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Maria Ida Biggi

Lettere di Eleonora Duse

Data di pubblicazione su web 27/04/2019
Lettere di Eleonora Duse

Eleonora Duse incontra per la prima volta Giuseppe Giacosa nel 1880, al suo esordio torinese, dopo l’esperienza napoletana e l’ingresso nella compagnia Città di Torino diretta da Cesare Rossi. Moltissimo è stato scritto sul rapporto, durato più di undici anni, di intensa collaborazione artistica tra la grande attrice e il più popolare drammaturgo italiano di fine Ottocento.[1] Qui di seguito, si intende semplicemente presentare quello che resta del loro scambio epistolare attraverso alcuni documenti inediti o parzialmente editi che possono illuminare, per piccoli sprazzi, la loro intesa privilegiata in teatro e nella vita.

Il teatro italiano del periodo postunitario, come perfettamente descritto da Siro Ferrone, si sviluppa verso la nascita della drammaturgia moderna, procedendo «non senza orgoglio nazionale, per via autoctona, indipendente dai poco diffusi modelli francesi di Zola e Henry Becque».[2] La ricerca di Giacosa verso l’affermazione del verismo applicato all’interno del salotto borghese ha trionfato negli anni Ottanta e ha iniziato per davvero una nuova forma di teatro, poi proseguita da Marco Praga e altri. La relazione tra interprete e drammaturgo è sempre stata fondamentale nella creazione dell’evento teatrale e lo diventa, in modo particolare, nella seconda metà dell’Ottocento, quando l’esigenza di avere testi pensati per il proprio stile di recitazione o per il proprio modo di sentire diviene un bisogno, in special modo, delle attrici, che cercano nel testo teatrale anche un rispecchiamento personale, una modalità di interpretazione dei mutamenti della società e della figura femminile in cui si vogliono identificare. Anche se, diversamente da quanto accadeva in Francia, dove già negli anni Ottanta si può affermare che la stretta collaborazione tra Sarah Bernhardt e il suo drammaturgo, Victorien Sardou, costituisce un’accoppiata vincente, in Italia non si assiste a un legame così stretto e identificabile, se non forse nella collaborazione tra Duse e Giacosa. Questa potrebbe essere interpretata come la vicendevole ricerca di una nuova e giusta dimensione teatrale: da un lato per l’interprete ideale e dall’altro verso nuovi testi e soggetti teatrali adatti alla propria personalità. La Duse, ancora molto giovane per essere pienamente consapevole di questa esigenza, fa di questo repertorio, come ancora afferma Ferrone, «il punto di partenza della sua evoluzione stilistica verso l’astratto e il suggestivo».[3]

Il 22 aprile 1880 la giovane Duse è la prima interprete del personaggio di Bona di Berry ne Il Conte Rosso di Giuseppe Giacosa.[4] Questo testo è messo in scena per la prima volta al teatro Carignano, con successo, in occasione di un grande evento per la città: la IV Esposizione nazionale delle Belle Arti. L’autore piemontese, allora trentaduenne, assiste alla première del nuovo dramma e descrive disastrosamente la serata ad Arrigo Boito: «andò benissimo, ma, fra noi, fu recitato in modo barbaro da non meritare nemmeno d’essere ascoltato da capo a fondo» e definisce la compagnia Rossi «una muta di cani arrabbiati».[5] In questo momento la Duse ha quasi ventidue anni, è agli inizi di carriera e comincia proprio qui a raccogliere i primi timidi apprezzamenti, come quello de «La gazzetta piemontese» che, alcuni mesi più tardi, la definisce «un incanto d’artista».[6] Per la sua crescita artistica è importantissimo un episodio che, poco dopo, nel 1882, la vede testimone di un evento straordinario per lei e per la scena italiana: la presenza della Bernhardt che, nel corso di una tournée europea, decide di fare tappa a Torino. Cesare Rossi le cede il teatro Carignano e l’attrice francese si installa nel camerino della Duse, portando una ventata di novità nel vecchio teatro. La grande interprete francese presenta un repertorio francese fatto, tra gli altri, di titoli che saranno anche dusiani, come La dame aux camélias, Adrienne Lecouvreur e Frou-Frou.[7]

Durante l’inverno del 1883, a Torino, Eleonora Duse ha modo di frequentare e diventare amica di Giacosa che è già un letterato noto e una figura di primo piano nella vita culturale italiana e nella capitale piemontese. Lo scrittore conta relazioni prestigiose in ambito nazionale e internazionale, parla un ottimo francese che gli permette di essere in contatto con personaggi come Émile Zola; è amico di Antonio Fogazzaro, Arrigo Boito[8] e Giovanni Verga. Il 19 gennaio 1883, per una serata in onore della giovane attrice, la compagnia Rossi mette in scena l’atto unico in versi di Giacosa Il filo, scena filosofico-morale per marionette,[9] in cui gli attori si fingono marionette. Il successo dello spettacolo è un elemento importante per convincere l’autore a proseguire la collaborazione con la compagnia Rossi. Alla fine della rappresentazione, l’interprete e Giacosa hanno rispettivamente tre chiamate in palcoscenico e «La gazzetta piemontese» parla di «grazia e arguzia» a proposito della prestazione della Duse.

La loro collaborazione continua nel 1883 con la prima assoluta della commedia in un atto La zampa del gatto,[10] messa in scena dalla compagnia Rossi all’Arena Nazionale di Firenze durante la serata dell’11 aprile. Il giorno dopo, Giacosa racconta alla madre della rappresentazione, descrivendola come un «successone più trionfale non potevo né immaginare, né sperare […] gli attori correvano come sull’olio. […] Il lavoro dura un’ora e venticinque minuti, credo sia l’atto unico più lungo che esista ne’ repertori moderni» e sottolinea che la Duse è stata «meravigliosa. […] Livia ha una lunga parlata dove si dispera di non trovare argomento per chiarirsi innocente: la Duse la disse e la agì (così seppi dagli amici) in modo tale, che alla fine fu un urlo di voci e uno scroscio di applausi da far tremare il teatro». Giacosa riferisce anche che, alla fine della rappresentazione, quando lui stesso entra in scena per gli applausi e per i ringraziamenti, la vede «sfatta come un cencio», e nonostante ciò, al colmo della felicità, la prende tra le braccia e fa con lei un giro di valzer. Il drammaturgo scrive inoltre «Sì, sì, in fondo in fondo sono sicuro dell’avvenire, ho inaugurato la mia seconda maniera, e la Duse è una tale attrice da potere con essa tentare l’impossibile».[11]

Nello stesso anno, il 22 ottobre, la Duse è ancora impegnata nella prima rappresentazione di una commedia di Giacosa; si tratta de La sirena,[12] al teatro Valle di Roma, dove interpreta la protagonista Elena a fianco di Flavio Andò che impersona Federico e di Arturo Diotti che è Marco. Giacosa, mentre assiste alle prove, scrive preoccupato una lettera alla madre, datata 20 ottobre, in cui si legge:

la Duse recita in modo straordinario, ma gli altri, e specialmente Diotti sono veramente inquietanti. Stamane alla prova, arrivati alla scena dei due, lei si inquietò, talmente della insufficienza dell’attore che fece una nervosata, piantò a mezzo dicendo che era finita, che non si sentiva di seguitare, e dicendo poi a me un sacco di vituperi perché io avevo voluto quella distribuzione delle parti. Sono ben contento che essa si interessi al lavoro, ma stamani non le nascosi che avrei preferito meno zelo e finii col dirle che ero dispostissimo a ritirare la commedia e ad andarmene. Mi fece un mondo di scuse e mi promise che domani avrebbe avuto una pazienza esemplare. Povera donna! So bene che ella s’irrita a vedere la buaggine di quel poveretto e che la sua stizza è dovuta soprattutto alla paura di smontarsi per causa della smontatura dell’altro.[13]

Alla prima rappresentazione, la critica e il pubblico si rendono conto della situazione e, a parte un applauso caloroso all’attrice, la serata si chiude tra l’indifferenza. Tutti, critica e pubblico, hanno trovato la Duse «mirabile come sempre, ma Diotti era apparso un tantino trasmodante nelle espressioni del volto e Andò non perfettamente tagliato per la sua parte» e ancora «versi bellissimi», secondo «Il Capitan Fracassa» del 23 ottobre,[14] e che «esigevano una recitazione intelligente, delicata, intonata».[15]

Giacosa racconta alla madre l’esito della serata: «Dunque è andata così: silenzio glaciale dal principio alla fine, meno un applauso alla Duse che, avvertendo la burrasca, recitò in modo meraviglioso. Gli altri furono due cani veri, due mastini, due terranova che dilaniarono i miei poveri versi e rovinarono il mio bel lavoro».[16] La Duse, in effetti, aveva già espresso alcune perplessità a proposito del finale de La sirena in una lettera indirizzata a Giacosa:

