«1) È possibile anche solo concepire una “scienza
delle immagini”? […]. 2) Posto che esista una scienza delle immagini, di quale
tipo di scienza dovrebbe trattarsi? Una scienza sperimentale come la fisica o
la chimica, oppure storica come la paleontologia e la geologia? […]. 3) Se mai
esistesse una scienza delle immagini, quale utilità avrebbe per le altre
scienze?» (p. 34).
Sono queste le domande da cui traggono
origine le riflessioni di William
John Thomas Mitchell sui possibili metodi di osservazione e
analisi delle immagini. Rispetto alla “via interpretativa” solitamente adottata
per le arti e per le discipline umanistiche, lo studioso propone un'«indagine empirica»
(p. 34) o, addirittura, una «modellazione astratta, razionale o persino
matematica» (p. 34).
Il volume originale, dato alle stampe nel
2015 con la University of Chicago Press (Image
Science. Iconology, Visual Culture and Media Aestetics), viene considerato un
nuovo importante tassello per la “svolta”
epistemologica della pictorial turn di cui Mitchell può essere ritenuto
uno dei padri fondatori. Dalle prime analisi raccolte dallo studioso nel testo
seminariale Picture Theory. Essays on Verbal and Visual Representation (1994),
la Visual Culture ha visto l'emergere graduale di una nuova attenzione verso
le forme iconiche anche in ambiente italiano: tra i contributi più consistenti
e sistematici si segnalano quelli di Antonio Somaini e Andrea Pinotti,
autori del recente volume Cultura
visuale: immagini, sguardi, media, dispositivi (Torino, Einaudi, 2016).
La versione in lingua italiana del lavoro di Mitchell – la
cui traduzione porta la firma di Federica Cavalletti – oltre a confermare
la rilevanza del testo, consente a un pubblico più ampio di intraprendere,
attraverso la lettura di sedici densi saggi, un viaggio lungo lo sviluppo delle
forme iconiche ricco di rimandi da una disciplina all'altra: dalla pittura alla
letteratura, dalla pubblicità alla filosofia. La scrittura, almeno nella
versione italiana, si offre in una forma lessicale tutto sommato comprensibile
per un pubblico di non addetti ai lavori.
Il volume si articola in due sezioni: Figure e Sfondi. Nella prima Mitchell propone di trattare le immagini
come oggetti scientifici sottolineandone il funzionamento trasversale e
interdisciplinare, capace di palesarne la centralità nei processi comunicativi.
Nella seconda sezione le stesse immagini assumono consistenza nelle varie forme
mediali che le ospitano e le incorporano. Si passa così dalle immagini migranti
tra le varie discipline umanistiche alle icone che mostrano sé stesse alla luce
di una nuova consistenza storica, inaugurando nuove forme sia di spettacolarità,
sia di “spettatorialità”; nonché caricandosi, sulla ribalta dei più
contemporanei teatri degli orrori, tanto di istanze propagandistiche quanto di
condanna o di documentazione. Particolarmente interessante è la disamina sui Luoghi fondativi e spazi occupati (pp.
159-171), dove la dialettica figura-sfondo riporta all'ambiguità dei sistemi
relazionali accolta nell'immagine gestaltica iconica del vaso di Rubin. «Di
norma supponiamo sia una figura a occupare uno sfondo. Ma che succede quando lo
sfondo stesso diventa la figura?» (p. 165)
È Mitchell stesso a tirare le fila delle sue
riflessioni nella breve Coda. Per una
scienza dolce delle immagini: «la
scienza delle immagini proposta in questo libro è quella dell'“empirismo
delicato” di Goethe e della “dolce
scienza” di Blake […] che presenta
la stessa attenzione all'osservatore e all'osservato, al soggetto e
all'oggetto, ai quadri concettuali e ai dati empirici che essi organizzano» (p.
224). A due immagini viene affidato il compito di raccogliere le riflessioni
sull'universo visuale, e non potrebbe essere altrimenti. Due «metapictures inattese» (p. 229) – a
detta dello studioso stesso – quella della boxe e quella della saldatura colte
nella loro dimensione estensoria e protesica mcluhaniana della mano e del
braccio.
«Il
guanto e la chiave inglese, allora, rappresentano il duplice ruolo della sfera
delle immagini quale modalità di contatto tra persone e cose: 1) il suo ruolo
di relazione intersoggettiva o comunicativa […]; 2) la sua funzione di
relazione interoggettiva tra due cose, l'immagine e ciò che essa rappresenta,
un rinsaldamento o un allentamento del legame rappresentazionale» (p. 229).
di Elisa Bianchi