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Infinities:
una drammaturgia massimalista


di Siro Ferrone
  Una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 10/03/2002  
Il nuovo spettacolo di Luca Ronconi è prima di tutto il segnale di una differenza. Differenza dalla mediocre drammaturgia minimalista che prevale oggi nel teatro e nel cinema. E anche differenza dalla mediocrità dei cartelloni della maggior parte dei teatri italiani.

Le "infinità" sono il giusto contrappeso alle logiche di testi e di spettacoli che da tempo si compiacciono - con il pretesto di essere più "veri" e "diretti" - di girare intorno all'ombelico dei registi-attori, degli attori-autori, dei gruppi autoreferenziali. Qui ci si perde (e credo che finalmente si perdano anche gli spettatori dotati di una maggiore cultura scientifica) dietro e dentro a ipotesi numerologiche, fantasie spazio-temporali, teorie estreme che arrivano a far capire a chi assiste all'evento quanto poco egli sappia e può sapere di quello che c'è fuori di lui. In ogni caso lo spettatore è costretto a misurarsi con questo "fuori da sè".

Il testo proposto dal matematico inglese John D. Barrow (Londra, 1952) è stato tradotto e in parte tagliato (ma non riscritto) da Ronconi che ha provveduto a trasformare in dialogo il tessuto narrativo-scientifico dell'originale, distribuendolo ai diversi attori. I quali vengono a loro volta distribuiti nelle diverse stanze con un'assegnazione che non è però né unica né definitiva. Se i cinque testi restano gli stessi per ogni spazio (nella stanza A si recita il testo a; nella stanza B il testo b, nella stanza C il testo c, nella stanza D il testo d, nella stanza E il testo e) cambiano invece i recitanti per le cinque repliche (a1, a2, a3, a4, a5; b1, b2, b3...) che ogni sera si succedono in ogni stanza e che gli spettatori possono vedere suddivisi in cinque turni di "visita". Ognuno dei cinque ambienti, mirabili per ordinamento e invenzioni scenografiche, viene così abitato ogni giorno da cinque gruppi di attori diversi (differenti, oltre che per caratteristiche individuali, anche per numero): si tratta dunque di cinque varianti sul medesimo tema.

Se lo spettatore "normale" vede le cinque scene previste dal copione in una sequenza che gli appare fissa e immutabile, quando si azzardi - vincendo la pigrizia o vinto dalla curiosità - a ripercorrere lo spettacolo, tornando ad attraversare, dalla prima alla quinta, le stanze che ha già visitato, sarà costretto ad analizzare le differenze e scoprirà quanto grandi o sottili siano a ogni rilettura. Le singole scene (circa 20 minuti di durata) funzionano come microdrammi che, replicati ogni sera, mostrano quanto sia irripetibile e sempre mutevole la natura del mondo, e quindi - come ben sappiamo - del teatro. Le cinque variazioni dei cinque organismi di base non avvengono tutte le sere nel medesimo ordine (poiché diverse sono le disponibilità e le disposizioni degli attori) e quindi il percorso dello spettatore è infinitamente variabile. Tanto quanto la natura di ogni cosa e le cose della natura.

Il gioco appare divertente come un sistema di specchi. Seducono i temi (non originali ma originalmente esposti) elencati dalla narrazione di Barrow (il gioco combinatorio nella stanza A, le conseguenze dell'eternità discusse nella stanza B, la meditazione sui doppi nella stanza C, la ricostruzione delle teorie dello scienziato pazzo Cantor nella stanza D, i vaneggiamenti sul viaggio nel tempo nella stanza E). Ma seduce anche la tentazione di operare combinazioni e inversioni incongrue nel percorso, così come la scoperta degli effetti prodotti dal mutamento dei cast. Accostamenti giudiziosi o meno vengono indotti nella mente di chi viaggia, mentre chi è visitato (gli attori) sembra l'aborigeno di un pianeta misterioso.

Orchestrato al di fuori dei ricatti della drammaturgia minimalista (la psicologia autobiografica come giustificativo di autori nulli, il richiamo alla disperazione sociale o patologica come alibi dell'incapacità di scrivere, il verismo piccolo-borghese come richiesta di complicità a un pubblico altrimenti indifferente) il gioco nega, nel momento in cui la produce al massimo livello di ambizione scenografica e drammaturgica, l'importanza della spettacolarità fine a se stessa.

E' questo l'altro ed estremo segnale di differenza inviato da Ronconi. Infinities usa i segni della visione scenica per stabilire un contatto fra noi e quanto sta oltre la scena, un "prima" costituito dal pensiero e dalle idee di uno scienziato. Altre volte Ronconi lo ha detto: "non è il teatro che deve stare al centro del mondo, ma la cultura". E il teatro deve, come uno specchio posto in un angolo, saperla riflettere. La ricollocazione del pensiero e dell'immaginazione universale al centro della vita artistica è un segnale positivo (per chi lo sa e lo vuole raccogliere), dopo il delirio di narcisismo egotico di cui ha dato spettacolo da almeno vent'anni a destra e a sinistra il popolo degli artisti. Se si vuole, una sorta di drammaturgia massimalista.


Infinities
cast cast & credits
 
 

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stanza A

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stanza B

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stanza C

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stanza C (2)

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stanza D

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stanza D (2)

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stanza E

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stanza E (2)

Luca Ronconi
Luca Ronconi
 
 
 
 
 
 
tutte le foto sono di
Marcello Norberth

 
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