Mi sono ammalata, 13 giorni a letto, e non ho potuto mettere in prova né SirenaZampa - ma ora riprenderò. Fatemi la grazia di rileggere Sirena e ditemi, in coscienza, se non è un errore il far dire quei versi a Filippo (?l’amico?) [in realtà è Federico] nella Sirena, e se non riscalderebbe il finale, se recitandoli, come un Dio li leggesse dicendoli Elena al finale. Rispondete e subito anche a questo, Eleonora.[17]

L’attrice comprende subito che la figura di Elena è assai rilevante all’interno del dramma: è poetica, aerea, vaga e ha molto peso nello svolgimento della situazione scenica, tanto da richiedere probabilmente un ruolo più impegnativo, o forse così crede la Duse che ritiene debba meritare anche maggiore spazio intellettuale. L’attrice sente che il dramma non può finire così, che i cambiamenti del suo animo vanno espressi con più evidenza. Il lasciar tutto nel dubbio, se Elena ami o no Marco, se la sua sia una fuga verso l’indipendenza o soltanto dettata da pessimismo, non è utile al buon svolgimento della pièce. La forma del testo presuppone un avvicinamento approfondito alla psicologia del personaggio, che il pubblico e la critica dell’epoca ancora non possono avere. L’illusione di una certa realtà lascia inquieti più dell’evidenza del vero. Forse Giacosa, in questa commedia, è ancora troppo legato al lirismo del testo, alla mancanza di sfumature più che alla catastrofe del dramma. E l’attrice bene lo comprende, tanto che suggerisce una soluzione diversa, chiede al drammaturgo di riflettere maggiormente sulla necessità di riscaldare il finale, di dare più spazio all’interpretazione femminile, ovviamente sottolineando il fatto che questa dovrebbe recitare «come un Dio».

In ogni caso, il reale rapporto tra Duse e Giacosa si fortificherà durante l’intero decennio degli anni Ottanta. Infatti, ad esempio, nell’estate del 1884, ritornato dalla vacanza sulle Alpi, Giacosa, con Verga e Boito, invita a pranzo la Duse, con il marito e Pietro Zoli, che si trovano a Brosso, dove l’attrice ha dovuto fare un periodo di riposo e riabilitazione, su consiglio del medico Bozzolo dopo la diagnosi di tubercolosi. Resta testimonianza di questo incontro nel noto autografo pubblicato da De Rensis e ora conservato a Sant’Agata tra le carte di Giuseppe Verdi, in cui i tre scrittori si definiscono «Romei» in attesa della Duse.[18]

Nel 1884, Eleonora Duse lavora di nuovo per la messa in scena di un’opera che Giacosa ha scritto appositamente per lei, L’onorevole Ercole Malladri.[19] Interessante è leggere una lettera di Boito a Giacosa, da cui si deduce che le prove della compagnia Rossi devono vedere la presenza dei due amici. Boito scrive:

Caro Pin, ti prego di accertare se il Rossi intende d’incominciare le prove delle tue commedie coi primissimi del mese venturo. […] Ma se il Rossi non comincia immediatamente le prove ecco che il nostro bel progetto si può eseguire. Informati di ciò subito e informami. […] Le cose del teatro subiscono sempre dei ritardi, è improbabile che Rossi cominci le prove proprio il 1° d’Ottobre, quel giorno proverà la rappresentazione della sera, dopo tanto tempo che la compagnia è sbandata. Del resto una prima prova può passare anche senza l’autore e ciò senza danno di sorta. Rispondimi che così va bene ed io scriverò immediatamente, quando avrò ottenuto il tuo assenso, a Verdi.[20]

La prima rappresentazione a Torino, al teatro Carignano, la sera del 20 ottobre 1884, è un insuccesso, anche se, a detta dello stesso autore, l’attrice dà una splendida prova di sé con un’interpretazione «perfetta».[21]

Più tardi, nel 1887, la Duse fonda una propria compagnia e, nella prima stagione da lei curata come capocomica di sé stessa, porta al trionfo l’ultimo lavoro di Giacosa, Tristi amori,[22] dopo il fiasco della prima romana[23] del 25 marzo 1887, quando la commedia era stata giudicata prolissa, noiosa e mancante di un intreccio forte. Come scrive Federica Mazzocchi, la prima romana tenuta dalla compagnia Drammatica nazionale si svolge in maniera burrascosa, tanto da convincere il drammaturgo a rielaborare il testo della commedia in vista delle successive rappresentazioni.[24] Il 30 novembre dello stesso anno, con la Drammatica compagnia della città di Roma, diretta dalla Duse, la nuova versione che sarà poi la definitiva trova il successo sperato.[25] Infatti a Torino, al teatro Gerbino, è «un successo trionfale per la commozione, per gli applausi, per le chiamate; fu un solenne avvenimento artistico quale il teatro italiano da parecchio tempo non celebrava. […] L’esecuzione è stata eccellente. La Duse, nella parte di Emma, la credo insuperabile».[26] Ancora Giovanni Pozza, nel gennaio seguente, afferma: «la parte di Emma è di quelle che meglio si confanno alla natura artistica ed alle specialità sceniche della Duse; parte di commozione e di pianto, che esige un grande giuoco di fisionomia. Perciò – lo confesso – dubitai che la ripresa a Milano valesse la prima rappresentazione di Torino. M’ingannai. La signora Giagnoni, meno qualche momento in cui si lasciò trasportare da un po’ di enfasi, fu attrice efficacissima ed interprete intelligentissima. Non così semplice nell’angoscia della scena del terzo atto quanto la Duse, meglio di lei seppe dissimulare, senza distruggerla, la tristezza nel primo».[27] La Duse aveva compreso il carattere della protagonista[28] e aveva un’idea ben chiara delle caratteristiche dei personaggi, come si apprende dalla lettera senza data, qui di seguito pubblicata, in cui propone a Giacosa una distribuzione degli attori probabilmente diversa da quanto avevano concordato:

Caro Pin, vi si vuol tanto bene quando scrivete e vi si detesta, tanto, quando non mi scrivete. Grazie che mi lasciate volervi bene. […] Dunque bisogna scrivere. Belli non c’è più. Io credo più prudente far fare Fabrizio a Pinque (Zampieri) e il marito ad Andò. Tutti e due hanno… l’intonazione, mentre quel nuovo venuto, non l’ha ancora, pur essendo un elemento utile e riducibile, ma ci vuol tempo. Facciamo dunque così. Fabrizio – Zampieri. Avvocato: Andò. Dopo domani la mettiamo in prova e ve ne saprò dire l’esito.[29]

Padova e Venezia non sono che debutti per me. È un lusso di spirito, “Padova e Venezia”. Non dite dunque che è per mala voglia che non intento Tristi amori. L’ingiustizia mi rende arida – Arida, con voi al punto, che ho dei momenti che mi pento di volervi bene. Leonor = Ho detto !! =[30]

In ogni caso, anche l’interpretazione di Emma resa dalla Duse non trova tutti i critici d’accordo. Alcuni sono più freddi, altri entusiasti. Giuseppe Depanis si sofferma sulla sua interpretazione, scrivendo:

di fronte alla sua interpretazione del carattere di Emma, non posso fare a meno di pensare all’enorme cammino che l’arte drammatica compirebbe in poco tempo, se i criteri artistici della Duse – criteri e non maniera personale, badisi bene – trovassero molti seguaci. La signora Duse in Tristi amori si rivelò grande artista meglio che in altri lavori. Qui non scene ad effetto, non tirate, non sfoggio di bei sentimenti od ostentazione di passioni malvage – due estremi che si equivalgono pel gusto del pubblico –; invece una sobrietà di parole e di movimenti insoliti in lei. Uno sguardo, un gesto, un silenzio – e la sua condizione d’animo appare al pubblico nella sua vera luce.[31]

Nel 1891 si approda all’ultima tappa della collaborazione artistica fra Duse e Giacosa con la rappresentazione della traduzione italiana del dramma in cinque atti La signora di Challant,[32] che Giacosa aveva scritto per la Bernhardt. La Drammatica compagnia di Eleonora Duse la mette in scena al teatro Carignano di Torino la sera del 14 ottobre, con buon successo, ma non quanto ci si aspettava.[33] Come scrive Mirella Schino, si è trattato di «una prima italiana, ovviamente secondaria rispetto a quella della Bernhardt» più volte annunciata, ma poi realizzata, presente l’autore, soltanto il 2 dicembre 1891, a New York.nota La diva francese non porterà a Parigi questo titolo,[34] decretando quindi un successo parziale della pièce, e anche la Duse non la riprenderà più.

