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Lacrime di coccodrillo per Pirandello

di Alice Pieroni
  Non si sa come
Data di pubblicazione su web 25/03/2014  

 

«Che parte credi che abbia la volontà nella vita?». La domanda di Romeo Daddi, apparentemente sciocca, rivela il profondo disagio di Luigi Pirandello. Nel 1934 l’autore siciliano, alla vigilia del conferimento del premio Nobel per la letteratura, sfogava il peso ormai opprimente del regime fascista nei turbamenti del protagonista di Non si sa come. La frustrazione di Daddi nasce dall’impossibilità di controllare le proprie azioni. Il tradimento della moglie e l’uccisione di un ragazzo sono gesti che il protagonista compie in maniera involontaria. È la mancanza di rimorso ad innescare la profonda autoanalisi perno del dramma. Romeo sceglierà consapevolmente e pervicacemente soltanto di perpetrare il proprio omicidio, per mano dell’amico fraterno Giorgio Vanzi. «Conoscersi è morire»: rivelare segreti e tradimenti corrisponde per Daddi alla scelta della morte.



Foto di Luca Manfrini


La compagnia Lombardi Tiezzi, fedele all’idea dell’autore, sceglie per l’allestimento un classico salotto borghese. Nel primo atto quinte nere creano una sorta di balcone con colonne. Gli attori sono disposti a sedere all’interno del colonnato su sedie di legno imbottite. La luce filtra dalle aperture sullo sfondo, tingendosi di rosso fuoco per dare l’illusione del tramonto. Rosse sono anche le altissime pareti del salotto nel secondo atto. Un tavolo rotondo ingombra il proscenio attorno al quale agiscono gli attori. All’ingresso di ogni personaggio, la luce, proiettata sull’apertura del fondale, muta. Borghesi sono i costumi di Lombardi e degli altri attori. Borghesemente pacato è il tono della loro recitazione. L’apparente tranquillità della classe media è turbata, all’apertura del sipario, dall’intrusione di un quartetto d’archi con teste di coccodrillo. La natura primordiale e animale del genere umano emerge irrefrenabile. I rettili sono quattro, come i personaggi principali. È dunque l’istinto che predomina su ogni altra pulsione, forse è la colpevolezza che giace nell’inconscio di ogni individuo. In questo sta il tocco raffinato del regista. Federico Tiezzi riesce a contenere su binari precisi la recitazione degli attori, contrapponendo la loro linearità all’intrusione inaspettata dei coccodrilli.



Foto di Luca Manfrini


Il Romeo Daddi di Sandro Lombardi è il centro di ogni pensiero e azione. La verve dell’attore è magnetica. Lombardi accosta al tono sagace e pungente della voce movenze studiate che richiamano figurini di moda degli anni trenta. Quello a cui assistiamo è un dramma tutto interiore fatto di coscienze sudice e delitti prescritti. Nulla trapela all’esterno. L’inspiegabile gelosia, nata per la fedelissima moglie Bice, conduce il protagonista quasi alla pazzia. Ma lo spettatore scoprirà presto che all’origine di tutto c’è ben altro. La colpa non esiste se non si voleva compiere il reato, tutto avviene semplicemente, come in sogno. I sogni non si possono comandare. Il meccanismo di autodifesa per eccellenza è l’oblio. Ma anche le maschere che quotidianamente indossiamo cadono e una traccia indelebile di quello che abbiamo commesso rimane impressa nella coscienza. Prima o poi le leggi morali ci costringono ad espiare le colpe. Ma come le proverbiali lacrime del coccodrillo il pentimento arriva troppo tardi.



Foto di Luca Manfrini


Nel primo atto la composizione della scena è precisa, impeccabile, quasi immobile. Gli unici movimenti degli attori sono dovuti alla presenza degli strumenti musicali sul palcoscenico. Il secondo atto è più dinamico, ma sempre composto e pacato. Bice (Pia Lanciotti) dai lunghi capelli castani e Ginevra (Elena Ghiaurov) dal biondo caschetto, si affrontano attorno al tavolo. L’eccezionale talento di Sandro Lombardi non lascia molto spazio ai bravissimi colleghi. Con maestria il protagonista riesce a strappare un sorriso anche nei momenti più drammatici catalizzando sempre l’attenzione del pubblico. È lui ad estrarre la pistola e a farsela strappare di mano da Giorgio (Francesco Colella) che lo uccide «non si sa come». Un lampo di luce e il fragore dello sparo chiudono il sipario. Il dramma si lascia guardare piacevolmente, lo spettatore è chiamato a riflettere e difficilmente riesce a distogliere lo sguardi dai baffi impomatati di Lombardi.
                                                                                            

 

                                   

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