettista abbia il pieno
controllo della trasposizione cinematografica di una sua opera. Rispetto a
Hollywood, la situazione italiana è ancora molto incerta: da una parte non
esiste più una programmazione sistematica del cinema di genere, almeno non come
in passato; dallaltra è più probabile che un autore “esterno” si ispiri
allestetica fumettistica. È il caso di alcuni film usciti di recente: dal
personalissimo Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti (2016) allesperimento supereroistico de Il
ragazzo invisibile di Gabriele
Salvatores (2014), arrivando anche ai musicali estremismi pop dei Manetti Brothers (Song
‘e Napule e Ammore e Malavita,
senza contare il nuovo adattamento di Diabolik di prossima uscita). Né
si può non far riferimento allerrore madornale compiuto da La profezia
dellarmadillo: in concorso
nella sezione Orizzonti della 75° Mostra di Venezia, il film di Emanuele Scaringi non annoverava tra i
suoi realizzatori (Z)erocalcare, autore della graphic novel di partenza (ridicola la sequenza iniziale in
animazione che cerca di riprendere il tratto del fumettista di Rebibbia). Così,
larrivo nelle sale di 5 è il numero perfetto non può che entusiasmare,
considerando che è stato diretto da quellIgor Tuveri (in arte Igort) che nel 2002 pubblicò lomonimo
fumetto; un rarissimo esempio italiano di un autore che moltiplica sé stesso
col passaggio dalla carta alla “celluloide”. Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) è un sicario della camorra in pensione. Lunica cosa
di cui si preoccupa è il giovane figlio Nino (Lorenzo Lancellotti), anchegli camorrista. Per quanto lo abbia
preparato alla vita criminale, tra peperonate e pistole in regalo («luomo non
è come mangia o caca, ma come uccide»), Nino muore tragicamente durante la sua
prima missione. In cerca di vendetta, Peppino si riunisce con la vecchia
squadra di amici: Totò o Macellaio (Carlo Buccirosso) e la (mala)femmena Rita (Valeria
Golino). Scendendo nei meandri della plumbea Napoli degli anni Settanta,
lex sicario è costretto a tornare per unultima battuta di caccia, per
allontanare i fantasmi del passato sanguinario e del presente “tradito”,
andando a colpire nel cuore dellorganizzazione cui ha dedicato lintera vita.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019 «Gli americani non hanno mai capito un cazzo» viene detto verso la metà del film in merito alle differenze con i fumetti italiani dellepoca. Se negli Stati Uniti avevano successo gli albi a fumetto con al centro un eroe (ad esempio LUomo Gatto, il preferito di Nino), lItalia era invece affascinata dai criminali quali lelegante ladro Diabolik o la figlia di un gangster Zakimort. In questa attitudine alla citazione e alla transmedialità, come a rivendicare un primato sul postmoderno rispetto agli States, il regista trova il modo di donare allaltra vera protagonista, Napoli, lo statuto di un pastiche dalle mille sfumature, continuando un discorso sullodierno pulp partenopeo portato allattenzione nazionale dai sopracitati Manetti Bros. e dallanimazione “dautore” di Alessandro Rak (in primis, lo splendido Gatta Cenerentola, 2017). Per la sua Storia e per le storie che la compongono, il capoluogo campano è rappresentato come un porto crepuscolare e piovigginoso, una comoda culla alla fine del mondo creata per quelle anime che si sono perse alla ricerca del tempo che fu e nella fatica di rianimarlo. Peppino è una di queste («ho vissuto la vita come quando bevi un liquore troppo forte: lo tiri giù, ti dà la botta, ma non ti ricordi il gusto»), dal momento che si è premurato di trasmettere la sua “senile” saggezza in eredità al figlio. Ma quando poi quel lascito si disperde «come un ricordo sbiadito» (o «come lacrime nella pioggia», per dirla con lonnipresente Blade Runner), è lì che si ritrova a ripensare a tutto quello che ha fatto, a vedere le cose da una prospettiva totalmente differente, a dubitare persino di chi ha (o ha avuto) più vicino. Solo così può comprendere il senso della frase che più lo tormenta, «5 è il numero perfetto», un modo di dire usato per sottolineare limportanza di ogni essere umano in quanto tale (due braccia, due gambe e una testa) e non in quanto prodotto telecomandabile di una società arcaica e assoggettante (basti pensare alla struttura piramidale delle organizzazioni criminali). E il merito di tale ricchezza narrativa va allinterpretazione sentita di Toni Servillo, nascosto dietro un naso prostetico e unattitudine nichilista che deriva inevitabilmente dal suo intramontabile Jeb Gambardella (La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino).
Una scena del film © Biennale Cinema 2019
Nonostante tutto, Igort non può prescindere da un certo tipo di immaginario doltreoceano; lo dimostrano gli astratti, jazzati titoli dapertura, le cui geometrie ricordano quelle delliconico Saul Bass e dei suoi lavori con Alfred Hitchcock. È il pulp a richiedere un certo tipo di costruzione estetica, soprattutto se lo si intende come unesagerazione dei canoni noir. Mentre la graphic novel è caratterizzata dalla semplicità della linea, al cinema la storia di Peppino si costruisce con ripetuti split screen, effetti chiaroscurali, lunghe ombre, riflessi ambigui, illuminazione fioca, personaggi che corrono sul sottile filo che separa il Bene e il Male (spesso i volti sono mostrati in penombra, cosa tipica del genere fin dalle origini). Inoltre è innegabile anche un certo debito in filigrana nei confronti dei rivoluzionari Sin City (2005) e Sin City - Una donna per cui uccidere (2014), i due film diretti da Frank Miller in collaborazione con Robert Rodriguez (altro raro caso in cui il regista è anche lautore del fumetto): esemplificativa è la sequenza citazionistica in cui una sparatoria al buio è visibile solo grazie alle scintille provocate dai proiettili.
Presentato nelle Giornate degli Autori alla 76° Mostra di Venezia, 5 è il numero perfetto è una chiara espressione del grande potenziale di un cinema italiano di genere che, se sfruttato al massimo, può raggiungere risultati sorprendenti. Ma a monte sono richieste idee coraggiose da perseguire e rispettose linee produttive, come quella di lasciare che sia un fumettista a donare alle proprie immagini “immobili su carta” il magico potere del movimento.
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