Il carteggio[35] di seguito pubblicato è costituito da ventinove lettere di Eleonora a Giuseppe Giacosa, cui si aggiungono le dieci indirizzate alla sorella Teresa. Si tratta di documenti di complessa interpretazione, poiché una buona parte non è datata e il sistema di conservazione non ha rispettato una sequenza cronologica. Si tratta, in ogni caso, di testimonianze ricche di informazioni e dettagli utili per approfondire e fare chiarezza sul rapporto tra l’attrice e il drammaturgo. La relazione tra i due è stata oggetto di numerosi studi e ogni storico ne ha dato una propria interpretazione. Purtroppo, mancando le missive a firma di Giacosa, il punto di vista dell’analisi è per forza unilaterale. Piero Nardi e altri studiosi hanno riportato nei loro saggi lettere scritte da Giacosa in cui compare il nome dell’attrice, indirizzate ad amici, colleghi, familiari e molte alla madre; pertanto è possibile fare il tentativo di ricostruire l’opinione o provare a ricomporre l’immagine che il piemontese si era fatto di Eleonora, ma indubbiamente le lettere dirette a lei sarebbero state molto preziose.

Quasi sempre l’atteggiamento di Giacosa nei confronti della Duse è ambivalente o enigmatico: entrambi sono legati da sincera amicizia, si sono frequentati per motivi professionali, ma anche personali. Il drammaturgo, come si deduce dalle lettere, consiglia a Eleonora una buona scuola per la figlia Enrichetta, la aiuta a trovare una residenza in montagna per le vacanze, presenta all’attrice gli avvocati di cui ha bisogno per risolvere i problemi con «l’Americano», ossia il marito Tebaldo Checchi, rimasto in Sudamerica dopo la loro separazione. Nonostante queste evidenti dimostrazioni di amicizia e di stima, alcuni studiosi, tra cui Weaver, sostengono che non vi sia stata «tra loro mai effettiva fiducia reciproca».[36] Come ad esempio, quando il conte Giuseppe Primoli si appassiona e forse si innamora dell’attrice, Giacosa cerca di dissuaderlo definendo l’attrice «arida e ingrata» e scrivendo all’amico:

non mi trattengo con lei che d’arte e di teatro. La trovo maussade e vedo spuntare e grandeggiare la Prima Donna a detrimento della donna che mi piaceva tanto. In fondo in fondo, provo una grande compassione per quell’essere eccitabile, morboso, pieno d’intelligenza, aristocratico ed elegante e costretto per mestiere a farsi volgare ed a soffrire di tale volgarità, ed a ostentarla vantandosene per paura della nostra commiserazione. Non la credo buona: cioè non la credo capace di fare una cosa buona o di astenersi da una cattiva per pura bontà; non la credo capace di un sentimento durevole, ma credo che durante il poco tempo che rimane sotto l’impero di un sentimento è capace di grandi sacrifici e di grandi eroismi. È un’egoista che ama la sofferenza […] piena di orgoglio e sopra l’orgoglio, dominanti su di lei, in modo spaventevole, sono i sensi.[37]

Purtroppo qui emerge il punto di vista borghese e un po’ tradizionalista di Giacosa, anche se è indubbio che l’analisi del carattere dell’attrice è sicuramente molto acuta, anche se precoce, e denota da parte del drammaturgo una profonda comprensione e una notevole confidenza, per l’epoca, con l’attrice.

In ogni caso, le lettere scritte da lei e qui riprodotte hanno un interesse precipuo relativamente al lavoro teatrale che i due artisti hanno realizzato insieme. Poi, però, da questi documenti risulta anche molto vivo l’aspetto dell’amicizia che indubbiamente deve essere stata forte e che è testimoniata dai frequenti riferimenti che la Duse fa alla famiglia e ai singoli familiari di Giacosa. Inoltre, anche le forme scherzose che la Duse inserisce nella propria scrittura, come ad esempio i soprannomi che lei utilizza e il tono spiritoso che spesso tiene nei confronti del più maturo scrittore, rivelano una confidenza e una fiducia che purtroppo non può essere verificata nelle reciprocità, mancando le missive del drammaturgo all’attrice.

Sarebbe lungo e complesso, ed è già stato fatto da molti studiosi, analizzare lo stile di scrittura dell’attrice caratterizzato da modi personalissimi, fatto di pause alogiche e composto da termini quasi parlati, come se fosse un dialogo riportato su carta. Tra coloro che hanno sottolineato l’originalità e il valore della sua scrittura si trova Vittore Branca che, a proposito delle lettere della Duse e della sua grande abilità di scrittrice, afferma:

rivelano questa grande e profonda piega della personalità della Duse: la scrittrice, la avveduta lettrice di poesia oltre che di teatro, la decisiva ispiratrice e consigliera di letterati e artisti […] Arrigo Boito e Giacosa, Fogazzaro, e D’Annunzio, la Serao e la Negri, Croce e Salvemini, Pirandello e la Deledda, Papini e Prezzolini, la Aleramo e Chiarelli, Gallarati Scotti e Primoli, Slataper e Borgese, Govoni e Palazzeschi, Bistolfi e Michetti e tanti altri scrittori e artisti si muovono vivi e parlanti sotto la penna di Eleonora.[38]

Giovanni Papini, nell’agosto 1917, le dice: «Voi siete soprattutto scrittrice e grande».[39] Mirella Schino parla di «scrittura leggera, volatile, ricca per gli scarti e le impennate, nata e coltivata diseguale. Una scrittura che vuole raccontare “solo” a sprazzi, e che è priva del tutto di senso di inferiorità o di sforzi di emulazione nei confronti di prose più ordinate. Tanto ben fatta e tanto fragile da non reggere quasi la pubblicazione».[40]

Nelle lettere a Giacosa è indubbiamente presente sempre un doppio registro: da un lato l’atteggiamento è confidenziale, amichevole, ironico e scherzoso, dall’altro lato sono presenti i richiami al lavoro, alla produzione teatrale, all’impegno produttivo nella realizzazione scenica e la volontà di collaborare per la migliore riuscita dello spettacolo, come nei casi di richiesta di nuovi testi da rappresentare.

Frequenti sono anche i riferimenti alla famiglia, alle figlie, alla moglie, alle sorelle e alla madre dello scrittore e questo fa supporre un grado di confidenza certo non usuale all’epoca tra compagni di avventura nell’ambito teatrale. Anche la confidenza con amici comuni presuppone uno stretto rapporto di vita. Questa vicinanza è confermata dalle lettere a Teresa Giacosa, sorella del drammaturgo. In queste compare la ricerca della complicità della donna con un’altra donna, è evidente l’umanità dell’attrice con le sue debolezze e non sono nascoste le difficoltà della carriera artistica che, pur con molte soddisfazioni, comporta una notevole rinuncia alla propria vita privata. Appare presente senza censura l’invidia verso una vita tranquilla e pacata, così come le difficoltà economiche che costringono la Duse a rinunciare agli affetti più cari e a condurre una vita vagabonda. Nonostante ciò, spesso il tono è scherzoso e la volontà di giocare in modo infantile è rivelata dall’uso di nomignoli e di storpiature perfino del proprio nome. Quelle alla sorella sono lettere lunghe, discorsive, in cui l’attrice racconta, come a una cara amica, i fatti che le sono accaduti nel lungo viaggio in Sudamerica o i propri pensieri e desideri, lasciandosi andare ai sogni.


La loro collaborazione continua nel 1883 con la prima assoluta della commedia in un atto La zampa del gatto,[10] messa in scena dalla compagnia Rossi all’Arena Nazionale di Firenze durante la serata dell’11 aprile. Il giorno dopo, Giacosa racconta alla madre della rappresentazione, descrivendola come un «successone più trionfale non potevo né immaginare, né sperare […] gli attori correvano come sull’olio. […] Il lavoro dura un’ora e venticinque minuti, credo sia l’atto unico più lungo che esista ne’ repertori moderni» e sottolinea che la Duse è stata «meravigliosa. […] Livia ha una lunga parlata dove si dispera di non trovare argomento per chiarirsi innocente: la Duse la disse e la agì (così seppi dagli amici) in modo tale, che alla fine fu un urlo di voci e uno scroscio di applausi da far tremare il teatro». Giacosa riferisce anche che, alla fine della rappresentazione, quando lui stesso entra in scena per gli applausi e per i ringraziamenti, la vede «sfatta come un cencio», e nonostante ciò, al colmo della felicità, la prende tra le braccia e fa con lei un giro di valzer. Il drammaturgo scrive inoltre «Sì, sì, in fondo in fondo sono sicuro dell’avvenire, ho inaugurato la mia seconda maniera, e la Duse è una tale attrice da potere con essa tentare l’impossibile».[11]

