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Megaloop. L'arte scenica di Tam Teatromusica

A cura di Fernando Marchiori

Pisa, Titivillus, 2010, pp. 251, euro 20
ISBN 978-88-7218-291-8

La vita è arte. Ma, soprattutto: l’Arte è Vita. È possibile quindi bloccare la prima in una forma definitiva? No, stando alla lezione impartita in questi ultimi 30 anni dall’attività dal gruppo Tam Teatromusica, fondato nel 1980 da Pierangela Allegro, Laurent Dupont e Michele Sambin. Non a caso, la simbologia ricorrente nelle immaginifiche performance dell’ensemble padovano (vere opere sceniche «in equilibrio tra immagine, suono e gesto») rimanda continuamente a evidenti o nascosti movimenti circolari «concentrici, eccentrici, intersecati, elicoidali». La “circolarità” diviene quindi il fondamento ontologico di un’arte del divenire, «eterno ritorno del non identico – perché il corpo a corpo è con il tempo, nel quale appunto tutto si consuma, cioè accade trasformandosi». Un continuo in-progress, che non sfocia nell’incompiutezza ed è dettato dal categorico «rifiuto della forma chiusa, definitiva: morta». Prende vita, così, un’arte dell’azione, che manifesta la transitorietà dei suoi fenomeni: un’arte viva, appunto.

 


Anima Blu, 2007


Coerente con questa concezione è Megaloop. L’arte scenica di Tam Teatromusica, a cura di Fernando Marchiori. Il volume è stato presentato il 21 maggio a Padova nelle sale espositive del Centro Culturale Altinate/San Gaetano, in occasione della mostra, ad ingresso gratuito, Megaloop. 30 anni di Tam Teatromusica (8 maggio-6 giugno 2010). Interessante notare come il libro sia strutturato secondo una “circolarità” che collega la fine con l’inizio. E tale ritorno è semantizzato dall’incipit dell’epigrafe a Chi semina suoni raccoglie senso, saggio conclusivo di Marchiori: «È necessario ricominciare, tornare all’inizio, ritrovare l’origine».

 

La mostra e il libro intendono riproporre la medesima infinita progressione, evidenziata fin dalla scelta del titolo comune ad entrambi: il video loop (invenzione di Michele Sambin del 1978) è la ripetizione continua del filmato, senza evidenti stacchi tra l’inizio e la fine. Nel caso dell’esposizione padovana, «l’intenzione non è presentare una mostra storica, ma riallestire la scena dando nuova vita ad alcune tra le opere più significative di un vasto repertorio, non una sintesi del lavoro svolto quanto piuttosto un’opera ancora».

 

Per quello che concerne il volume, l’impresa è più complessa, eppur coerente. La pagina stampata diviene un ideale ipertesto in cui è possibile sperimentare una nuova percezione del lavoro già svolto sulla scena: «le stesse immagini del libro, dalla copertina agli inserti a colori realizzati con montaggi di foto, disegni e partiture, sono state “riattivate” con accostamenti e soluzioni grafiche che le rendono per così dire nuovamente originali». D’altra parte, come evidenzia Antonio Attisani (Rinascite del teatro dallo spirito della musica), anche la storia del gruppo non esiste, in quanto tale, perché essa «non è una storia, […] ma una serie di atti, di attraversamenti del tempo e dello spazio, tramite opere che consistono nell’incontro sempre rinnovato con le forme». Un’esperienza che, guardata nella sua complessità, poco si confà a quella italiana ad essa coeva, ma che si ricollega in modo organico a ciò che è accaduto nel mondo: «la performatività delle arti ha cambiato l’arte performativa e viceversa, e il processo è tutt’ora in corso».

 


Ingres, La bagnante; Man Ray, Le violon d'Ingres;
un'immagine da Perdutamente (1989)


L’arte del Tam si costruisce a partire da musica, pittura e movimento. Riflettendo sugli specifici che costituiscono il nodo artistico del lavoro dell’ensemble padovano, riassumibile ne La disciplina del transitorio, Fernando Marchiori (La traccia luminosa del performer) vi rintraccia una tradizione millenaria, che recupera l’essenza del teatro delle origini e assorbe, rielaborandola, l’esperienza dei grandi artisti innovatori quali Stanislavski, Craig, Appia, Fuchs e Grotowski. In questo senso, il saggio di Cristina Grazioli, Drammaturgie della luce: Composizione e scomposizione nell’opera di Tam Teatromusica, aggiunge un tassello fondamentale, nel mostrare la consapevolezza della lezione di Appia, e soprattutto di Craig, per cui la luce diviene uno degli strumenti privilegiati per la creazione dello spazio.

 

Spettacoli come Armoniche (1980), Children’s Corner (1986) e Anima Blu (2007) rivelano «la sincronicità della creazione interdisciplinare». Una creazione che, se può apparire «indisciplinata», si conferma invece «disciplinatissima ordinata nel suo sviluppo fino all’ossessione in certi passaggi creativi di millimetrica precisione compositiva ed esecutiva». Segno di questo: le Partiture dei movimenti e dei suoni riprodotte nel saggio. Nel percorso verso la ricerca delle origini della poetica del Tam, Marchiori, oltre al già citato saggio, indaga l’auto-riflessione di Michele Sambin intorno alla sua stessa arte. Sul filo della voce mette a fuoco un momento “particolare” in cui l’artista è passato «anche attraverso un’apertura alla parola e alla testualità […] dopo un’ampia prima fase in cui si era rigorosamente astenuto dall’impiego del linguaggio verbale nel complesso intreccio della sua scrittura scenica». In questa complessa e affascinante indagine del passato, Riccardo Caldura (Tracce preistoriche. Ovvero intorno al lavoro di Michele Sambin prima del Tam) assomma informazioni importanti, poiché è «nel novero di iniziative ed esperienze che Michele Sambin veniva compiendo a Venezia negli anni Settanta che vanno rintracciati elementi di fondo della ricerca successiva del Tam».

 


Barbablù, in principio (2000). Immagini tratte dalla partitura


Struttura ciclica, dunque, anche per il volume in oggetto. Suggestivo il titolo dell’ultimo paragrafo: Ritorno all’infanzia. Il teatro per i bambini è sempre stato negli interessi del gruppo padovano, con lavori come 12 animali, Noncy sento e, soprattutto, Children’s Corner. Negli ultimi tempi, poi, ha tratto nuova energia dal lavoro di Flavia Bussolotto. E questo è vero. Ma ci affascina il fatto che il libro si chiuda con un Ritorno all’infanzia, all’inizio, in un ideale videoloop, o, meglio, megaloop, della vita, in attesa di vedere di nuovo tutto da capo, in un cerchio che si ripete all’infinito, ma mai uguale a se stesso. Perché l’arte è vita, certo, ma in questo caso, soprattutto, la Vita è Arte.

 

 

di Diego Passera


La copertina

cast indice del volume


 
 
 
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