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Tra memoria e storia: la porta del cinema

di Sara Mamone
 
Data di pubblicazione su web 04/09/2009  

Abbiamo cercato di vedere Baarìa, l’ultimo film di Giuseppe Tornatore, nonché il primo film della rassegna del Lido, evitando nei limiti del possibile di leggere e ascoltare dichiarazioni e proclami, anche se non siamo potuti sfuggire a due martellanti input: è il film più costoso della storia del cinema ed è un capolavoro. Cercheremo di non far pagare al film il fastidio che queste esibizioni comportano.

Baarìa è certamente un film ambizioso, non tanto e non solo per le splendide, immaginiamo costosissime, ricostruzioni in terra tunisina di Bagheria, paese siciliano in cui è nato Tornatore, paese governato più che dalla chiesa matrice dal monstrum architettonico della villa chiamata, appunto, dei mostri, quanto perché affronta con decisione il tema della Storia, sì proprio quella con la S maiuscola da cui il cinema italiano è stato tanto ispirato e a cui da un po’ di tempo non sa proprio più votarsi. L’ambizione più grande non è però quella di raccontare la grande Storia (anche se grande forse non fu) dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale bensì quella di farsi veicolo di storia attraverso la propria personale memoria e quindi, attraverso di essa, ricreare quel pathos che solo le vicende individuali possono creare. L’innesto della memoria personale del regista nel fluire impegnativo della storia pare perfettamente riuscito e questo a conferma, se ce ne fosse stato bisogno, della particolarissima capacità di poesia del nostro premio Oscar (non per caso con quel Nuovo Cinema Paradiso al quale questo è strettissimamente imparentato).

Sono infatti le immagini che non cessano di emozionare, immagini la cui cura maniacale raramente risulta fine a se stessa e che permeano di suggestione e armonia anche i punti meno felici, quelli in cui la sceneggiatura  diventa didascalia (e la musica, ci spiace, è spesso elemento di invadente sottolineatura poiché qui l’altro premio Oscar, il grande pure Lui Ennio Morricone, non dormicchia come ogni tanto Omero, ma si impone e firma).  Ma il didascalismo strisciante viene comunque compensato dall’intermittenza dell’irrazionale, da quel flusso di memorie che mescola infanzia e maturità e, soprattutto, inserisce all’improvviso barlumi di una cultura ancestrale permeata di magia. E così si snoda per due ore e mezzo, tra episodi che sanno di aneddoto paesano e più drammatiche pagine, la vita della piccola comunità, fatta di infiniti personaggi che ruotano però intorno ai protagonisti principali che ci sono, eccome, in questa vicenda corale che va dagli anni Trenta agli Ottanta del secolo scorso: anche se le generazioni sono tre (il padre Cicco, il figlio Peppino, il nipote Pietro) il cardine è costituito dalla generazione di mezzo, da Peppino che ha preso l’intelligenza e il respiro del padre (umile pecoraio con la passione per i romanzi cavallereschi, all’epoca del fascio e dei gerarchi paesani) e non vuole rinunciare  alle sue, di passioni: la politica e l’amore. Diventerà comunista e percorrerà un buon tratto della carriera politica (fino alla scuola di partito delle Frattocchie, fino alle missioni in Russia, fino alla candidatura al Parlamento); ma vivrà anche una vita piena d’amore e di figli, una vita familiare di certezze, elementare e incantata come solo le grandi storie  d’amore del passato sapevano essere.

Questa forza che traspare dalle passioni è, con tutta evidenza, anche la linfa dell’altro grande filone del film, che è l’omaggio continuo, consustanziale, al cinema di quegli anni, quegli anni appunto, in cui il cinema ha saputo camminare accanto alla storia. Di questo grande amore che permea l’opera dal primo all’ultimo respiro è sicuramente frutto la scelta dei due protagonisti sconosciuti e incantevoli (Federico Scianna, sempre più convincente anche se costretto a pesanti invecchiamenti di trucco nel corso della vicenda, e Margareth Madé, graziata dallo scorrere del tempo). Bravi tutti gli altri. In evidenza il trio femminile di Nicole Grimaudo, Angela Molina e Lina Sastri, e anche Ficarra e Picone. Francamente per noi insopportabile la pletora di partecipazioni amichevoli, indice di una disturbante e incongrua caccia al tesoro.

Insomma un ottimo film, non un capolavoro. Un film coraggioso? Come può il film più costoso della storia essere coraggioso?

Baarìa
cast cast & credits
 




 


 
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