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Novecento

di Siro Ferrone
  Un'immagine del film
Data di pubblicazione su web 15/02/2004  

Al palmarès del regista greco Theo Anghelopoulos manca ancora l'Orso d'oro della Berlinale e questo nuovo film, primo di una trilogia che si annuncia monumentale (racconterà la storia della Grecia dal 1919 ai giorni nostri), pareva costruito apposta per essere premiato nella rassegna invernale tedesca, peraltro avara di opere significative. Se non è andata così la colpa è però dello stesso autore che ha caricato il suo pur bel lavoro di troppe responsabilità e intenzioni.

Rifugiati nella regione di Salonicco dopo essere scampati all'Armata Rossa che li ha cacciati da Odessa, alcuni greci fondano una nuova comunità contadina. Siamo nel 1919, il film li seguirà fino al 1949 accompagnandone vicissitudini pubbliche e private. Dalla difficile edificazione del villaggio alle inondazioni che lo devastano, dalle lotte politiche tra Destra e Sinistra alle dolorose emigrazioni, dalla Seconda Guerra Mondiale alla guerra civile tra fascisti e comunisti. Lungo questa fiumana della grande Storia si perdono e si ritrovano i fili di una storia di amore e morte che coinvolge una donna, Eleni (Alexandra Aldini), il suo promesso sposo, e anziano capo della comunità, Spyros (Giorgio Armenis), e infine il giovane figlio di quest'ultimo che strappa la sposa al padre generando due figli e una infinita serie di sventure che lo condurranno prima in America e poi sul fronte orientale della guerra. Accompagna questo nucleo drammatico - chiaramente debitore del modello sofocleo dell'Edipo re - un coro musicale, la banda di musicanti di strada, capeggiata dal corifeo Nikos, un po' amico e un po' padre vicario del giovane ribelle, alla fine vittima dei sicari fascisti.


La prima inquadratura del film

Ambizioso, e anche un po' accademico, il film si presenta come un affresco in cui la magia dell'immagine pittorica, composta da Andreas Sinanos, prevale sulla narrazione romanzesca, questa orchestrata dallo stesso Anghelopoulos in collaborazione con Tonino Guerra, Petros Markaris e Giorgio Silvani. La partizione cronologica dell'opera, lunga quasi tre ore, è scandita da numerose cesure che isolano il progresso dell'azione in stazioni autonome le quali accolgono, all'interno di una scenografia curatissima e spesso "costruita", un movimento dettato più dal magistrale uso della macchina da presa che dalla sceneggiatura. La struttura di queste bellissime scene è perfettamente teatrale.

A raggiungere questo risultato concorre il punto di partenza drammaturgico che è radicato - come si è già detto - nella grande tradizione tragica e che usa come nucleo genetico dell'intreccio la famiglia (il figlio uccide il padre e condanna se stesso all'esilio, i nuovi figli che nasceranno si combatteranno nella guerra fraticida). Da questa genesi letteraria e tradizionale derivano le altre scelte teatrali, basate prima di tutto sull'unità di luogo. Ogni sequenza è chiusa in se stessa, il montaggio e i carrelli seguono lo svolgimento dell'azione che - spesso inquadrata in campi lunghi e lunghissimi - ogni volta ricomincia da zero come ad un aprirsi continuo del sipario. Un ritmo del genere accentua la sensazione di un set che funziona da palcoscenico. I primi piani e i piani americani sbalzano in un rilievo simbolico i gesti dei personaggi che si compongono in un rituale altamente formalizzato.


Alexandra Aldini e Nikos Poursanidis

Particolarmente impressionante l'uso dell'unità di luogo in alcune situazioni: il villaggio della Nuova Odessa, il sobborgo di Salonicco, la banchina che guarda il mare. Nelle scenografie immobili negli anni si modificano i particolari: l'albero scheletrico si carica di cadaveri di pecore sacrificate; la pianura è invasa dalle acque; i panni bianchi stesi ad asciugare si macchiano di sangue; sulla banchina s'intrecciano balli notturni, di qui si salpa per l'America. Magistrali due scene esplicitamente teatrali: nel teatro abbandonato di Salonicco i palchi sono diventati alloggi di fortuna per gli attori sfollati, la platea è un grande cortile pavesato di lenzuoli, e dalla platea il vecchio marito abbandonato grida la sua disperazione per la sposa perduta. Lo stesso vecchio Spyros raggiunge infine la coppia fuggitiva e chiede di ballare, in una balera di fortuna popolata di giovani, un'ultima danza con la sposa per un attimo ritrovata, mentre la fisarmonica del figlio guida la musica dell'orchestra popolare. Il vecchio, sfiorato il diritto che la tradizione gli assegnava, ma che lo scorrere della storia gli ha rubato, muore subito dopo portando con se la fine di un mondo arcaico.

Si è detto della funzione dell'orchestra, intermittente come un coro tragico, coreografia elementare ricorrente: le belle musiche di Eleni Karaindrou hanno una funzione analoga all'acqua che è l'elemento figurativo dominante, del resto richiamato anche dal titolo, di tutto il film. Proprio l'acqua, in cui si erano specchiati come in uno schermo cinematografico i personaggi apparsi dal nulla sul filo dell'orizzonte, diventa, nella parte finale, il fondale immenso capace di avvolgere tutte le vittime della guerra e della storia in un unico grembo piangente.


Un'immagine del film

Alla suggestione visiva che ossessivamente e armoniosamente il regista ci propone non fanno però riscontro né un dialogo credibile né una recitazione convincente. Gli attori sono lasciati a se stessi, poco incisivi, e agiscono come garbate comparse di uno schema figurativo, silhouettes più che interpreti; il loro dialogo è spesso solo funzionale ai movimenti oppure si configura come una collana di monologhi "lirici", vere e proprie "arie" che accentuano l'andamento a stazioni del copione. La necessità di condensare tanti anni e tanti eventi in uno spazio sopportabile, insieme all'ambizione di mantenere un respiro epico, spingono l'autore a comprimere nella parte finale del film troppe intenzioni e troppi effetti melodrammatici. Un senso di saturazione sciupa così lo spettacolo e lo colloca come opera d'arte in un accademico museo piuttosto che offrirlo all'umile consumo quotidiano.


 




La sorgente del fiume
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Locandina




 
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