«Siamo chiaramente entrati in una economia
speculativa. La speculazione punta su attivi o beni rari a offerta rigida che
traduce più domanda in prezzi più alti. Immobili, criptomonete, azioni
riacquistate dalle imprese e meno disponibili, materie prime la cui maggiore
produzione vuole tempo. Il problema è che leconomia speculativa è inefficace.
Una parte importante di risparmio compra attivi speculativi, non capitale
produttivo». «Si sa, lo scarso rendimento degli attivi tradizionali è dovuto alle
politiche monetarie molto espansive delle banche centrali». «Che fare? Rinunciare
a queste politiche. Ma è difficile, se non impossibile, in economie molto
indebitate dove una politica monetaria restrittiva, a tassi di interesse molto alti,
scatenerebbe crisi di debito. Bisogna invece scoraggiare gli investimenti in
attivi speculativi, con vari strumenti: proibire le criptomonete private (come in
Cina); tassare le plusvalenze a breve termine sul capitale; aumentare i
vantaggi fiscali per investimenti in capitale produttivo. Se no, proseguirà il
paradosso di politiche monetarie espansive e bassi tassi dinteresse che
alimentano la speculazione e riducono i guadagni di produttività della economia
reale» (P. Artus, Une économie de spéculation, in «Le Monde»,
3-4 ottobre 2021, on line).
Nel 2008 «alcuni gestori di fondi di
investimento speculativi (gli hedge funds) e alcuni funzionari di molte
banche daffari agirono a proprio vantaggio, invece di parlare. Peraltro,
qualche dipendente governativo o impiegato presso la Federal Reserve espresse
profonda preoccupazione. E diversi economisti, come Kenneth Rogoff, Nouriel
Roubini, Robert Shiller e William White lanciarono ripetuti
avvertimenti». «Il problema, quindi, non fu che nessuno avvertì dei pericoli,
ma che quanti – molti – beneficiavano del surriscaldamento della economia erano
poco incentivati ad ascoltare. Le voci critiche furono accusate di fare la
parte di Cassandra». «Lo so, perché ero una di quelle Cassandre». «Non
esagero molto confessando che mi sentii come uno dei primi cristiani in mezzo a
un branco di lupi famelici» (R.G. Rajan, Terremoti finanziari. Come le
fratture nascoste minacciano leconomia globale, Torino, Einaudi, 2012, pp.
3-4 e 6).
«“La crescita economica è ancorata nella
cultura, nella politica e nelle istituzioni” riassume in una recente nota lAgenzia
europea per lambiente (EEA), organo ufficiale consultivo UE. “Nel mondo la
legittimità dei governi è indissociabile dalla capacità di assicurare la
crescita economica e creare lavoro”. È impensabile un mondo economicamente
stazionario». «“Una riduzione della pressione e degli impatti ambientali
esigerebbe trasformazioni fondamentali, per andare verso un diverso tipo di
economia e società, dice lEEA, invece di cercare progressivi guadagni di
efficienza del sistema di produzione e consumo attuale”. Per la maggior parte
di noi, una simile rivoluzione culturale sembra oggi impossibile. Ma basta
proiettarsi in un mondo con più 2 gradi di riscaldamento per chiederci se
abbiamo davvero scelta» (S. Foucart, La croissance, una croyance parmi
dautres, in «Le Monde», 3-4 ottobre 2021, online). È in crisi la sovranità
nel mondo moderno.
La sovranità nel mondo moderno «risale alla
nascita dei grandi Stati nazionali europei e al correlativo incrinarsi, alle
soglie delletà moderna, dellidea di un ordinamento giuridico universale che
la cultura medioevale aveva ereditato dalla cultura romana», sostituito dalla
«particolare formazione politico-giuridica che è lo Stato nazionale moderno,
nata in Europa poco più di quattro secoli fa, esportata in questo secolo in
tutto il pianeta e oggi al tramonto» (L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo
moderno, Roma, Laterza, 1997, pp. 7-8). «“Il concetto di sovranità”,
scriveva Kelsen a conclusione del suo celebre saggio sulla sovranità del
1920, “deve essere radicalmente rimosso. È questa la rivoluzione della
coscienza culturale di cui abbiamo per prima cosa bisogno”» (ivi, p. 10). Ma i
sovranisti «condividono, con quelli dei difensori dellordine diseguale
esistente, la medesima fallacia realistica: quella fallacia che nel diritto
internazionale prende il nome di ‘principio di effettività e risale, come ho
ricordato, ad Alberico Gentili e Ugo Grozio. Contro questa
fallacia, che appiattisce il diritto sul fatto, dobbiamo recuperare la
dimensione normativa e assiologica della scienza giuridica internazionale […]
riconoscendo che il diritto è come lo fanno gli uomini e dunque tutti noi, a
cominciare da noi giuristi […] e che è un sistema normativo, sicché gli assetti
e i comportamenti effettivi degli Stati con esso in contrasto non ne
rappresentano delle ‘smentite, come spesso lamentano giuristi e politologi
realisti, ma piuttosto delle ‘violazioni di cui abbiamo il compito di
denunciare lillegittimità» (ivi, p. 56). È un«embrionale costituzione del
mondo. I valori in essa incorporati – il divieto della guerra e i diritti degli
uomini e dei popoli – non essendo più esterni allordinamento ma essendo
divenuti norme giuridiche sopraordinate a tutte le altre, non sono più fonti di
delegittimazione ideologica ma fonti di delegittimazione giuridica» (ivi, p. 57).