Nello stesso anno, il 22 ottobre, la Duse è ancora impegnata nella prima rappresentazione di una commedia di Giacosa; si tratta de La sirena,[12] al teatro Valle di Roma, dove interpreta la protagonista Elena a fianco di Flavio Andò che impersona Federico e di Arturo Diotti che è Marco. Giacosa, mentre assiste alle prove, scrive preoccupato una lettera alla madre, datata 20 ottobre, in cui si legge:

la Duse recita in modo straordinario, ma gli altri, e specialmente Diotti sono veramente inquietanti. Stamane alla prova, arrivati alla scena dei due, lei si inquietò, talmente della insufficienza dell’attore che fece una nervosata, piantò a mezzo dicendo che era finita, che non si sentiva di seguitare, e dicendo poi a me un sacco di vituperi perché io avevo voluto quella distribuzione delle parti. Sono ben contento che essa si interessi al lavoro, ma stamani non le nascosi che avrei preferito meno zelo e finii col dirle che ero dispostissimo a ritirare la commedia e ad andarmene. Mi fece un mondo di scuse e mi promise che domani avrebbe avuto una pazienza esemplare. Povera donna! So bene che ella s’irrita a vedere la buaggine di quel poveretto e che la sua stizza è dovuta soprattutto alla paura di smontarsi per causa della smontatura dell’altro.[13]

Alla prima rappresentazione, la critica e il pubblico si rendono conto della situazione e, a parte un applauso caloroso all’attrice, la serata si chiude tra l’indifferenza. Tutti, critica e pubblico, hanno trovato la Duse «mirabile come sempre, ma Diotti era apparso un tantino trasmodante nelle espressioni del volto e Andò non perfettamente tagliato per la sua parte» e ancora «versi bellissimi», secondo «Il Capitan Fracassa» del 23 ottobre,[14] e che «esigevano una recitazione intelligente, delicata, intonata».[15]

Giacosa racconta alla madre l’esito della serata: «Dunque è andata così: silenzio glaciale dal principio alla fine, meno un applauso alla Duse che, avvertendo la burrasca, recitò in modo meraviglioso. Gli altri furono due cani veri, due mastini, due terranova che dilaniarono i miei poveri versi e rovinarono il mio bel lavoro».[16] La Duse, in effetti, aveva già espresso alcune perplessità a proposito del finale de La sirena in una lettera indirizzata a Giacosa:

Mi sono ammalata, 13 giorni a letto, e non ho potuto mettere in prova né SirenaZampa - ma ora riprenderò. Fatemi la grazia di rileggere Sirena e ditemi, in coscienza, se non è un errore il far dire quei versi a Filippo (?l’amico?) [in realtà è Federico] nella Sirena, e se non riscalderebbe il finale, se recitandoli, come un Dio li leggesse dicendoli Elena al finale. Rispondete e subito anche a questo, Eleonora.[17]

L’attrice comprende subito che la figura di Elena è assai rilevante all’interno del dramma: è poetica, aerea, vaga e ha molto peso nello svolgimento della situazione scenica, tanto da richiedere probabilmente un ruolo più impegnativo, o forse così crede la Duse che ritiene debba meritare anche maggiore spazio intellettuale. L’attrice sente che il dramma non può finire così, che i cambiamenti del suo animo vanno espressi con più evidenza. Il lasciar tutto nel dubbio, se Elena ami o no Marco, se la sua sia una fuga verso l’indipendenza o soltanto dettata da pessimismo, non è utile al buon svolgimento della pièce. La forma del testo presuppone un avvicinamento approfondito alla psicologia del personaggio, che il pubblico e la critica dell’epoca ancora non possono avere. L’illusione di una certa realtà lascia inquieti più dell’evidenza del vero. Forse Giacosa, in questa commedia, è ancora troppo legato al lirismo del testo, alla mancanza di sfumature più che alla catastrofe del dramma. E l’attrice bene lo comprende, tanto che suggerisce una soluzione diversa, chiede al drammaturgo di riflettere maggiormente sulla necessità di riscaldare il finale, di dare più spazio all’interpretazione femminile, ovviamente sottolineando il fatto che questa dovrebbe recitare «come un Dio».

In ogni caso, il reale rapporto tra Duse e Giacosa si fortificherà durante l’intero decennio degli anni Ottanta. Infatti, ad esempio, nell’estate del 1884, ritornato dalla vacanza sulle Alpi, Giacosa, con Verga e Boito, invita a pranzo la Duse, con il marito e Pietro Zoli, che si trovano a Brosso, dove l’attrice ha dovuto fare un periodo di riposo e riabilitazione, su consiglio del medico Bozzolo dopo la diagnosi di tubercolosi. Resta testimonianza di questo incontro nel noto autografo pubblicato da De Rensis e ora conservato a Sant’Agata tra le carte di Giuseppe Verdi, in cui i tre scrittori si definiscono «Romei» in attesa della Duse.[18]

Nel 1884, Eleonora Duse lavora di nuovo per la messa in scena di un’opera che Giacosa ha scritto appositamente per lei, L’onorevole Ercole Malladri.[19] Interessante è leggere una lettera di Boito a Giacosa, da cui si deduce che le prove della compagnia Rossi devono vedere la presenza dei due amici. Boito scrive:

Caro Pin, ti prego di accertare se il Rossi intende d’incominciare le prove delle tue commedie coi primissimi del mese venturo. […] Ma se il Rossi non comincia immediatamente le prove ecco che il nostro bel progetto si può eseguire. Informati di ciò subito e informami. […] Le cose del teatro subiscono sempre dei ritardi, è improbabile che Rossi cominci le prove proprio il 1° d’Ottobre, quel giorno proverà la rappresentazione della sera, dopo tanto tempo che la compagnia è sbandata. Del resto una prima prova può passare anche senza l’autore e ciò senza danno di sorta. Rispondimi che così va bene ed io scriverò immediatamente, quando avrò ottenuto il tuo assenso, a Verdi.[20]

La prima rappresentazione a Torino, al teatro Carignano, la sera del 20 ottobre 1884, è un insuccesso, anche se, a detta dello stesso autore, l’attrice dà una splendida prova di sé con un’interpretazione «perfetta».[21]

Più tardi, nel 1887, la Duse fonda una propria compagnia e, nella prima stagione da lei curata come capocomica di sé stessa, porta al trionfo l’ultimo lavoro di Giacosa, Tristi amori,[22] dopo il fiasco della prima romana[23] del 25 marzo 1887, quando la commedia era stata giudicata prolissa, noiosa e mancante di un intreccio forte. Come scrive Federica Mazzocchi, la prima romana tenuta dalla compagnia Drammatica nazionale si svolge in maniera burrascosa, tanto da convincere il drammaturgo a rielaborare il testo della commedia in vista delle successive rappresentazioni.[24] Il 30 novembre dello stesso anno, con la Drammatica compagnia della città di Roma, diretta dalla Duse, la nuova versione che sarà poi la definitiva trova il successo sperato.[25] Infatti a Torino, al teatro Gerbino, è «un successo trionfale per la commozione, per gli applausi, per le chiamate; fu un solenne avvenimento artistico quale il teatro italiano da parecchio tempo non celebrava. […] L’esecuzione è stata eccellente. La Duse, nella parte di Emma, la credo insuperabile».[26] Ancora Giovanni Pozza, nel gennaio seguente, afferma: «la parte di Emma è di quelle che meglio si confanno alla natura artistica ed alle specialità sceniche della Duse; parte di commozione e di pianto, che esige un grande giuoco di fisionomia. Perciò – lo confesso – dubitai che la ripresa a Milano valesse la prima rappresentazione di Torino. M’ingannai. La signora Giagnoni, meno qualche momento in cui si lasciò trasportare da un po’ di enfasi, fu attrice efficacissima ed interprete intelligentissima. Non così semplice nell’angoscia della scena del terzo atto quanto la Duse, meglio di lei seppe dissimulare, senza distruggerla, la tristezza nel primo».[27] La Duse aveva compreso il carattere della protagonista[28] e aveva un’idea ben chiara delle caratteristiche dei personaggi, come si apprende dalla lettera senza data, qui di seguito pubblicata, in cui propone a Giacosa una distribuzione degli attori probabilmente diversa da quanto avevano concordato:

Caro Pin, vi si vuol tanto bene quando scrivete e vi si detesta, tanto, quando non mi scrivete. Grazie che mi lasciate volervi bene. […] Dunque bisogna scrivere. Belli non c’è più. Io credo più prudente far fare Fabrizio a Pinque (Zampieri) e il marito ad Andò. Tutti e due hanno… l’intonazione, mentre quel nuovo venuto, non l’ha ancora, pur essendo un elemento utile e riducibile, ma ci vuol tempo. Facciamo dunque così. Fabrizio – Zampieri. Avvocato: Andò. Dopo domani la mettiamo in prova e ve ne saprò dire l’esito.[29]

