Umilmente, coraggiosamente o forse furbamente presentato in concorso al Festival di Berlino (in concorso e quindi con tutti i rischi di una vera competizione), The Ghost Writer di Roman Polanski è, diciamolo subito, un ottimo film. E lo diciamo per spogliarlo dai sospetti di unoperazione “politica” di intervento sulle recenti vicende giudiziarie che hanno portato il regista in prigione per un reato di un cinquantennio fa e lo hanno costretto a concludere il montaggio per interposto avvocato. Di questa intermediazione vicaria il film non risente assolutamente: è, dal primo allultimo fotogramma, un purissimo Polanski. È un thriller politico, tratto dallaccorto best seller di Robert Harris e consacrato tempestivamente dopo la caduta di Tony Blair alle sue malefatte internazionali. Naturalmente sotto un sottilissimo velo di cipria occultante: il primo ministro britannico accusato di violazione dei diritti delluomo non viene candidato alla presidenza della comunità europea ma viene ucciso alla fine del giallo e, soprattutto, si chiama Adam Lang. Per il resto più che contare le moltissime coincidenze esterne conta la condanna morale, conta il giudizio di fondo su una sciagurata politica di asservimento della libera Inghilterra (come sono lontani i tempi in cui nel bene e nel male limpero britannico era guida politica del mondo!).
Ora il suo fascinoso ex primo ministro staziona in America, nellisola Vip di Martas Vineyard, isolato dal resto del mondo in una villa blindata, intento a scrivere le sue memorie, soggiogato dal perdurante fascino di una moglie di lungo corso, dark lady che tiene chiaramente in mano le chiavi del suo cuore e dellintera vicenda. Il mondo rientra rumorosamente nella sua vita con una commissione dinchiesta che lo obbliga ad andare a Washington e, soprattutto, con un gruppo di pacifisti che lo contestano. Ma ancor più rientra con locchio indagatore e lanima nitida del suo nuovo “ghost writer”, lo scrittore fantasma, il “negro” chiamato in tutta fretta a sostituire (ad opera quasi ultimata e soprattutto a scadenza contrattuale imminente) il precedente collaboratore, scomparso (improvvidamente?) proprio mentre si recava sullisola per portare avanti il suo lavoro col ministro. Ed è da qui che comincia il film, con una straordinaria sequenza che (il cinema è pur sempre unarte della visione) ci regala un esempio eccelso di creazione visiva che diventa atmosfera morale inquietante: larrivo dellimmenso traghetto pare opprimere lo spettatore schiacciandolo nella sua poltrona e poi apre sinistramente le fauci per far uscire una ad una le macchine trasportate che fanno progressivamente il vuoto intorno allunica che resterà: segno immediatamente angoscioso di un dramma che sta per prendere forma.
E come dimenticare laltrettanto emozionante ellissi finale quando la morte ormai inattesa del protagonista plana nella nostra coscienza col suono sordo di un corpo colpito e con la pioggia di pagine del manoscritto che volteggiano nellaria come immensi fiocchi di neve? È evidente che il discorso politico, e quello morale, interessano Polanski solo se filtrati attraverso la più pura immagine cinematografica. E attraverso la memoria filmica, e non quella storica. Chandler, Hitchcock, il grande Polanski sono i padri di questopera, riferimenti ineludibili ma non per questo obbligatorio itinerario di un percorso di identificazione puntuale.
Inutile a questo punto ribadire che anche gli interpreti sono perfetti: dal “fantasma” Ewan McGregor alle due ladies Olivia Williams (la moglie) e Kim Katrall (la segretaria). E come pensare che sia casuale la scelta di Pierce Brosnam, stropicciato primo ministro, fantasma in titolo del più famoso agente al servizio di Sua Maestà Britannica? |
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