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Ironia e musica nella Babele d'Europa

di Gherardo Vitali Rosati
  L'Européenne
Data di pubblicazione su web 12/06/2009  

Devono essere almeno 506 gli interpreti del Parlamento Europeo. Necessari a tradurre nelle 23 lingue ufficiali ogni intervento dei rappresentanti eletti nei 27 Stati Membri. Se mai dovessero sedersi nella platea del San Carlo, come si immagina il drammaturgo e regista francese David Lescot, lascerebbero poco più di cinquanta posti vuoti. Ma non approverebbero volentieri  le innovative teorie di comunicazione esposte dai personaggi de L’Européenne che sognano per il Vecchio Continente un futuro senza più barriere linguistiche e, di conseguenza, senza più traduzioni.

Non è molto diverso il sogno del Napoli Teatro Festival Italia che in questa sua seconda edizione presenta spettacoli in tutte le lingue europee ma anche in arabo, cinese, coreano e giapponese. Ecco allora che lo spettacolo di Lescot, inaugurando la manifestazione con attori che recitano in sei lingue diverse, ben esprime il multilinguismo di questa programmazione internazionale. E non sarà forse un caso se L’Européenne, con la sua ironica riflessione sulle problematiche dell’Unione, è andata in scena negli stessi giorni in cui si votavano – con scarsa affluenza alle urne – i nuovi delegati a Bruxelles.


 




È lì che si svolge la pièce del giovane artista francese recentemente coronato dal premio Molière: davanti alla popolata platea di interpreti sfilano stravaganti personaggi chiamati a rafforzare l’identità dell’Unione e favorire la comunicazione fra i popoli. Oltre alla zelante linguista bulgara che vorrebbe eliminare le traduzioni, ci sono gli artisti: il musicista che compone un inno da sostituire a Beethoven, il poeta che si accinge a scrivere una Epopea Europea e una ragazza che conta e riconta i risultati di una votazione.




Alla babele linguistica degli attori risponde il linguaggio universale della musica con una buffa orchestrina di tre elementi e alcuni stravaganti cantanti-attori. Tutto è ben costruito e limato: ottimo il lavoro della Compagnia Teatrale Europea, costituitasi per la prima edizione del festival, dove il multilinguismo si fa naturale e gli attori recitano con ritmo e precisione. Manca però una struttura più solida: l’ironia sul numero infinito dei traduttori e sui sedicenti artisti ­finisce presto per ripetersi. Il ritmo si spezza, e il finale più volte annunciato sembra non dover mai arrivare. Umorismo e musica non bastano a edulcorare per quasi due ore la pur sempre amara pillola europea.

 

L'Européenne
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