Padova e Venezia non sono che debutti per me. È un lusso di spirito, “Padova e Venezia”. Non dite dunque che è per mala voglia che non intento Tristi amori. L’ingiustizia mi rende arida – Arida, con voi al punto, che ho dei momenti che mi pento di volervi bene. Leonor = Ho detto !! =[30]

In ogni caso, anche l’interpretazione di Emma resa dalla Duse non trova tutti i critici d’accordo. Alcuni sono più freddi, altri entusiasti. Giuseppe Depanis si sofferma sulla sua interpretazione, scrivendo:

di fronte alla sua interpretazione del carattere di Emma, non posso fare a meno di pensare all’enorme cammino che l’arte drammatica compirebbe in poco tempo, se i criteri artistici della Duse – criteri e non maniera personale, badisi bene – trovassero molti seguaci. La signora Duse in Tristi amori si rivelò grande artista meglio che in altri lavori. Qui non scene ad effetto, non tirate, non sfoggio di bei sentimenti od ostentazione di passioni malvage – due estremi che si equivalgono pel gusto del pubblico –; invece una sobrietà di parole e di movimenti insoliti in lei. Uno sguardo, un gesto, un silenzio – e la sua condizione d’animo appare al pubblico nella sua vera luce.[31]

Nel 1891 si approda all’ultima tappa della collaborazione artistica fra Duse e Giacosa con la rappresentazione della traduzione italiana del dramma in cinque atti La signora di Challant,[32] che Giacosa aveva scritto per la Bernhardt. La Drammatica compagnia di Eleonora Duse la mette in scena al teatro Carignano di Torino la sera del 14 ottobre, con buon successo, ma non quanto ci si aspettava.[33] Come scrive Mirella Schino, si è trattato di «una prima italiana, ovviamente secondaria rispetto a quella della Bernhardt» più volte annunciata, ma poi realizzata, presente l’autore, soltanto il 2 dicembre 1891, a New York.nota La diva francese non porterà a Parigi questo titolo,[34] decretando quindi un successo parziale della pièce, e anche la Duse non la riprenderà più.

Il carteggio[35] di seguito pubblicato è costituito da ventinove lettere di Eleonora a Giuseppe Giacosa, cui si aggiungono le dieci indirizzate alla sorella Teresa. Si tratta di documenti di complessa interpretazione, poiché una buona parte non è datata e il sistema di conservazione non ha rispettato una sequenza cronologica. Si tratta, in ogni caso, di testimonianze ricche di informazioni e dettagli utili per approfondire e fare chiarezza sul rapporto tra l’attrice e il drammaturgo. La relazione tra i due è stata oggetto di numerosi studi e ogni storico ne ha dato una propria interpretazione. Purtroppo, mancando le missive a firma di Giacosa, il punto di vista dell’analisi è per forza unilaterale. Piero Nardi e altri studiosi hanno riportato nei loro saggi lettere scritte da Giacosa in cui compare il nome dell’attrice, indirizzate ad amici, colleghi, familiari e molte alla madre; pertanto è possibile fare il tentativo di ricostruire l’opinione o provare a ricomporre l’immagine che il piemontese si era fatto di Eleonora, ma indubbiamente le lettere dirette a lei sarebbero state molto preziose.

Quasi sempre l’atteggiamento di Giacosa nei confronti della Duse è ambivalente o enigmatico: entrambi sono legati da sincera amicizia, si sono frequentati per motivi professionali, ma anche personali. Il drammaturgo, come si deduce dalle lettere, consiglia a Eleonora una buona scuola per la figlia Enrichetta, la aiuta a trovare una residenza in montagna per le vacanze, presenta all’attrice gli avvocati di cui ha bisogno per risolvere i problemi con «l’Americano», ossia il marito Tebaldo Checchi, rimasto in Sudamerica dopo la loro separazione. Nonostante queste evidenti dimostrazioni di amicizia e di stima, alcuni studiosi, tra cui Weaver, sostengono che non vi sia stata «tra loro mai effettiva fiducia reciproca».[36] Come ad esempio, quando il conte Giuseppe Primoli si appassiona e forse si innamora dell’attrice, Giacosa cerca di dissuaderlo definendo l’attrice «arida e ingrata» e scrivendo all’amico:

non mi trattengo con lei che d’arte e di teatro. La trovo maussade e vedo spuntare e grandeggiare la Prima Donna a detrimento della donna che mi piaceva tanto. In fondo in fondo, provo una grande compassione per quell’essere eccitabile, morboso, pieno d’intelligenza, aristocratico ed elegante e costretto per mestiere a farsi volgare ed a soffrire di tale volgarità, ed a ostentarla vantandosene per paura della nostra commiserazione. Non la credo buona: cioè non la credo capace di fare una cosa buona o di astenersi da una cattiva per pura bontà; non la credo capace di un sentimento durevole, ma credo che durante il poco tempo che rimane sotto l’impero di un sentimento è capace di grandi sacrifici e di grandi eroismi. È un’egoista che ama la sofferenza […] piena di orgoglio e sopra l’orgoglio, dominanti su di lei, in modo spaventevole, sono i sensi.[37]

Purtroppo qui emerge il punto di vista borghese e un po’ tradizionalista di Giacosa, anche se è indubbio che l’analisi del carattere dell’attrice è sicuramente molto acuta, anche se precoce, e denota da parte del drammaturgo una profonda comprensione e una notevole confidenza, per l’epoca, con l’attrice.

In ogni caso, le lettere scritte da lei e qui riprodotte hanno un interesse precipuo relativamente al lavoro teatrale che i due artisti hanno realizzato insieme. Poi, però, da questi documenti risulta anche molto vivo l’aspetto dell’amicizia che indubbiamente deve essere stata forte e che è testimoniata dai frequenti riferimenti che la Duse fa alla famiglia e ai singoli familiari di Giacosa. Inoltre, anche le forme scherzose che la Duse inserisce nella propria scrittura, come ad esempio i soprannomi che lei utilizza e il tono spiritoso che spesso tiene nei confronti del più maturo scrittore, rivelano una confidenza e una fiducia che purtroppo non può essere verificata nelle reciprocità, mancando le missive del drammaturgo all’attrice.

Sarebbe lungo e complesso, ed è già stato fatto da molti studiosi, analizzare lo stile di scrittura dell’attrice caratterizzato da modi personalissimi, fatto di pause alogiche e composto da termini quasi parlati, come se fosse un dialogo riportato su carta. Tra coloro che hanno sottolineato l’originalità e il valore della sua scrittura si trova Vittore Branca che, a proposito delle lettere della Duse e della sua grande abilità di scrittrice, afferma:

rivelano questa grande e profonda piega della personalità della Duse: la scrittrice, la avveduta lettrice di poesia oltre che di teatro, la decisiva ispiratrice e consigliera di letterati e artisti […] Arrigo Boito e Giacosa, Fogazzaro, e D’Annunzio, la Serao e la Negri, Croce e Salvemini, Pirandello e la Deledda, Papini e Prezzolini, la Aleramo e Chiarelli, Gallarati Scotti e Primoli, Slataper e Borgese, Govoni e Palazzeschi, Bistolfi e Michetti e tanti altri scrittori e artisti si muovono vivi e parlanti sotto la penna di Eleonora.[38]

Giovanni Papini, nell’agosto 1917, le dice: «Voi siete soprattutto scrittrice e grande».[39] Mirella Schino parla di «scrittura leggera, volatile, ricca per gli scarti e le impennate, nata e coltivata diseguale. Una scrittura che vuole raccontare “solo” a sprazzi, e che è priva del tutto di senso di inferiorità o di sforzi di emulazione nei confronti di prose più ordinate. Tanto ben fatta e tanto fragile da non reggere quasi la pubblicazione».[40]

Nelle lettere a Giacosa è indubbiamente presente sempre un doppio registro: da un lato l’atteggiamento è confidenziale, amichevole, ironico e scherzoso, dall’altro lato sono presenti i richiami al lavoro, alla produzione teatrale, all’impegno produttivo nella realizzazione scenica e la volontà di collaborare per la migliore riuscita dello spettacolo, come nei casi di richiesta di nuovi testi da rappresentare.

