“SoderBrecht”
Seconda
produzione Netflix in concorso (dopo Marriage
Story di Baumbach), The Laundromat di Steven Soderbergh è sicuramente uno dei film più attesi al Lido,
tanto da essere stato programmato nella giornata di domenica, ovvero quella
tradizionalmente più affollata da pubblico e addetti ai lavori.
La
storia (nemmeno tanto romanzata) è quella di come si è arrivati ai famosi Panama papers, quellonda anomala che ha scoperto il vaso di Pandora dei
beneficiari di centinaia di migliaia di società off-shore nascoste nei paradisi fiscali, che praticamente ogni
legislazione permette di costituire e che rappresentano il miglior modo per poter
evadere le tasse, accumulare ingenti capitali facendoli di fatto sparire,
oppure rendere “evanescenti” sede, doveri e responsabilità di banche o
compagnie assicurative. Alla base di tutto cè proprio unonda anomala che si
forma allimprovviso in uno dei Georgia Lakes ribaltando una piccola
imbarcazione di pensionati in gita, causando ventuno morti. È così che la
piccola ditta a conduzione familiare proprietaria dellimbarcazione si rende
conto di essere vittima di una truffa, poiché la compagnia con cui si è
assicurata finisce per far capo a un “guscio”, una società di fatto vuota,
senza capitale, senza nessuna possibilità di risarcire le vittime
dellincidente.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019 La moglie di una di queste vittime (Meryl Streep) non si dà per vinta e cerca di capire come mai non avrà nessun indennizzo per la morte del marito. Da lì partirà unindagine dellFBI, che evidenzierà le attività dello studio di consulenza “Mossack & Fonseca”, specializzato nella creazione di centinaia di migliaia di queste scatole cinesi, fino alla violazione e alla pubblicazione dei loro database. Sono proprio il duo Mossack (Gary Oldman) e Fonseca (Antonio Banderas) a fare da stranianti anfitrioni della storia, rivolgendosi direttamente al pubblico per introdurlo nel fantastico mondo dei soldi (con la premessa che «il credito è il futuro della lingua del denaro»), dando così inizio a una divertente commedia che getta uno sguardo leggero (impagabile la scena di Meryl Streep che maneggia un fucile a pompa), ma estremamente inquietante sul mondo degli affari e su come questo abbia lobbisticamente generato percorsi tanto perversi quanto incredibilmente “legali”. Soderbergh “approfitta” della produzione Netflix per continuare (con opposte modalità e migliori risultati) quella ridefinizione del testo filmico già vista lo scorso anno proprio a Venezia con La Ballata di Buster Scruggs dei fratelli Cohen, collegata a una ormai conclamata transmedialità distributiva che destina inesorabilmente le opere fuori dalle sale. Ecco così un film diviso in cinque “segreti”, cinque momenti in cui il regista sembra ripercorrere gran parte del suo cinema (da Erin Brockovich a La truffa dei Logan, passando per Trafic, la saga Oceans, The Informant! e persino Contagion) e che corrispondono a cinque episodi ben strutturati e armonizzati, ma che potrebbero anche essere tranquillamente visti come se fossero una miniserie, senza peraltro perdere la loro efficacia. A questo proposito tornano in mente le parole di Francesco Casetti quando ci ricorda che «il cinema si confronta con le proprie trasformazioni. Qualche volta rischia di arrendersi completamente a esse, e cambiare pelle. Qualche volta cerca di resistere per restare solo se stesso. Più spesso ancora li intreccia con una tradizione, una memoria, unabitudine, e li incorpora in sé» (La galassia Lumière, Milano, Bompiani, 2015, p. 17). Limportante è che sia buon cinema, mi permetto di aggiungere.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019 The Laundromat è quindi un film a suo modo teorico, che in modo ironico e anche autoironico (una delle battute migliori riguarda proprio il regista) riflette e fa riflettere su come vi sia un pericoloso e crudele spettro che si aggira per il mondo: è lo spettro del capitalismo, che con i suoi machiavellici, incomprensibili, diabolici meccanismi riesce a rendere sempre più attuale la famosa frase di Brecht: «Cosè rapinare una banca a paragone del fondare una banca?». Già, cosè? di Luigi Nepi*
Ecco un vero segreto: il mondo non vuole essere salvato
Steven Soderbergh non è
solo un regista prolifico e tuttofare. La sua eclettica carriera non nasconde una
straordinaria capacità di adattamento, merito che gli consente di navigare in
un mare variopinto di generi e tecniche di ripresa: il biopic (Erin Brockovich, 2000; il dittico sulla vita del Che,
2008), lheist-movie (la trilogia
remake degli Oceans, 2001-2007; La truffa dei Logan, 2018), il dramma da camera (Sesso,
bugie e videotape, 1989), il thriller psicologico (Effetti collaterali,
2013) e quello poliziesco (Traffic, 2000), il dramedy (Magic
Mike, 2012), la spy-story (The
Informant!, 2009 e
in un certo senso Contagion,
2011). Sebbene non tutti i suoi film si possano considerare
brillanti come i loro presupposti, a Soderbergh va riconosciuto lo statuto di
un autore impavido che si butta a capofitto su progetti che per altri sarebbero
ostici se non irrealizzabili.
