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Stefano Massini

Donna non rieducabile. Memorandum teatrale su Anna Politkovskaja


Milano, Ubulibri, 2007, pp. 78, euro 13,00
ISBN 9788877483010

Anna Politkovskaja era una giornalista russa molto nota per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. A partire dal giugno del 1999, impiegata presso la «Novaja Gazeta», scriveva critiche violente sull'operato delle forze russe in Cecenia, denunciava i numerosi, legali, atroci abusi commessi sulla popolazione civile, e pubblicava interviste "scomode": ora a ragazzi delle unità russe; ora a medici degli ospedali della capitale cecena, Groznyj; ora al Primo Ministro ceceno; ora ad alti ufficiali russi in Cecenia; ora a semplici civili e ora a terroristi ceceni. Dopo aver ricevuto per mesi minacce di morte, e dopo tentativi concreti di eliminazione, dopo essere stata calunniata dai giornali più potenti, e dopo essere stata definita «non-rieducabile» dal più autorevole membro dell'ufficio di Presidenza russo, Anna Politkovskaja, quarantotto anni appena compiuti, il 7 ottobre 2006, viene trovata morta - quattro colpi di proiettile, di cui uno alla testa - nell'ascensore del suo palazzo a Mosca. Per terra, rovesciati, nel sangue, i sacchetti della spesa che aveva appena fatto. Stava per uscire, sul numero successivo della «Novaja Gazeta», una sua inchiesta sulle torture in Cecenia. Il computer della giornalista - dentro tutto il materiale sull'inchiesta - viene sequestrato dalla polizia e l'articolo viene messo da parte: «non pubblicabile fino a data da definire».

Per molti, per quasi tutti, Anna Politkovskaja è «nata morendo»: ben pochi, infatti, in Italia come nel resto del mondo, sapevano della sua esistenza prima che venisse uccisa. Su una persona come lei - scrive Stefano Massini (Firenze, 1975) nella prefazione al suo «Memorandum teatrale» - «si possono certo spendere tante belle parole a titolo di non richiesto encomio-epitaffio, dichiarandosi in effetti folgorati dal suo coraggio inaudito o dalla tempra pressochè non scalfibile di testimone del suo tempo. Eppure mentirei se attribuissi a questo la ragione del mio interesse e la molla da cui è scaturito un testo teatrale. La beatificazione laica immediata è una pratica da rotocalco talmente diffusa - e sinceramente inflazionata - da non aver affatto bisogno di ulteriori sponde teatrali, la cui platea per altro non consentirebbe celebrazioni ecumeniche. No. C'era altro». 

C'era soprattutto il fatto che i reportage scritti da Anna Politkovskaja, quasi fossero le tessere di un complicatissimo puzzle, riuniti tutti insieme, - secondo Massini - mostravano di avere un elemento in comune e venivano a formare una immagine unitaria: tutti i frammenti del vetro rotto russo-ceceno, infatti, «si ricomponevano improvvisamente sotto il nome di questa donna. - si legge ancora nella prefazione - In ogni tessera del mosaico lei c’era». Fu testimone oculari di vari attentati dinamitardi a Groznyj, fu la prima a intervistare il ventottenne Primo ministro ceceno poco dopo la nomina, fu la prima a parlare delle torture e degli stupri sulle montagne cecene, fu la prima a denunciare pubblicamente fatti gravi di corruzione nell'esercito russo, fu incaricata di gestire le trattative con i  terroristi del sequestro Dubrovka e di condurre, infine, in prima persona il negoziato in seguito alla vicenda della scuola di Beslan. 

Anna Politkovskaja «c'era» sempre: seguendola nel suo irriducibile peregrinare - quasi fosse una torcia illuminata che si muove nello scenario nebbioso della situazione russo-cecena - ispirandosi ai suoi articoli e facendola perciò raccontare in prima persona, Massini ricostruisce un vero e proprio contesto storico: non tuttavia in una forma monologica convenzionale, bensì come se si trattasse di un «flusso di coscienza», di una poesia del silenzio fra le cui righe è possibile sentire il ritmo forte del battito cardiaco o di «un taccuino di appunti impazzito, con i fogli strappati e gettati in aria». Quello che ne viene fuori è un «memorandum», ovvero una vetrina in cui i fotogrammi non sono riattaccati in una «assennata pellicola consequenziale», ma mantengono i cromosomi di una «vorticosa frammentarietà». Un «memorandum» - diviso in ventun «capitoli», fra cui un «prologo» e un «epilogo» - che è nello stesso tempo «promemoria civile» e «riflessione sulla memoria». 