Frequenti sono anche i riferimenti alla famiglia, alle figlie, alla moglie, alle sorelle e alla madre dello scrittore e questo fa supporre un grado di confidenza certo non usuale all’epoca tra compagni di avventura nell’ambito teatrale. Anche la confidenza con amici comuni presuppone uno stretto rapporto di vita. Questa vicinanza è confermata dalle lettere a Teresa Giacosa, sorella del drammaturgo. In queste compare la ricerca della complicità della donna con un’altra donna, è evidente l’umanità dell’attrice con le sue debolezze e non sono nascoste le difficoltà della carriera artistica che, pur con molte soddisfazioni, comporta una notevole rinuncia alla propria vita privata. Appare presente senza censura l’invidia verso una vita tranquilla e pacata, così come le difficoltà economiche che costringono la Duse a rinunciare agli affetti più cari e a condurre una vita vagabonda. Nonostante ciò, spesso il tono è scherzoso e la volontà di giocare in modo infantile è rivelata dall’uso di nomignoli e di storpiature perfino del proprio nome. Quelle alla sorella sono lettere lunghe, discorsive, in cui l’attrice racconta, come a una cara amica, i fatti che le sono accaduti nel lungo viaggio in Sudamerica o i propri pensieri e desideri, lasciandosi andare ai sogni.



APPENDICE

 

Lettere di Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa

 Le lettere che qui si propongono sono conservate all’Archivio Giacosa, collocato presso l’abitazione dello scrittore a Colleretto Giacosa, in provincia di Torino. Custodite nell’armadio dello studio, si trovano, assieme a quelle di Sarah Bernhardt, Giacinta Pezzana, Adelaide Ristori e Adelaide Tessero, nel faldone Mittenti diversi segnato con il n. 13. Nella busta 68 si trovano gli autografi di Eleonora Duse 1884-1904

Un particolare ringraziamento all’avvocato Paolo Cattani che ha permesso la consultazione dei documenti.


Doc. 1

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., [1883?].

cc. 38-39. Inedito.


Pin Pon Bisogna rispondere a volta di corriere, così dicono le genti, vero? - che genere di parrucca bisogna avere per recitare “Riccardo III” e come si vestiva. - Rispondete, e subito.

Mi sono ammalata, 13 giorni a letto, e non ho potuto mettere in prova né SirenaZampa - ma ora riprenderò.

Fatemi la grazie di rileggere Sirena e ditemi, in coscienza, se non è un errore il far dire quei versi a Filippo (?l’amico?) nella Sirena, e se non riscalderebbe il finale, se recitandoli, come un Dio, li leggesse dicendoli Elena al finale.

Rispondete e subito anche a questo   Eleonora[41]

 

Doc. 2

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., 27 luglio 1886.

cc. 12-13.

 

Martedì 27 luglio ‘86 [1886]

Fatemi la grazia di darmi ascolto nò poco, e immischiatevi uno po’ degli affaracci miei. Visto e provato che una gonnella sola a poco è buona e venitemi incontro e facciamo più piccole le difficoltà.

Venuta a sapere che nell’anno di grazia 1886, io ebbi l’alto onore di conoscere un certo … Signorino Moleschott.[42] Come e perché, egli sia diventato il Salvatore mio, a voi poco preme, né io ve lo racconto - il fatto sta - che una sua visita, una quindicina di giorni fa, mi ha messo tra l’uscio e il muro - cioè andarmene al più presto dal mare. Invero, ne ho abbastanza. Voi lo sapete, conoscendomi, che non amo star ferma. Dunque, il Signorino mio Salvatore, mi manda alla Montagna, ma poiché questa vi appartiene, siete proprio l’inviato dal cielo, e il prescelto per compiere questo difficile incarico.

M’avete scritto che non vi sarebbe difficile mettervi agli ordini miei, ebben - trovatemi un cantuccio, fra tante montagne che son vostre! Cercatemelo però non molto lontano da quella dove abitate voi. Non è giusto che siate voi solo a goderne.

Fatemi spendere pochi quattrini d’affitto - e mandatemi un indirizzo preciso e pratico. Io ho una piccola tribù con me - e non è facile tirarmela appresso.

M’avete scritto che avete tanti paesi sotto il vostro dominio, fissatene uno per me - faccio molto chiasso, ma prendo poco posto.

Poi … sentite - non ho al mondo un cane che si interessi degli fattacci miei, interessatevene un po’ voi - e v’assicuro che so essere riconoscente come il suddetto.

La salute è buona, ma la vista stanca dal riflesso del mare. Un po’ di verde, compreso quello della tasca, a me non farà male - è vero? La vostra ultima lettera era buona e se questa mia è così in ritardo, si è che certe risoluzioni non si pigliano da un momento all’altro.

C’è una casa da offrirmi? Offritemela - perché se devo cercarla da me, non se ne fa nulla. Una grande pigrizia, dopo quella dello spirito, mi vince la persona. Però - tra questa pigrizia - una sola idea, guarire per lavorare.

Pensate ai casi miei, e ditemi se c’è posto fra il vostro verde.

Saluti ai vostri

Vostra E. Duse[43]

 

Doc. 3

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, [1887].

Perduta?

 

Pin!

Bisogna venire a Torino, e presto, perché Eleonora ha gran bisogno di Pin: e Giacosa non può non aiutare Dusetta. Si tratta che bisogna che io metta in collegio Enrichetta, e voi mi dovete consigliare, e bene, per il bene della creatura. Fui a casa vostra lo stesso giorno che arrivai, un’ora dopo che ero scesa dal treno. Dalla porta a vetri accanto, mi si disse “Tutti in campagna”. Ma ora, fa freddo. Pin, venite a Torino.

Eleonora[44]


Doc. 4

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, 9 novembre [1887].

c. 48. Inedito.

 

Di fretta due parole.

Eccovi due piccoli posti. Venite, venite con Maria vostra, vi prego.

E augurate il bene alla povera e buona Francillon[45]

 

Doc. 5

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., [post 30 novembre 1887].

cc. 36-37. Inedito.

 

Sabato

Caro Pin, vi si vuol tanto bene quando scrivete, e vi si detesta, tanto, quando non mi scrivete. Grazie che mi lasciate volervi bene.

Povera Linot![46]

Piccola Linot! Riparatela dal freddo il piccolo biondone bianco. Quel Milano! Che clima sgarbatone!  

Tenetevele accosto, bene accosto a voi, le piccolette vostre, e vedrete che nulla di male succederà. Voi rasserenate le amiche, vere e stanche, e lontane, voi coccolatele le piccolette vostre che vi vivono sotto la mano. Voi fate il bene e vi si deve il bene, e lo avrete.

Vi si vuol tanto bene, tanto giù giù dalla montagna al mare!

Dunque bisogna scrivere. Belli non c’è più. Io credo più prudente far fare Fabrizio a Pinque (Zampieri) e il marito ad Andò. Tutti e due hanno … l’intonazione, mentre quel nuovo venuto, non l’ha ancora, pur essendo un elemento utile e riducibile, ma ci vuol tempo.

Facciamo dunque così. Fabrizio = Zampieri. Avvocato: Andò

Dopo domani la metteremo in prova e ve ne saprò dire l’esito.

La salute è buona, e si lavora, anche quaggiù, al mare

Su, su! Pinpon! Buone cose! Buone cose a voi con tutto il cuore!

Eleonora[47]

 

Doc. 6

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

c. 56. Inedito.

 

Rendetemi giustizia - in tutto, anche dal lato speculativo.

Padova e Venezia non sono che debutti per me. È un lusso di spirito, “Padova e Venezia”.

Non dite dunque che è per mala voglia che non intento Tristi amori. L’ingiustizia mi rende arida - Arida, con voi al punto, che ho dei momenti che mi pento di volervi bene.   Leonor

= Ho detto !! =[48]

 

Doc. 7

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Bologna, maggio 1888.

cc. 19-20. Parzialmente inedito.

 

Bologna Maggio 1888

Caro Pin

Vi prego di un favore che se circostanze gravi non ve lo vietano, credo fermamente voi mi farete. Se, dunque, le bimbe stanno bene, se la casa va, se il lavoro ve lo consente, e se siete ricco al punto di non farvi danno, ebbene, uno di questi giorni, quello che voi volete, venite a Bologna da me. Ho assoluto bisogno, serio bisogno di parlarvi e non di scrivervi.

Volete, cioè potete farlo?

Scrivetemi un rigo per dirmi sì o no, ma ricordate di dirmi l’ora e il giorno che arriverete. Non fantasticate sulla preghiera che vi faccio di parlarvi, ma accettatela come una preghiera … di quelle che si esaudiscono!      

Eleonora, 

via Orfeo n. 33

Vi prevengo che l’Esposizione non ha riempito Bologna, quindi, facilmente troverete alloggio e senza alterazione di prezzo. È già qualche cosa per facilitare il consenso.[49]

 

Doc. 8

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., 3 giugno s.a.

c. 31. Parzialmente inedito.

 

3 giugno

Grazie caro Pin Pin della vostra lettera. Vi scrivo solo una riga, per pregarvi di non fabbricare sulla mia lettera precedente.