Dopo aver riposto sul comodino liPhone,
(ab)usato per distorcere lo spazio mentale della protagonista di Unsane (2018)
o per richiamare il linguaggio da telecronaca nel poco riuscito racconto sul
basket di High Flying Bird (2019), il cineasta statunitense ha deciso di
rivolgersi a un libro: Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation
of Illicit Money Networks and the Global del giornalista premio Pulitzer Jake Bernstein. Da qui ha tratto
ispirazione per il suo nuovo divertentissimo film The Laundromat (prossimamente
in Italia come Panama Papers), prodotto da Netflix e presentato in
concorso alla 76° Mostra di Venezia.
Una scena del film © Biennale Cinema 2019 Diviso in capitoli (o “segreti”), il film segue il percorso investigativo di Ellen Martin (Meryl Streep), una signora in età avanzata che ha perso il marito in quella che doveva essere unidilliaca vacanza per il loro anniversario di matrimonio. Non contenta della somma di denaro ottenuta come risarcimento, comincia a indagare sulla polizza assicurativa scoprendo una rete capillare di società di comodo (divise tra offshore ed empty shell) create al solo scopo di garantire ai cittadini più ricchi laccumulo di ulteriori fortune. A capo di questo labirintico paradiso fiscale si trovano i due soci fondatori di uno studio legale di Panama city, Jürgen Mossack (Gary Oldman) e Ramón Fonseca (Antonio Banderas). Mentre
alcuni registi ricercano il senso di realtà attraverso il digitale, Soderbergh
ne evidenzia il lato più ingannevole, a rimarcare limpossibilità di una
macchina illusoria come il cinema di catturare la verità. Consapevole di come
la cinepresa «mostri, ma non dimostri» (per citare André Bazin), da buon illusionista sfrutta ogni compartimento della
catena di montaggio, così da trasformare a proprio piacimento limmagine
proiettata. E in questo vorticoso gioco di aspettative confermate o negate, lo
spettatore è portato a seguire quello che il regista vuole, fino a quando non
decide di svelarne il trucco. Con le sue forti componenti investigative e
meta-cinematografiche, lintreccio schizofrenico di The Laundromat è
simbolo di questa visione, sulla scia teorica ed estetica di lavori come Sesso,
bugie e videotape (si vede quello che si vuole vedere e non quello che è
veramente), Oceans Eleven (linganno del cinema come linganno del
colpo), The Informant! o Effetti Collaterali (ciò che vedi non è
esattamente quello che sembra, ma è qualcosaltro).
Una scena del film © Biennale Cinema 2019
Attraverso
una regia ispirata e trionfante, nel film di Soderbergh si sdoppiano i luoghi,
le società e le persone. Innanzitutto, il personaggio di Meryl Streep tende a
moltiplicarsi in più versioni, come quella che si immagina di irrompere con
violenza nella sede della frode e quella che invece si dispera per lennesimo
guscio vuoto. Il regista stesso si duplica nascondendosi dietro la coppia Oldman-Banderas:
da un lato, nella “realtà” dei fatti, sono gli spietati architetti dellinganno;
dallaltro, nelle sequenze extra-diegetiche che introducono i “segreti”, sono
gli istrionici, elegantissimi imbonitori a spiegare perché in molti sono
impazziti nella rincorsa al dio denaro. Infine, il film stesso prende vie
“alternative” rispetto al punto di partenza, dividendosi prima in un quadretto
familiare da commedia degli equivoci (a Los Angeles) e subito dopo in un losco
incontro di stampo mafioso (in Cina); entrambi gli imprevedibili siparietti
sono funzionali per capire le modalità con cui Mossack & Fonseca sono
riusciti a raggirare il mondo intero (impossibile non pensare allopera di Adam McKay, La Grande Scommessa,
2015, e Vice - Luomo nellombra, 2018).
Al termine di questa frizzante, spassosa
struttura a matrioska (merito anche di un serratissimo montaggio dalle
soluzioni più disparate), il prestigiatore Soderbergh conclude il suo splendido
numero di magia con uno “smascheramento” generale, prima dei criminali e
poi del cinema. Spogliando lattore e scarnificando il set cinematografico, The
Laundromat rivela inaspettatamente lessenzialità del suo autore e di un
messaggio da divulgare (la sceneggiatura di Scott Z. Burns usa proprio le parole di John Doe, la “gola profonda” dei Panama Papers): non potendo
sfuggire alla finzione e allinganno di chi si nasconde dallalto della propria
posizione, luomo comune deve sfruttare questa sua condizione a suo vantaggio,
trovandosi un costume-ruolo adatto per fronteggiare i pericoli di un mondo che
non vuole essere salvato.
di Nicola Rakdej**
*Docente a contratto di Laboratorio di critica cinematografica presso lUniversità di Firenze. **Dottore in Scienze dello spettacolo presso l'Università di Firenze. Impaginazione di Ludovico Peroni e Antonia Liberto, dottorandi in Storia dello spettacolo presso lUniversità di Firenze.
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