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Anfitrione di Plauto

di Diana Perego
  Anfitrione di Plauto
Data di pubblicazione su web 02/02/2016  

Molte risate del pubblico hanno accompagnato lo spettacolo Anfitrione, andato in scena al Teatro S. Lorenzo alle Colonne di Milano il 27 gennaio scorso. La commedia plautina è stata al centro di una interessante operazione drammaturgica a cura dell’associazione di promozione culturale Kerkìs, Teatro Antico in Scena – fondata nel 2011 da un gruppo di docenti, studenti ed ex studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – che ha rispettato lo stile della commedia latina utilizzando un italiano quotidiano.

La trama è fedele al testo di Plauto, di cui come noto è andato perduto il finale originale, qui ricostruito dalla compagnia di attori in un lavoro di studio del testo intrapreso nel Laboratorio di Drammaturgia Antica.

I personaggi “doppi” (Mercurio/Sosia, Giove/Anfitrione) indossano le medesime maschere, le quali, realizzate da Alessandra Faienza, ricordano alcune maschere frammentarie del Museo Archeologico Bernabò Brea di Lipari, riconducibili proprio al genere della commedia (rimandiamo al link).

La sovrapposizione di tali maschere non impedisce la comprensione della vicenda. Mercurio travestito da Sosia e Sosia in persona, pur indossando per giunta il medesimo costume, si distinguono facilmente non solo perché sul pètaso (il cappello a falde larghe) di Mercurio sono ben visibili le ali, come indicato nel prologo, ma soprattutto perché le due brave attrici (Giulia Quercioli, dalla voce tonante e Federica Scazzariello, sempre agile e saltellante) hanno fisicità molto diverse. Anche Anfitrione (Stefano Rovelli) e Giove/Anfitrione (Simone Mauri) indossano uguale maschera con chioma posticcia e costume lasciando allo spettatore il divertimento di una facile identificazione.


Un momento dello spettacolo
©  Aléx Daní
Un momento dello spettacolo 
© Aléx Daní

La scelta di utilizzare le maschere incide, come nel teatro antico, anche sulla gestualità e sulla prossemica dei personaggi. Si pensi a questo proposito agli studi di Giovanni Cerri (Il dialogo tragico e il ruolo della gestualità, in «Engramma» 2012, n. 99; Gestualità nelle Baccanti di Euripide, in «Engramma», 2013, n. 109), che, seppur riferiti alla tragedia greca, aprono una nuova prospettiva di indagine sulla recitazione antica.

La regia di Christian Poggioni e la direzione drammaturgica di Elisabetta Matelli (docente di Storia del Teatro greco e latino alla Cattolica) hanno potenziato il movimento  dei personaggi, sottolineato anche dalla musica originale suonata dal vivo da Adriano Sangineto. Gli attori gesticolano, si spingono, si picchiano, si rincorrono, occupando tutto lo spazio scenico, sul quale due cubi si prestano a funzionali salti.  

Soprattutto la gestualità di Sosia, ripetutamente picchiato a turno dai vari personaggi, è molto viva, a tratti esasperata, accompagnata, a volte, da un turpiloquio che strappa la risata. Il servus truffatore truffato è il personaggio più dinamico, agile, divertente; ricorda l’Arlecchino servitore di due padroni nella magistrale interpretazione di Ferruccio Soleri.

Anche la dolce Alcmena (Chiara Arrigoni), personificazione della matrona romana, moglie devota al marito Anfitrione, a cui in modo simpatico “fa i grattini”, si arrabbia, urla e si dimena, tenendosi la pancia pronunciata di fine gravidanza, quando i suoi valori (la castità, il pudore, il timore degli dèi, l’amore dei genitori) vengono messi in discussione dal marito tradito.

Convincente anche la rhèsis dell’ancella Bromia (Livia Ceccarelli) che riferisce il fragore di Giove, la nascita prodigiosa dei due gemelli e l’uccisione di due serpenti da parte del neonato Ercole. La sua funzione narrativa è quella tipica convenzionale del messaggero (rhèsis anghelikè) che racconta eventi extrascenici. Mentre nella scena finale Giove, sporto dall’alto della casa, evoca la soluzione del deus ex machina.


Un momento dello spettacolo © Aléx Daní
Un momento dello spettacolo 
© Aléx Daní

Nello spettacolo si mescolano armoniosamente tecniche drammaturgiche antiche e soluzioni moderne. Si pensi alle due attrici che recitano personaggi maschili (Mercurio e Sosia), celando la loro femminilità dietro la maschera. Una scelta registica interessante tanto più in uno spettacolo incentrato, seppur in modo tragicomico («farò in modo che sia una commedia con un pizzico di tragico», dice Mercurio nel prologo), sul quesito della identità dell’uomo.

«Il concetto centrale dell’Amphitruo è che la conoscenza e la verità non sono assoluti incontestabili, ma funzione di un rapporto di forze» (Guido Paduano, Identità e verità, in Plauto, Anfitrione, Bur 2013, p. 77); l’identità dell’uomo non dipende quindi solo dalla definizione di sé ma anche e forse soprattutto dalla relazione con gli altri. Sosia: «E allora chi sono, se non sono Sosia? Lo chiedo a te».

Anfitrione è una commedia incisiva, sia a livello linguistico che filosofico. Pur con toni leggeri inscena l’eterno interrogativo dell’uomo sulla propria identità. Il nodo dell’esistenza è evocato dalle corde colorate e annodate che costituiscono la semplice scenografia (realizzata dagli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Brera e Dino Serra).

La constatazione che «siamo tutti doppi», pronunciata da Sosia, non si riferisce tanto e solo alla maschera indossata a teatro ma a quella che portiamo tutti i giorni.

Lo spettacolo ha il merito di cogliere proprio l’aspetto tragicomico della vita «e voilà a vossignoria… la tragicommedia».





Anfitrione
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