Ecco apparire, allora, di fronte agli occhi di chi legge o di chi ascolta l'immagine di un mondo dove  la polizia moscovita cattura e uccide i guerrieri ceceni, stacca loro la testa e la appende gocciolante - come monito e come trofeo - alle tubature dei gasdotti («Una testa, lassù. / Se ne frega che il gasdotto / dietro le sue spalle / corra via - veloce – verso est: lei sta immobile. / Ed ora gocciola. / Lentamente. / Precisamente. / Gocciola. / Gocciola. / Gocciola.»); un mondo dove i russi assoldano solo soldati orfani e spediscono in Cecenia truppe di giovanissimi mercenari che hanno l'ordine di uccidere almeno 3 o 4 ceceni al giorno e che sono abituati a fare il cosiddetto «fagotto umano» («si entra in un villaggio. - spiega, intervistato da Anna, il diciannovenne Saša - Si prendono 10 persone. Si legano. Strette. Con una corda. Ci si pianta in mezzo una granata. E si fa saltare. Bum. Ce l'hai una sigaretta?»); un mondo dove lo stupro è legale e le donne cecene, dopo essere state violentate dai militari russi o dalla guerriglia cecena, diventano «impure» e vengono abbandonate dai mariti («- Che fine fanno?, - Nessuna fine. - Restano così? Senza più nulla?, - In Cecenia è tutto così: sospeso. La gente non esiste: siamo corpi senza nulla dentro»); un mondo dove i cadaveri dei ceceni vengono buttati a decine nelle discariche, insieme alla spazzatura; un mondo dove gli attentati sono all'ordine del giorno («Chi non ha visto / coi suoi occhi / un attentato / non ne parli / perché non sa niente. / Chi pensa che il sangue a terra sia rosso / non parli perché non sa che è marrone, / quasi nero. / Chi pensa che un cadavere faccia impressione / non parli perché non sa di chi striscia, vivo, coi suoi pezzi…»). Un mondo che, dal Settecento a oggi, è un inferno perché la Cecenia - «zolla di terra, arida, / buttata fra due pozze d'acqua» - «non chiede autonomia: la pretende» e la Russia le fa la guerra perché non vuole dargliela, «per dimostrare a se stessa che controlla l'Impero».

Nei suoi reportage, nelle sue interviste, nei suoi articoli, nelle sue inchieste, Anna Politkovskaja non scrive mai commenti, né pareri, né opinioni: «ho sempre creduto / - e continuo a credere - / che non stia a noi dare giudizi. / Sono una giornalista, non un giudice e nemmeno un magistrato. / Io mi limito a raccontare i fatti». Subito dopo la strage di Beslan, la tempestarono di domande: «- Ci dica: secondo lei chi ha ragione, signora Politkovskaja?, - Prendere una posizione è intelligente, non crede?, - Chi ha torto signora Politkovskaja?, - I russi? O i ceceni?». Dopo aver camminato fra le fosse dei bambini morti, a queste domande, poste dagli "intelligenti", rispose così: «Dovrei prendere una posizione. / Perché prendere una posizione è intelligente. / Allora: vediamo. / Ecco: sosterrò i terroristi che pieni di eroina e marijuana / si sono presi 1127 ostaggi / in una palestra nel primo giorno di scuola? / O invece… sosterrò l'esercitò che ha usato i lanciafiamme / contro i bambini di dieci anni? / Vorrei chiedere agli intelligenti: / sulle tombe c'è scritto mai ucciso dai russi / oppure ucciso dai ceceni?».

Dopo aver corso il rischio - si legge nell'ultimo paragrafo della Prefazione - di assemblare i «broken glasses» in una «confezione più compunta», «dove la linearità del racconto vincesse sugli angoli taglienti delle schegge», in modo tale da ottenere una « navigazione più affabulatoria», Massini, alla fine, ha preferito invece «non sgrossare il materiale. Lasciarlo grezzo. Asimmetrico. Diseguale.»: comprende stralci di interviste, spezzoni di reportage, rivelazioni, confessioni, denunce, lettere. Il tutto riscritto con piglio documentaristico, antiretorico, antiaffabulatorio, con un «rasoio stilistico» che mira alla sostanza: «Oggettivare. Ripulire. Sezionare. Togliere. Togliere. Togliere. Tutto il resto è silenzio».

«Donna non rieducabile» è andato in scena, prima rappresentazione assoluta, al Teatro Manzoni di Calenzano, il 12 dicembre 2007. Interpreti: Luisa Cattaneo e Roberto Gioffrè

 

Giulia Tellini


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