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La bestia che sempre si annida in noi

di Matteo Citrini
  Lahi, Hayop (Genus Pan)
Data di pubblicazione su web 06/09/2020  

Tra le incredibili foreste tropicali filippine si annida un male profondo e spietatamente lucido. Ultimo film di Lav Diaz, Genius Pan segna il ritorno al Lido del regista filippino a quattro anni dalla vittoria del Leone d’oro con The Woman Who Left (2016). L’isola di Hugaw può apparire splendida all’occhio esterno, ma cela in sé terribili verità, a partire dal suo nome, che nella lingua del posto significa “sporco”, “lercio” a causa degli ex campi di prigionia per schiave sessuali.

Durante una pausa dal loro sfiancante e pericoloso lavoro, i tre minatori Andres (Don Melvin Boongaling), Paulo (Bart Guingona) e Baldo (Nanding Josef) si avventurano nelle insidiose foreste del luogo per raggiungere il paese natale. Immersi nella natura fitta e rigogliosa, si confidano sempre più sulle rispettive esperienze facendo emergere terribili verità e storie sepolte. Una sera, dopo aver bevuto un goccio di troppo, Paulo, fervente cristiano divorato dal rimorso, racconta al giovane Andres di un antico delitto di cui lui e Baldo si sono macchiati. Dalla psicosi generata dall’ambiente surreale della foresta e dai fumi dell’alcol nasce una colluttazione da cui il solo Andres esce vivo. Da qui in avanti è un lento, implacabile susseguirsi di conseguenze per il minatore sopravvissuto e per Mariposa (Hazel Orencio), la figlia di Baldo affetta da disturbi mentali, che si trova invischiata nelle sadiche manovre del Sergente che controlla l’isola, animato da un’avidità senza limiti e un disprezzo totale per la vita altrui.


Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

Girato in uno splendido, contrastato bianco e nero, Genus Pan non avvicina mai troppo lo spettatore ai personaggi lasciando quasi sempre l’inquadratura fissa, attraverso splendidi tableaux vivants in cui la natura immobile e impassibile si staglia contro il vagare dell’uomo nei suoi fatui sforzi per sopravvivere. Solo nelle scene che mostrano la falsa ricostruzione del duplice omicidio da parte del sergente la macchina da presa si muove, adottando gli stilemi del documentario. Una scelta con cui il regista sembra volerci ammonire sulla pericolosità di attribuire dosi di verità a determinate scelte stilistiche: non sempre l’occhio della cinepresa può mostrare il male dell’uomo, che trova invece la sua più giusta collocazione nel fuoricampo. Come nell’inquadratura conclusiva, dove l’atrocità del gesto si cela oltre uno sguardo contemplativo sul paesaggio sinistramente pacifico: una scelta che non addolcisce la visione, ma anzi la inasprisce.

Una scena del film

Dietro una facciata folkloristica e a tratti quasi pasoliniana nel mettere in luce l’aspetto bestiale dell’uomo, Genus Pan rappresenta un ulteriore tassello di quel grande affresco sulla società contemporanea filippina e sulle sue brutalità che è il filo rosso dell’intera filmografia di Diaz, autore amato a Venezia (e non solo) per la maestria nel coniugare l’impegno civile a un totale controllo del mezzo filmico e a una raffinatezza stilistica che ha pochi eguali nel panorama di oggi.



Lahi, Hayop (Genus Pan)
cast cast & credits
 


Il regista Lav Diaz
 
Firenze University Press
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