«La vera alternativa che abbiamo di fronte non è tra realismo e utopia
normativistica, ma tra realismo dei tempi brevi e realismo dei tempi lunghi». «Se
è vero che nei tempi brevi non possiamo farci illusioni, è anche vero che la
storia cinsegna che i diritti non cadono dal cielo» (ivi, p. 58).
Oggi «siamo la prima generazione umana che
abbia fatto tutta insieme unesperienza collettiva del paradigma di Hobbes:
la paura della morte come causa della soggezione a un moderno Leviatano.
Unopinione che fu anticipata dallallievo dei gesuiti Giovanni Botero,
il quale nella sua celebre e molto letta Ragion di Stato, scrisse: «Io
sono di parere che, per la sicurezza de gli Stati, e de prencipi loro, miglior
cosa sia la severità del governo, che la piacevolezza; e la paura, che lamore;
e la ragion si è, che il farti amare da tutto un popolo, non è in tua potestà;
ma bene è in tua possanza il farti temere. Aspettiamo di vedere le forme in cui
prenderà corpo questa esperienza» (A. Prosperi, Tremare è umano. Una breve
storia della paura, Milano, Solferino, 2021, p. 146). In UE è cronaca.
«Boris Johnson voleva davvero
lasciare lUE. Come lungherese Viktor Orban, Jaroslaw Kaczynski,
capo del partito nazionalista diritto e giustizia (PIS) al potere a Varsavia,
vuole restarvi, ma distorcendone le regole e liberarsi del quadro giuridico che
ne limita la deriva anti-democratica. Se attua il giudizio del tribunale costituzionale,
il governo polacco ha tre opzioni, scrive Piotr Buras, esperto polacco
del gruppo di riflessione European Center on Foreing Relations, nel sito Balkan
Insight: “Cambiare i trattati europei, cambiare la Costituzione polacca, o
un ‘Polexit. Ma la vera battaglia sarà su una quarta opzione, ben più
devastante per lUE di un nuovo ‘exit di un suo membro: la demolizione
dellordine giuridico UE dallinterno”. È la risposta del primo ministro
polacco Mateusz Morawiecki al putiferio scatenato dal verdetto del tribunale
costituzionale e alle dozzine di migliaia di compatrioti in strada con la
bandiera europea». «Secondo lui, la Polonia ha ripreso in Europa il posto di
cui era stata privata, le sovvenzioni sono dovute in riparazione di questa
ingiustizia e le regole decise da altri non si impongono. Ma queste regole sono
state accettate dai Polacchi con referendum. E per contestare lordine
giuridico che rifiuta, Morawiecki fa leva su una corte di magistrati che tutto
il mondo sa agli ordini del suo partito. Non può più, come Boris Johnson,
appellarsi al voto popolare che, nei sondaggi, perderebbe. La Polonia gioca
col fuoco, ammonisce Jean Asselborn, capo della diplomazia
lussemburghese. Senzaltro. Ma per lUE il gioco è altrettanto pericoloso. Per
riportare Varsavia alla ragione, bloccare le decine di miliardi di euro
promessi alla Polonia nel piano di rilancio europeo anti-Covid potrebbe alla
lunga attizzare il risentimento di quei polacchi che si sentono ingiustamente
trattati». «Attenzione, è il diritto che viene attaccato, e la china è viscida»
(S. Kaufmann, Un “Polexit” peut en cacher un autre, in «Le Monde», 14
ottobre 2021, online). «Corruzione, autocrazia, governo dispotico: erano i
pericoli cui molti speravano l'Europa orientale stesse sfuggendo quando le sue
democrazie nascenti si unirono all'Unione Europea nei primi anni 2000. Invece,
con preoccupazione del resto dEuropa, hanno semplicemente contrabbandato
questi vizi nellUE» (An October revolution, in «The Economist», 23-29 ottobre 2021, on line).
