Gabriele Lavia torna a dirigere un testo di Ingmar Bergman dopo gli allestimenti di Scene da un matrimonio (1998) e La prova (2001), nei quali ricopriva anche il ruolo di protagonista. In Sinfonia dautunno, prodotto dal Teatro Stabile dUmbria, Lavia si occupa solo ed esclusivamente della regia. Egli pone al centro della scena una delle grandi signore del teatro italiano, Anna Maria Guarnieri, il cui carisma spicca nel grigiore di un realistico e tetro “teatro da camera”, in consonanza con lo stile cinematografico del Kammerspiel.
Il titolo originale non è tradotto fedelmente. Höstsonaten non significa «sinfonia» (dautunno), ma «sonata». Una differenza sostanziale: la “sonata” è una composizione per strumenti solisti, non per orchestra. Sinfonia dautunno mette in scena il teorema dellincomunicabilità fra i quattro personaggi protagonisti, i quali non daranno vita a una pluralità orchestrale di voci, ma resteranno dei solisti. Ognuno di essi è immerso in un solipsismo maturato negli anni attraverso lesperienza della sofferenza, generata dalle piccole e grandi tragedie della vita.
Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera
In questo ritratto impietoso del cinismo e dellindividualismo della società contemporanea, ecco in primo piano la Charlotte goffamente claudicante della Guarnieri, trafitta da un incessante mal di schiena. Lanziana donna è una vecchia musicista sul viale del tramonto, con unossessione costante per il pianoforte per il quale ha sacrificato tutta la vita, rinunciando perfino al suo ruolo di madre. A fare da contraltare cè il dolore delle figlie, brutalmente rifiutate dalla loro genitrice: lansiosa Eva di Valeria Milillo, che conduce unesistenza monotona fra le mura domestiche, annientata dal dolore della perdita del proprio figlio; e Helena (Silvia Salvatori), afflitta da una terribile malattia che la rende incapace di parlare e di camminare.
Dopo sette danni di lontananza dalle figlie, la morte del compagno diventa il pretesto per la visita di Charlotte allabitazione dove Eva vive con il marito, accudendo la sorella malata. Esploderanno così fra le mura domestiche tutti i rancori e le incomprensioni fra madre e figlia, fino a quel momento sopiti dalla lontananza, ma irrimediabilmente insuperati e irrisolvibili. Sullo sfondo, spettatore impotente del conflitto, è Viktor, il marito di Eva (Danilo Nigrelli), che si schiera dalla parte della moglie, ma è incapace di consolarla.
Lavia scarnifica il testo di ogni riferimento che possa caratterizzare lambientazione del dramma: non più la canonica del pastore Viktor in un piccolo villaggio dei fiordi, ma un grande e freddo salotto borghese dal design minimalista, realizzato da Alessandro Camera, asettico e orizzontale. Un imponente e lungo scalone taglia verticalmente il palcoscenico sue due livelli: al piano terra, il salone che si estende fino al proscenio; al primo piano, un ballatoio che attraversa orizzontalmente tutta la scena e collega due stanze da letto, invisibili allo spettatore. In una delle due stanze giace linferma Helena.
Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera
La scena fissa, caratterizzata da un vuoto che supera limpatto visivo degli elementi scenici, amplifica la distanza fisica e emotiva fra un personaggio e laltro. Lavia, coerentemente con una linea registica improntata alla sottrazione, toglie dalla scena il pianoforte, sostituendolo con lo sgabello dove madre e figlia siedono a suonare, accompagnate da una musica surreale, in forte crescendo. Anche il personaggio dellanziana pianista è spogliato sia del fascino esteriore di Ingrid Bergman, sia delleleganza formale, da jet set, di Rossella Falk, diretta nello stesso ruolo in teatro da Maurizio Panici (2008).
Avvolta, dalla testa ai piedi, in ampi camicioni ideati da Claudia Calvaresi, la Guernieri, zoppa, dolorante, dimessa e scomposta, dà di Charlotte linterpretazione vibrante di una donna egoista, anaffettiva, cinica e disincantata. Lavia punta tutto su alcuni momenti di forte impatto visivo ed emozionale, come quello dellincontro fra Charlotte e Helena sul ballatoio, oppure quando la ragazza inferma, sempre sul lunghissimo ballatoio, sguscia dalla sedia a rotelle e, strisciando, rotola giù per le scale fino al soggiorno, chiedendo alla madre di suonare per lei. La recitazione della Salvatori restituisce, in maniera credibile, la mimica corporea e la vocalità, tutta suoni gutturali, della giovane disabile. Il ritmo scenico è cadenzato dal rombo del temporale e dalle urla selvagge di Charlotte, in preda ai dolori di schiena e dagli strazianti richiami di Helena, relegata per quasi tutto lo spettacolo fuori scena.
Nonostante lottima performance di tutti gli attori, la “sinfonia”, tuttavia, non si anima come dovrebbe. La narrazione risulta statica, e la regia di Lavia rende il susseguirsi dei fatti assai prevedibile nella sua linearità. Non aiutano le enfatiche musiche di Giordano Corapi, che sembrano suggerire allo spettatore quali emozioni provare: un commento pedissequo degli stati danimo dei personaggi o delle atmosfere cupe e cariche di dolore del capolavoro bergmaniano.
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