È stato un sentimento buono e pieno del core, che mi ha fatto chiedere di parlarvi - e poiché questo non vi sarà né difficile, né di danno, vi aspetto, fra pochi giorni.

Eleonora[50]

 

Doc. 9

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Napoli, 29 dicembre 1888.

cc. 25-26. Inedito.

 

Napoli, 29 Dicembre 1888

Caro Pin. Non spero di aver vostre lettere, ma se mai vi venisse il rimorso di trattarmi così male, eccovi il mio indirizzo: via Partenope - Numero 4 - 2° p.

Pensate che mi fermo due mesi, e ci sarebbe tempo e modo di farvi sapere qualche cosa degli affaracci nostri.

Come va la salute?

E Bianca?

Maria?

Pierina?

Linotte?[51]

Voi, le avete tutte con voi, o vicino a voi, le persone che amate … io mi accontento di sentirmele vivere, dentro di me, quelle che amo. Però solo le sere son lunghe, - quando lavoro me ne accorgo meno, ma quando alla sera accendo la mia bella Lampadona sento che ci sono dei posti vuoti, attorno a Lei.

Ho visto Matilde - Dice che siete pigro, e che vi dimenticate di lavorare. È vero? Io penso che se non lavorate, quando loro vogliono ….

Un poco dopo

M’hanno chiamata, ho interrotto, e ho perso la scusa buona per voi … Via, pin pon! Scrivetemi. Un foglietto; solo l’indirizzo, fa così bene … statevi bene

Eleonora[52]

 

Doc. 10

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., 20 gennaio 1889.

cc. 21-23. Parzialmente inedito.

 

Domenica 20 Gennaio 1889

Pin pon!

Pin pon!

Pin pon!

Che gioia!

Mi avete scritto una lunga lettera, che gioia! Così va bene! Fra pochi mesi che me ne andrò a Madrid, mi scriverete, delle lettere lunghe, poiché vi voglio tanto bene!

Pin pon!

Pin pon!

Pin pon!

Lavorate - Lavorate!

Le piccolette son con voi, l’inverno è quasi finito, noi si rinasce, ogni giorno,

ogni giorno,

ogni giorno.

Dunque! Lavorate!

Questo Chierichetto, chierichetto piccolo piccolo, quando ritornerà da lontano, reciterà tutti i lavori vostri! Io avrò guadagnato dei quattrini, e allora, potrò dire a Buffi che è un cane se li vuole tutti per lui!

Su Pin pin su!

Come mi ha fatto sempre bene al core volervi bene! E ve ne voglio tanto veh! Tanto! …

Su! Ave! Eleonora

Qui tutto va bene.

La venuta di Sarah è stata una frustata al pubblico che ora s’appassiona della “così detta” lotta - Sono andata due sera a sentirla.

È un’altezza assoluta!

Tanto assoluta ch’Ella, Sarah, non permette al cervello di scendere al core.

Anatomicamente, prima viene la testa, poi il centro.

Sarah fa bene.

Sarah ha ragione

Sarah mi dimostra che non esiste giovinezza né di corpo, né di anima, ma arte - studio - Chierichetto la sa comprendere, Chierichetto è così felice! Chierichetto ha un trillo nel sangue - È sangue sano e forte!

Voi siete un zuccone che non capite niente! -

Matilde[53] ha partorito, c’era un bel maschione … pieno di capelli neri neri, e con certi occhi che canzonano ciò che guardano.

Povera Matildella ha sofferto come li cani a far quel figliolone!

Matildella dissemi, giorni sono, che proprio l’articolo non era arrivato.

Io credo che dicesse il vero - era sincera dicendolo - Però a tempo opportuno, glielo dirò!

Fatene un altro degli articoli!

Pin Pon! Quando c’è tanta roba in core!

Eleonor

Domenica 20 gennaio 1889

Guardate come ho scritto bene questa data!

Baci a Bianca, Pierina, Linot e Maria

Manderò a Piero[54] il ritratto[55]

 

Doc. 11

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Messina, [1889].

cc. 33-34. Inedito.

 

[1889] Giovedì, ore 2

Pin Pon,

Dovreste fare una gita lassù.[56] Temo che non si stia bene di salute e il Barnum[57] del mio casato, mi impedisce d’aver notizie giornaliere.

Io mi alzo adesso, dopo tre giorni di letto, ho ancora un po’ di tosse, ma sto, in complesso meglio, e stasera vado in Egitto.[58]

Avete capito? - Andate lassù, vi si aspetta sempre o soli, o accompagnati, e mandatemi notizie.

Non so perché - sono inquieta, scrivetemi

Ave

Mandatemi, di lassù notizie. Non so perché, ma non sono tranquilla. Si ha paura, sempre, è quasi giusto, vero Pin?

Sono contenta che le vostre piccole avranno un gioco spedito. Mi piacerebbe anche a me - all’aria buona - e lassù!

A voi Pin

Eleonora

Lavorate. Sarò tutta per voi e vinceremo.

Ho accettato la moglie ideale.[59] C’è del buono - e con l’autore ho potuto discutere; e ciò mi ha decisa. Speriamo bene.

Lavorate Ne ho bisogno Ave!

 

Doc. 12

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

cc. 15-17. Parzialmente inedito.

 

[I] Domenica - dopo teatro

Carissimo Pin

Le lettere sono fatte apposta per non capirsi.

La mia fu interpretata tutta alla rovescia e la vostra mi ha fatto male.

Non ne parliamo più.

[II] Lavorate per Sarah dunque e non parliamo più della Duchessa Anna. Per il resto di tempo che ancora resto in Italia accetterò allora qualche altro lavoro, che avevo rifiutato nell’attesa

[III] di voi. Ma così non è. Però era bene che voi me ne aveste avvertito subito - Infine … è lo stesso.

I lussi dello spirito, si risolvono a zero, mio caro Pin, Saluti E. Duse[60]

 

Doc. 13

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Mosca, 23 maggio [1891].

cc. 27-30. Parzialmente inedito.

 

Mosca, 23 maggio [1891]

Ah! Mosca che fai venire la mosca al naso! Ecco qua la vostra lettera, ma poiché una notizia buona non arriva mai senza una cattiva, così, invece del copione desiderato, ecco una lettera che è quasi intonata, e un fascio di giornali: l’“Arena” di Verona e un altro, non so cosa, da Padova. Ah caro Pin! Che guaio le cene! E le rivelazioni! Questa “Arena” ci mette tutti in branco, per bocca vostra, ed è sola cosa che mi dispiace!

Vi siete fissato su la “camorra” e nessuno vi ci leva! Anche a Milano, ci siete cascato, e mentre sembravamo d’accordo sulle ragioni vere che impedivano la messa in scena immediata, cioè: mancanza di tempo,

di un attore,

anzi di due e imminente partenza per la Russia - eccovi, là, banchettante e festeggiante a Verona, fissato, duro, come un coscritto su l’idea che sia la camorra che ha impedito tutto, e imboccate non del vero quel cretino di giornalista che ha fatto l’articolo, e che in fine delle solfa mi dà della bestia. Amen! Tutto questo vi e ne assomiglia, e sarà sempre così.

Per buona sorte, mio povero Pin, comincio metter da parte, 4, 4 schifosi soldi - e la visione di andarmene in capo al mondo è la sola che mi regge! Per quel tanto di bene, e di male, che siete arrivato in tempo di farmi, anche voi, a questo desiderio assoluto, completo, di farmi “trappista” ci avete contribuito, anche voi, e per quel tanto ve ne dico: grazie.

Ciò non toglie, che vi voglio bene, per conto mio e che amo la vostra Challant.

Poiché ho ancora i denti in bocca, bisogna che passi per quella pelle, e se mi parlate e se sapròrendere” il ruolo, forse vi dirò di sì … E forse mi sbaglio

Eleonora[61]

 

Doc. 14

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., [1891].

cc. 28-29. Inedito.

 

Qua? Niente, nessuna novità. Tutto è andato bene, e se sapessi essere cavadenti vi potrei raccontare delle cose da pazzi del pubblico Russo, ma non ho la saviezza, io, di saper vivere nel presente … e la vita se ne va, e non la rimpiango.

Poiché la salute è buona lavorerò fino a Luglio, fin quasi alla fine di Luglio (sarò a Odessa) dove mi imbarcherò per Brindisi e Genova.

In agosto l’Americano sarà in Italia, l’ho saputo di sicuro. Infatti è giusto, la zuppa è scodellata e bisogna mangiarla! Ma sono tranquilla, quei 4 schifosi soldi - so bene dove nasconderli e allora!

 Vi avevo comprato un bel “Samovar” per regalo locale, ma poiché siete banchettante e festeggiante e fisso e cretino sulla ragioni del ritardo della messa in scena, niente “Samovar”! Eppure!

