Grandi
ritratti alle pareti, tende come sipari, ampie vetrate, tappezzeria rosso
ciliegia e sontuoso salotto in tinta fine Ottocento che tanto ricorda Sussurri
e grida. Di Bergman però neanche lombra. Molto vaudeville, invece,
per il dramma ibseniano I pilastri della società, poco frequentato sui
palcoscenici italiani ed oggi proposto da Gabriele Lavia nella duplice
consueta veste di attore e di regista.
E la storia
del console Bernick che dietro il successo personale nasconde una colpa
inconfessabile. Ha infatti sedotto una giovane che per il dolore ne è morta e
ha lasciato ricadere la colpa sul cognato Johan, emigrato in America con la
sorellastra Lona. Nel sontuoso salotto rosso ciliegia oggi Bernick è ricco e
rispettato, un vero benefattore. «Quanta pace nel cor, quanta gioia ed amor...»
cantano in coro la sua bionda mogliettina e le dame di carità venute in visita,
mentre la sorella bigotta suona il piano ed il professore sessuofobico tiene il
tempo. Intanto gli uomini del fare- i «pilastri della società» del titolo-
pensano a nuovi ambiziosi progetti, la ferrovia ad esempio. Ma il loro dire non
ha nulla di volgare e di sinistro; per il regista sono come tutti, dei
pupazzetti che saffaccendano senza requie nel balletto ipocrita della vita.
Anche il console di Lavia più che spregiudicato capitano dindustria è un omino
cinico e vile in vestaglia di velluto, un piccolo mostro di avidità e di
egoismo.
Quando dopo
diciotto anni di silenzio Lona e Johan scendono dal carro del circo e
saffacciano impresentabili nel sontuoso salotto rosso ciliegia del console,
fra il tavolino e la dormeuse rievocano verità scomode che smuovono la
coscienza. Le signore perbene sono scandalizzate: -Il circo americano...con
tutti quei cavallerizzi!
Lona si
diverte un mondo a sollevare il velo della finzione, mentre Bernick si
giustifica e piagnucola. Ma non crediamo un minuto alla buona fede di nessuno
dei due. Zazzeretta bionda, cappellaccio e gambe larghe da yankee, Federica
Di Martino disegna una Lona senza grazia e senza amore; Graziano Piazza
è il fratellastro che si addossa la colpa (e non capiamo perché); Giorgia
Salari la moglie Betty, bionda e tonta dordinanza. Intorno le silhouettes
in controluce delle altre figurine, soprattutto il gustoso Hilmar Tønnesen di Mario
Pietramala e la commovente Dina Dorf di Camilla Semino Favro.
Allestimento
tradizionale nei modi e non privo di qualche lungaggine nei tempi, I
pilastri della società ci ricorda che non cè libertà senza verità, perché
chi mente è schiavo della propria menzogna. La politica è corrotta perché la società
è corrotta. Cè sempre qualcosa da nascondere, una colpa di cui vergognarsi.
Può allora una società reggere e progredire senza inganno? La risposta del
regista è negativa; il lieto fine originale viene espunto. Ieri come oggi
nessun pentimento, nessuna confessione. Il Bernick di Lavia rimarrà infine
pirandellianamente fissato allennesima celebrazione vuota e tronfia della
propria (falsa) rispettabilità e farà un bel discorso finale -novello
Marcantonio shakespeariano- di fronte a quella corte di moralisti sciocchi che
lo applaude meccanicamente, «mondo orrendo di gente perbene».
La tournée
dello spettacolo:
5-15
novembre 2013 al Teatro della Pergola di Firenze
20 novembre-22 dicembre 2013 al Teatro Argentina di Roma
13-16 febbraio 2014 al Teatro Bonci di Cesena 18 febbraio-
2 marzo 2014 al Teatro Carignano di Torino
4 - 9 marzo
2014 al Teatro della Corte di Genova
12 -16 marzo
2014 al Teatro Storchi di Modena
18- 23 marzo
2014 al Teatro Verdi di Padova
25 marzo- 6
aprile 2014 al Teatro Strehler di Milano
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