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Maschere brechtiane per uno Shakespeare di giovani

di Gianni Poli
  La favola del principe Amleto
Data di pubblicazione su web 05/02/2019  

Non stupisce l’uso della maschera in questa nuova rappresentazione del celebre testo shakespeariano ideata da Marco Sciaccaluga per il Teatro Nazionale di Genova. Il regista ha coinvolto nell’impresa non attori fedeli e famosi ma una compagnia di giovani diplomati alla Scuola da lui diretta, intuendo le potenzialità espressive, oltre che didattiche, dell’oggetto maschera. Per felice intuizione (e fortunata occasione), i volti posticci sono quelli realizzati da Ezio Toffolutti per Il cerchio di gesso del Caucaso di Bertolt Brecht (2003) allestito (in francese e in italiano) da Benno Besson, maestro del giovane collega (alle maschere il regista svizzero aveva fatto ricorso anche in un Amleto del 1983). Sciaccaluga intende dunque interpretare il capolavoro come una favola, in nome del piacere che essa suscita ogni qualvolta la si riascolti o se ne goda la messa in scena. La composizione corale è assicurata dal gruppo omogeneo degli interpreti, ben disposti all’entusiasmo di una impegnativa, eccitante collaborazione.

L’intervento drammaturgico è sostanzioso nei tagli di scene e di personaggi. Spariscono ad esempio la confessione e la preghiera di Claudio, nonché l’intervento di Fortebraccio (per una durata che tocca comunque le tre ore intervallo compreso). Più cauto e rispettoso è l’adattamento che, senza travisamenti o aggiornamenti vistosi, introduce comuni modifiche lessicali e qualche filastrocca cantata dal sapore goliardico: una allusione ai trascorsi di Rosencrantz e Guildenstern. Affiora così la simpatia del regista per la “riscrittura” di Tom Stoppard (Rosencrantz e Guildenstern sono morti, 1966), ispirata ai due cortigiani con un flagrante richiamo, appunto, alla necessità della maschera (colto al volo). 


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

La musica è sostituita da una sonorizzazione discreta, ottenuta con la voce e con la semplice percussione manuale degli oggetti di scena. Lo spazio, comprendente il palcoscenico, le quinte e la sala, conta alcuni tavoli in legno componibili al bisogno e una porta, anch’essa dislocabile nelle veloci trasformazioni a vista. Tre teli bianchi forniscono le pareti dell’edificio regale di Elsinore, coincidente con quelle d’un teatro. La luce viene mantenuta intensa e costante, quasi a catalizzare l’indagine razionale sull’aspetto più problematico e misterioso della vicenda esistenziale di fondo. Il ruolo del protagonista è assunto in alternanza, con lo scambio del costume e della maschera, da un attore (Francesco Bovara) e da tre attrici (Elena Lanzi, Lisa Lendaro e Francesca Santamaria Amato). Il risultato di queste variazioni è di sorprendente continuità e coerenza espressiva: ciò si deve anche alla gestualità, che supplisce alla mimica facciale.

Sono importanti i costumi di Maria Angela Cerruti per la connotazione moderna e fantasiosa dei vari modelli, messi in risalto da dettagli quali fibbie, cappelli, calze. Con le maschere variegate di stoffa leggera aderente, che schematizzano le figure smorzandone la psicologia, gli abiti costituiscono il principale elemento visivo di distinzione dei caratteri in gioco. Amleto con baffi, capelli rasati e ciuffo veste una giacca di pelle nera, indossando le calze con trascuratezza falsoborghese; nei monologhi dalla pronuncia decisa e asciutta, evita introspezioni psicologiche per meglio comunicare la sua condizione problematica. 


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Simone Cammarata tinge di comico, senza l’oltranza espressionistica del grottesco, il suo Polonio in livrea nera suscitando risate che si ripetono quando recita il Becchino. La veste bianca, elegante e umile di Ofelia (Giada Fasoli) provoca un bel contrasto con il presagibile destino funesto. Più funereo, ma parimenti anonimo, il soprabito scuro che Gertrude (Giulia Chiaramonte) indossa con trascurato distacco, completato da un cappellino che ricorda quello della Regina britannica. Come spaesata e irresponsabile pare la disinvoltura di Claudio (Gianmarco Mancuso), sovrano dal berretto giallo, improbabile persino in un giocatore di golf. Vivacemente straniato e libero si propone il gruppo dei guitti che, con la coppia regale (Maurizio Bousso e Francesca Santamaria Amato), recita la commedia-in-commedia a conferma del delitto sospettato da Amleto. 

Proprio la recitazione in generale un po’ sorprende perché la promessa, programmata epicità si limita al colloquio a tratti diretto e confidenziale dell’attore con lo spettatore; mentre prevale il dialogo drammatico diretto, serrato per la velocità di concatenazione degli episodi e scandito da una dizione attenta a dominare qualche impaccio causato dalla maschera. Le ovazioni dei molti fans presenti alla prima non distraggono dalla sensazione d’una esperienza generosa e rigorosa, nella quale i talenti attorali sono spesi al servizio del meritato successo comune.



La favola del principe Amleto
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

 
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