Molte risate del pubblico hanno accompagnato
lo spettacolo Anfitrione, andato in
scena al Teatro S. Lorenzo alle Colonne di Milano il 27 gennaio scorso. La
commedia plautina è stata al centro di una interessante operazione
drammaturgica a cura dellassociazione di promozione culturale Kerkìs, Teatro Antico in Scena – fondata
nel 2011 da un gruppo di docenti, studenti ed ex studenti dellUniversità
Cattolica del Sacro Cuore di Milano – che ha rispettato lo stile della commedia
latina utilizzando un italiano quotidiano.
La trama è fedele al testo di Plauto, di cui come
noto è andato perduto il finale originale, qui ricostruito dalla compagnia di
attori in un lavoro di studio del testo intrapreso nel Laboratorio di
Drammaturgia Antica.
I personaggi “doppi” (Mercurio/Sosia,
Giove/Anfitrione) indossano le medesime maschere, le quali, realizzate da Alessandra Faienza, ricordano alcune
maschere frammentarie del Museo Archeologico Bernabò Brea di Lipari,
riconducibili proprio al genere della commedia (rimandiamo al link).
La sovrapposizione di tali maschere non
impedisce la comprensione della vicenda. Mercurio travestito da Sosia e Sosia
in persona, pur indossando per giunta il medesimo costume, si distinguono
facilmente non solo perché sul pètaso (il cappello a falde larghe) di Mercurio
sono ben visibili le ali, come indicato nel prologo, ma soprattutto perché le
due brave attrici (Giulia Quercioli,
dalla voce tonante e Federica Scazzariello, sempre agile e saltellante) hanno fisicità molto diverse.
Anche Anfitrione (Stefano Rovelli) e Giove/Anfitrione (Simone Mauri) indossano
uguale maschera con chioma posticcia e costume lasciando allo spettatore il
divertimento di una facile identificazione.

Un momento dello spettacolo © Aléx Daní La scelta di utilizzare le maschere incide,
come nel teatro antico, anche sulla gestualità e sulla prossemica dei
personaggi. Si pensi a questo proposito agli studi di Giovanni Cerri (Il dialogo tragico e il ruolo della
gestualità, in «Engramma» 2012, n. 99; Gestualità
nelle Baccanti di Euripide, in «Engramma», 2013, n. 109), che, seppur
riferiti alla tragedia greca, aprono una nuova prospettiva di indagine sulla
recitazione antica.
La regia di Christian Poggioni e la direzione drammaturgica di Elisabetta Matelli (docente di Storia
del Teatro greco e latino alla Cattolica) hanno potenziato il movimento dei personaggi, sottolineato anche dalla
musica originale suonata dal vivo da Adriano Sangineto. Gli attori gesticolano, si spingono, si picchiano, si
rincorrono, occupando tutto lo spazio scenico, sul quale due cubi si prestano a
funzionali salti.
Soprattutto la gestualità di Sosia,
ripetutamente picchiato a turno dai vari personaggi, è molto viva, a tratti
esasperata, accompagnata, a volte, da un turpiloquio che strappa la risata. Il servus truffatore truffato è il
personaggio più dinamico, agile, divertente; ricorda lArlecchino servitore di due padroni nella magistrale
interpretazione di Ferruccio Soleri.
Anche la dolce Alcmena (Chiara Arrigoni), personificazione della matrona romana, moglie
devota al marito Anfitrione, a cui in modo simpatico “fa i grattini”, si
arrabbia, urla e si dimena, tenendosi la pancia pronunciata di fine gravidanza,
quando i suoi valori (la castità, il pudore, il timore degli dèi, lamore dei
genitori) vengono messi in discussione dal marito tradito.
Convincente anche la rhèsis dellancella Bromia (Livia Ceccarelli) che riferisce il fragore di Giove, la nascita prodigiosa dei
due gemelli e luccisione di due serpenti da parte del neonato Ercole. La sua funzione
narrativa è quella tipica convenzionale del messaggero (rhèsis anghelikè) che racconta eventi extrascenici. Mentre nella
scena finale Giove, sporto dallalto della casa, evoca la soluzione del deus ex machina.

Un momento dello spettacolo © Aléx Daní Nello spettacolo si mescolano armoniosamente tecniche
drammaturgiche antiche e soluzioni moderne. Si pensi alle due attrici che recitano
personaggi maschili (Mercurio e Sosia), celando la loro femminilità dietro la maschera.
Una scelta registica interessante tanto più in uno spettacolo incentrato,
seppur in modo tragicomico («farò in modo che sia una commedia con un pizzico
di tragico», dice Mercurio nel prologo), sul quesito della identità delluomo.
«Il concetto centrale dellAmphitruo è che la conoscenza e la
verità non sono assoluti incontestabili, ma funzione di un rapporto di forze» (Guido
Paduano, Identità e verità, in Plauto, Anfitrione, Bur 2013, p. 77);
lidentità delluomo non dipende quindi solo dalla definizione di sé ma anche e
forse soprattutto dalla relazione con gli altri. Sosia: «E allora chi sono, se
non sono Sosia? Lo chiedo a te».
Anfitrione è una
commedia incisiva, sia a livello linguistico che filosofico. Pur con toni leggeri inscena leterno interrogativo delluomo sulla propria identità. Il nodo
dellesistenza è evocato dalle corde colorate e annodate che costituiscono la
semplice scenografia (realizzata dagli allievi dellAccademia delle Belle Arti
di Brera e Dino Serra).
La constatazione che «siamo tutti doppi»,
pronunciata da Sosia, non si riferisce tanto e solo alla maschera indossata a
teatro ma a quella che portiamo tutti i giorni.
Lo spettacolo ha il merito di cogliere
proprio laspetto tragicomico della vita «e voilà a vossignoria…
la tragicommedia».
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