«Loriginalità di questa unione è che per
sua natura è molto diversa da una alleanza fondata sulla sola sovranità degli
Stati. Unalleanza non crea una nuova forma di sovranità, che è il caso
dellUE». «Fondamento della coesione europea, che ne ispira i valori
fondamentali e lo sviluppo delle politiche, è la necessità di essere uniti. Ma
una semplice alleanza non offre questa garanzia di permanenza. La stabilità di
questordine giuridico di Stati che hanno deciso liberamente e sovranamente di
associarsi in ununione più ampia per escludere in modo durevole ogni rischio
di conflitto interno, suppone un livello minimo di omogeneità politica, implica
un accordo incontestabile su dei valori politici comuni» (T. Chopin, Lintégration
européenne ne peut être réduite à une simple alliance entre Etats souverains,
in «Le
Monde», 20 ottobre 2021, on line). I valori di libertà e cittadinanza
condivisi di diritto e non per concessione sovrana. Valori oggi calpestati da
No Vax/No Green Pass. «Più siamo liberi, più dobbiamo essere responsabili verso
gli altri. Ma i disobbedienti non sembrano aver compreso questa proporzione: le
responsabilità – per loro – sono da socializzare, a differenza dei benefici che
invece vorrebbero mantenere privati. È una brutta vicenda piena di
contraddizioni, ignoranza e furbizia. Dove chi ne beneficia sono quei cinici
senza virtù allincetta di voti che sfruttano le contingenze della storia e le
debolezze della gente. E giustificano i vizi umani, anche i più bassi, nel nome
di un concetto di libertà senza cittadinanza» dei No-Vax/No Green Pass (S.M. Sepe,
La libertà senza cittadinanza nella stagione del Green pass, in «Avvenire»,
21 ottobre 2021, p. 3).
Fin dal 1947, nella traduzione italiana di
Autorité et Bien Commun. Aux fondements de la Société, pubblicato in
Francia nel 1944, Gaston Fessard indica la via: «il comando del Principe
cosiddetto ‘legittimo non basta più a assicurare al cittadino di stare
perseguendo il bene comune nazionale. Al contrario è a partire dal Bene comune
universale che il cittadino deve discernere se lordine ricevuto emani
dallautorità legittima o da un potere illegittimo, per obbedire alla prima e
resistere allaltro» (G. Fessard, Autorité et Bien Commun. Aux fondements de
la Société, Éditions Ad Solem, 2015, p. 224). Così agisce «un sindaco di
provincia “conservatore e credente”
contro Viktor Orban. Peter Marki-Zay, 49 anni, ha vinto al
secondo turno le primarie di opposizione ungherese per le elezioni legislative
di primavera 2022. Primato storico, hanno coinvolto oltre 600 mila ungheresi,
che hanno designato un candidato unico di sei partiti di opposizione, dalla sinistra
allestrema destra, per cercare di battere il primo ministro nazionalista che
ininterrottamente governa dal 2010 questo paese di 9,8 milioni di abitanti».
«Secondo i sondaggi lopposizione è gomito a gomito col Fidesz del primo
ministro uscente e ha modo di batterlo, per la prima volta in dodici anni» (J.B.
Chastand, Hongrie: Orban face à un catholique conservateur, in «Le Monde», 18
ottobre 2021, on line).
Sullambiente, bene comune universale, due
giovani dialogano in tweet con Greta Thunberg: «“Le azioni
individuali da sole non sono abbastanza, ma sono il catalizzatore del
cambiamento di cui abbiamo bisogno”» e «“Non possiamo aspettare che i governi e
le imprese facciano la cosa giusta. Se la gente non vota col portafoglio i
potenti lo considereranno come un segnale che gli stessi non voteranno neanche
alle elezioni per la sostenibilità ambientale. Se noi non agiamo, le
istituzioni ci ignoreranno”». Commenta Leonardo Becchetti: «Il vero
“potere forte” dunque alla fine siamo noi. Il gioco della comunicazione tende a
mistificare questa verità con lobiettivo di orientare questo potere nella
direzione desiderata con le leve del marketing» (Una cosa su cui Greta
sbaglia, in «Avvenire», 27 ottobre 2021, pp. 1-2). Neoliberismo e marketing
invece di libertà e cittadinanza.