Lattenzione
con cui si tende a ristabilire la natura teatrale delle grandi opere di Giuseppe
Verdi trova una piena realizzazione nel Rigoletto
messo in scena in apertura della stagione 2021-2022 dal Teatro La Fenice di
Venezia, con la direzione di Daniele Callegari e la regia di Damiano
Michieletto. Fin dalle prime battute del preludio strumentale emerge quale
sia il tema-guida scelto da Verdi, quello della “maledizione”, un termine che
dà il titolo alla prima versione del libretto, tratto da Francesco Maria
Piave da Le Roi samuse di Victor
Hugo (1832). Ciò che nel tracciato drammatico attrae il compositore è una
visione fluida del “grottesco” che, nella prima esecuzione veneziana
commissionata dalla Fenice e andata in scena l11 marzo 1851, emerge laddove si
sottolinea la complessità dei personaggi, a cominciare dal protagonista, il
buffone di corte, che non esita a irridere lintensa sofferenza di un padre, il
conte di Monterone, salvo restare fulminato subito dopo dalla potenza del suo
anatema: «Quel vecchio maledivami!» (atto I, scena settima).
Un momento dello spettacolo
Procedendo
dallesame critico dellopera, lintesa tra il direttore e il regista esalta i
chiaroscuri della partitura, raggiungendo la forma di unesecuzione scenica compatta
che sottolinea la veemenza del dolore che agita lanima e la mente di
Rigoletto. La regia va oltre il disegno verdiano, proiettando la vicenda al di
là della seduzione e delluccisione di Gilda, la figlia del buffone
gobbo, inutilmente difesa con tutte le forze dalle brame libertine del Duca di Mantova.
Rielaborando lallestimento del 9 maggio 1917 presso lOpera Nazionale Olandese di Amsterdam, Michieletto, coadiuvato anche stavolta dallo
scenografo Paolo Fantin, dal costumista Agostino Cavalca e dal light
designer Alessandro Carletti, svela i tormenti più nascosti di
Rigoletto, mentre è rinchiuso nello spazio asettico e insieme torbido di un
ospedale psichiatrico; egli appare come un uomo che il rimorso ha condotto alla
follia. Nella sua memoria turbina limmagine di Gilda bambina innocente, che
invano ha tentato di separare dal mondo, rinchiudendola in una stanza: per cui fin
dallapertura del sipario il regista pone sul palcoscenico una ragazzina
silente e fantasmatica, mentre sullo sfondo lascia scorrere le proiezioni di quella
stessa adolescente intenta a disegnare figurine infantili e a guardare oltre le
grate della finestra. Le sequenze-video accompagnano i momenti fondamentali
dellopera, mentre sulla scena sintuisce lemancipazione di Gilda attraverso
la scoperta dellamore: lo sancisce laria «Caro nome che il mio cor» (atto primo,
scena tredicesima) da lei cantata con toni ritmati, quasi a volere sottolineare
il passaggio alla passionalità di unadolescente.
Un momento dello spettacolo © Michele Crosera
Inoltre, il coro dei cortigiani somiglia
al brulicare di spettri il cui volto è coperto da una maschera con le fattezze
del Duca; sono proiettati verso la sala, quasi a fondersi con il pubblico che
siede con le mascherine sul viso. Il legame tra quelle larve e Rigoletto,
dunque, sintensifica mentre il buffone sente crescere in sé lossessione e il
“desio” della vendetta («Sì, vendetta, tremenda vendetta», atto secondo, scena
ottava) contro larroganza del patrizio mantovano, che si esprime con le parole
dellaria «La donna è mobile» (atto terzo, scena seconda). Sul piano espressivo
Michieletto comprime le trasgressioni sessuali del Duca entro la dimensione
dello strappo che ha prodotto nella personalità della figlia, mentre lanatema
contro il seduttore gaudente, sulla scia del Don Giovanni mozartiano, ha finito per colpire il servo anziché il
padrone.
Un momento dello spettacolo © Michele Crosera
La dinamica del racconto scenico,
prosciugato da ogni enfasi esecutiva dei cantanti, evidenzia la profondità del
dolore di Rigoletto, interpretato in modo superlativo e con un assoluto
controllo da Luca Salsi, sempre in presenza, in grado di esaltare un
ventaglio di sentimenti in modo diretto e immediato, fino a generare commozione
in chi assiste. La metamorfosi di Gilda, che trascorre la sua carriera filiale
dallingenuità al sacrificio estremo, è cantata da Claudia Pavone con un
apprezzabile controllo; guizzante e vivace la recitazione di Ivan Ayon Rivas
nelle vesti del Duca; degna di considerazione la prova degli altri cantanti,
immersi nel delirio senza fine del buffone impazzito. La direzione musicale di Daniele
Callegari è risultata coesa e attenta a restituire la qualità del testo
musicale.
Un momento dello spettacolo © Michele Crosera
La regia di Michieletto è costellata da vari
gesti simbolici, da alcuni segmenti narrativi lasciati fluttuare nello spazio,
tali da sembrare talvolta delle incongruenze che invece divengono significative
se ricondotte nella sfera del tormento di Rigoletto, come il fallimento di un padre
che ha determinato la morte e il seppellimento dellamata bambina con le
proprie mani. Oltre alle influenze del cinema gotico-visionario, che accompagnano
un viaggio nella notte della follia, si notano i segnali di una frontalità
brechtiana della rappresentazione, forse per sterilizzare i residui dei
tecnicismi operistici a vantaggio del primato teatrale. Intensi applausi hanno
premiato lo spettacolo.
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