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Il ballo, racconto di scena ideato, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco

di Marco Pistoia
  Il ballo
Data di pubblicazione su web 13/04/2016  

È stato assai produttivo vedere questo splendido assolo in due occasioni sceniche diverse, ancorché nel tempo ravvicinate. La prima al Vascello di Roma, la seconda al Franco Parenti di Milano. Nell’una un più ampio spazio scenico, dominato da specchi, coperti da sottili veli bianchi che via via vengono rimossi, avvolge a distanza Sonia Bergamasco e a suo modo la incornicia, offrendole un consistente margine di movimento. Nell’altra l’attrice è come stretta, dunque maggiormente avvolta dagli specchi, che tuttavia, disposti a causa dello spazio ridotto in maniera almeno in parte diversa dall’allestimento romano, offrono una ancor più suggestiva articolazione dei riflessi e delle moltiplicazioni dell’attrice e dei personaggi che interpreta.

Un momento dello spettacolo © Fabio Gatto
Un momento dello spettacolo 
© Fabio Gatto

Se la Bergamasco era stata bravissima a Roma, a Milano è stata fantastica interprete di cinque mirabolanti personaggi, come se lo spazio scenico meno arioso, e che conserva la forma di una mise-en-espace, le permettesse di esaltare le sue strepitose virtù, sempre più educate e raffinate da dall’esperienza e, ancor più, da un’applicazione e una ricerca di rinnovato rigore. La sua voce, da sempre modulata anche grazie all’educazione musicale, trova in questa azione scenica un ulteriore motivo di espressione e di sperimentazione. L’idea di partenza è stata quella di adattare, dirigere e interpretare un magnifico racconto – racconto lungo, non romanzo! – di Irène Némirovski, Il ballo, scritto nel 1928, nel pieno momento creativo di una grande scrittrice, dal tragico e prematuro destino.

Un racconto che contiene vari elementi di teatralità e un raggelante quanto fulminante coup de théâtre finale. La teatralità è insita nel disegno dei personaggi, a partire dalla madre matrigna, Rosine, e dal di lei marito, entrambi parvenu dal passato diversamente scabroso, entrati a far parte del gran circo della ricchezza parigina. Ci sono poi la buffa educatrice inglese, Miss Betty, e la figlia dei due coniugi, Antoinette, che a sua volta orchestra un inganno, con una elaborata macchinazione, ai danni della madre. Infine c’è Isabelle, insegnante di pianoforte della ragazzina quattordicenne e cugina del padre, finta e subdola.


Un momento dello spettacolo 
© Fabio Gatto

Nel racconto i cinque personaggi li immagino visivamente come dei bozzetti d’artista, ma a mo’ di disegni caricaturali. Nel suo allestimento la Bergamasco ha scelto di dare, grazie agli specchi, dei riflessi delle loro possibili immagini fisiognomiche e caratteriali – con particolare riguardo alla figura di Rosine, del resto centrale nella storia con echi visuali che vanno dal Narciso caravaggesco alle figure “da lolita” di Balthus, fino a potervi vedere echi dei ritratti a lume di notte. E nei complessi e articolati, sapienti giochi di luce di Cesare Accetta risiede un motivo non secondario della notevole riuscita dello spettacolo.

Nell’impersonare-interpretare questi personaggi l’attrice sfoggia un’impressionante varietà di voci, di sfumature di toni e timbri che permettono allo spettatore non solo di individuarli e riconoscerli bene anche senza aver letto il racconto, ma anche di individuarne caratteri e temperamenti. Il padre, ad esempio, è restituito con una voce quasi rauca, grossolana, da arricchito (come certi miliardari delle commedie classiche hollywoodiane); la madre ha spesso pose e voce da gran dama, quasi fosse una diva (in sedicesimo) d’antan, che pare scimmiottare un modello “à la Swanson” in Viale del tramonto. Antoinette passa da una voce puerile e un po’ bizzosa a quella, irritata, di chi, essendo stata esclusa malignamente da una grande occasione, si è vendicata con sistematica crudeltà; l’educatrice ha il registro di una sciocca figurina cinguettante; Isabelle, l’unica che si presenterà al gran ballo, quello della infingarda, sarcastica pettegola.

Un momento dello spettacolo © Fabio Gatto
Un momento dello spettacolo
© Fabio Gatto

L’atmosfera costante è di tipo fantasmatico e si potrebbe pensare che nell’ideare questo suo spettacolo la Bergamasco abbia tenuto un po’ conto anche di un romanzo quale Il giro di vite di Henry James, oggetto di una sua bella audio-lettura. Tutto appare trasognato e prima che lo spettacolo inizi, mentre gli spettatori prendono posto, l’attrice attende mollemente adagiata su una dormeuse. In un “brano” che precede il finale, la sua figura procede dal fondo del palcoscenico con il volto e il busto coperti da un velo, involontaria (credo) quanto affascinante evocazione di una posa di Lyda Borelli in Rapsodia satanica

Gli specchi, si diceva: da sempre evocazione della bellezza che si contempla e si compiace di sé ma anche metafora della vanitas, memento mori fra i più frequentati dalla pittura. E la vanitas è il gran tema del racconto, così come nel film di ambiente teatrale La sera della prima di Cassavetes, che indaga il ruolo e la funzione attoriale. Sonia Bergamasco, a partire da queste sue ideazioni, svolge una sempre rinnovata indagine di elevato spessore, accolto e premiato da un tripudio di applausi.    



Il ballo
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