V’asssssicuro che un Samovar, acceso, rende la casa intima e vissuta. Amen!

Ciapa lì! Niente Samovar.

 Presto partirò di qua. Si attende un telegramma ma non so ancora se sarà Kieff o Zarcoff[62] o Tiflis[63] dove andrò. Poco importa. La lettera e il copione - se lo spedite - mi seguiranno

Ave[64]

 

Doc. 15

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Kiev, 24 giugno 1891.

cc. 13/1-2. Parzialmente inedito.

 

Kieff 24 Giugno 91

Leghiamo il pacco prima di andarcene.

Parto domani per Odessa. Vi ho telegrafato or ora. Dunque - ecco qua - Ricevuta la vostra lettera, qui, a Kieff, mi son messa in moto a cercare il libro.

Fate di valutar bene che cos’è un Governatore in un paese d’autocrati, e se fin là ci arrivate, vi partecipo allora, che, con l’intervento di due Governatori, quello di Mosca e quello di Kieff, ho cercato, hanno cercato in loro nome e pel mio, il libro della Challant, fra tutti gli scaffali e teatri moscoviti.

Non ci sono che gli amici per facilitarci l’esistenza, in verità! Ed ecco dunque che mi avete messa sossopra con la paura di perdere ciò che non è mio, e per voi, per la vostra Dama, ho messo sossopra al mio turno tutto il governo Russo, ho speso un patrimonio in telegrammi. Ma niente è arrivato. Il libro non ha visto lume in Russia. Nessuna Dama in vista! Ho lasciato a Mosca - lascio a Kieff a tutte le Poste e a tutti i Governatori dell’Impero, il mio indirizzo ultimo, cioè Odessa. … Se - (Dio lo sa) il copione arriverà in mano mia, vi telegraferò ancora per acquiettarmi della responsabilità (relativa) e per tranquillizzare Pin & Giacosa … ma temo forte che niente arriverà.

Come mai però in questo curioso paese le semplici … mortali, lettere arrivano - mème le cartoline anche, e rimandate anche da un paese all’altro, arrivano - e i libri raccomandati - e non mortali non si ricevono - questo, non so capire ancora.

Come mai poi, voi, dopo aver ricevuto il mio telegramma da Raskoff che vi pressava di far spedizione, mi rispondevate tranquillamente, per lettera, una settimana dopo, invece di telegrafarmi come ogni semplice mortale avrebbe fatto, “ho spedito” e mi lasciate quasi tre settimane - a guardare l’orizzonte, dicendomi, viene o non viene, anche questo, a questa distanza, non so capire.

Breve! Son desolata ma il libro non è arrivato.

Breve, ricevuta questa mia - (che “raccomando” a scanso di altri smarrimenti. Sebbene le lettere, è vecchia storia che arrivano sempre una volta spedite, per stupide o stonate che siano). Mandatemi, dicevo, a Odessa Posta restante in lettera raccomandata anche il giorno esatto che il libro fu spedito, mandate anche lo scontrino di spedizione del libro, per poterne fare ricerca con una prova alla mano - e di Governatore in Governatore, poiché la Polizia mi protegge, farò pescare il libro prima di andarmene dalla Russia.

Partirò per l’Italia fra 20 giorni - (o meno, o più non so ancora) dunque non c’è tempo da perdere, e datemi mano alle ricerche. Se il libro fu spedito di mano vostra, allora non c’è dubbio, e bisogna far di tutto per riaverlo - Questo è il mio volere, del quale sono certa, come sono certa … che saranno due mani a riceverlo

Saluti! Amicizia Eleonora

Scusate la lettera lunga ma mi manca il tempo per scriverne una corta[65]

 

Doc. 16

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Napoli, 29 agosto s.a.

cc. 1-2. Inedito.

 

29 agosto Napoli

Caro Pin, se Buffi[66] vi ha scritto lo ha fatto per ordine mio e autorizzato da me. Io sono ritornata con lo stesso programma che son partita, cioè, al mio ritorno metterò in scena al più presto la Challant. In questo eravamo già d’accordo voi e io prima che io me ne andassi.

A quale scopo dunque vi avrei fatto tanta premura quando ero in Russia per ottenere il copione? Esso arrivò così tardi che non fu più possibile provare. Vi mandai al suo arrivo un telegramma “Patriottico”

“Viva l’Italia” al quale non rispondeste. Ma ora si tratta di lavorare. Mettetevi d’accordo con Andò - Andò ha tutti gli ordini da me, ha intelligenza e buona volontà e interesse necessario ed è capace di capirvi - Buffi si metterà d’accordo con Andò e con Voi per ordinare le scene al scenografo. Non avete che a mandargli i Bozzetti sotto fascia. Io scriverò una lettera, mi costa gran fatica - fra una “bruciatura” e l’altra come sono - e bruciata e stanca fino all’osso.

Scrivete ad Andò per costumi e scene. Andò sa le mie idee - io alle prime prove d’abbozzo vorrei non assistere. Mi stancherei inutilmente. L’indirizzo d’Andò è Pisa ferma in posta.

Saluti E. Duse e in bocca al lupo

 

Doc. 17

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

cc. 3-4. Inedito.

 

Mercoledì

Caro Pin,

Vi sono tre cose assurde e che non stanno in piedi e non possono durare.

I La proposta vostra a Buffi

II La proposta di Buffi a voi

III La possibilità che il lavoro non sia dato da me, in Italia.

Questo non può essere. Ne ho diritto - e dovere.

Venite da me - e l’assurdo sparirà, e vi si faranno altre proposte, che cammineranno.  

Ave! E Duse

No - così: E. Duse    Nome e cognome è il buono ![67]

 

Doc. 18

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Padova, 22 [aprile 1880?].

cc. 10-11. Inedito.

 

Padova 22

Caro Pin - Ho accennato a Buffi l’inconveniente di Pasta e conte Rosso.

Buffi dice che Pasta ha torto di protestare adesso perché il conte Rosso era già da anni stato rappresentato da un’altra compagnia.

Non ho detto della vostra lettera più che tanto a Buffi - poiché sarebbe stato inutile. Né Buffi, né io abbiamo per noi e per voi quello che … vi servirebbe. A Bologna è andata a rotta di collo - basta un mese di quel genere per asciugare le tasche.

Personalmente, non ho tanto che basti per permettermi di farlo.

Vi parlo franco come fra uomo e uomo, perché, sapete, che se potessi lo farei subito, e con tanto piacere Pin! Ma … non ne ho

Eleonora[68]

 

Doc. 19

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

cc. 49-50. Inedito.

 

Pin ho proprio bisogno di voi - Sul serio - ieri sera ho visto Nasi e l’americano, mi minaccia cose che turbano e mi fanno tanto male. Fatemi la grazia, venite da me in giornata. Verrei io ma oggi sto così poco bene che non mi sento d’uscire.

Ho bisogno di eleggere per me un avvocato da contrapporre al Nasi, e voi, potete indicarmi una persona per bene a cui possa affidare tutto.

Ringraziando Dio delle persone per bene, al mondo ce ne sono ancora - Abbiate tanta pazienza e tanta bontà e venite - ve ne prego - tanto tanto !

Salutate Maria e ditemi se avete avuto il copione - perché la cameriera mia, teme del postino

Salve Eleonora[69]


Doc. 20

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

cc. 44-46. Inedito.

 

29 a letto - ore 6

A sentirvi, avete ancora ragione voi! Mi avete lasciato crepare e poi adesso dite che sono io “che vi trascuro”.

Io ho torto solo con Maria che mi ha mandato un bel regaluccio e delle buone parole per mezzo di Matilde, e a Maria ho avuto torto di non scrivere subito, … ma tutto quello che è dimostrare l’affezione mi è diventato così difficile! - E allora, a che serve, dite voi che mi vogliate bene? Non lo so neppure io, ma ve ne voglio - ve ne voglio - è vero però, che dentro di me, vi avevo soprannominato “Pilato”-

Teh! - Già vi detesto sei mesi dell’anno!

È cosa vecchia e, appena mi riparlate, faccio la pace. Facciamo pace - la!

Di Bianca avevo notizie, frequentissime notizie, e buone e belle, ed ecco perché non ero capace di scrivere.

Teresa mi ha scritto da Parella - Povera Teresot!

In quanto a me, zoppico ancora, ma ho potuto strappar un po’ di lavoro - è stato un male così faticoso - e mi sta in mente che non ho più tempo di prender tempo - quindi tenterò di lavorare, meglio e più che mi sarà possibile.

Sono obbligata a stare molte giornate a letto e questo non mi rallegra.

La penna non vuol scrivere - Quà le due mani!        Eleonora

Sono stufa di volervi bene - andate al diavolo!

 

Doc. 21

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

c. 7. Inedito.

 

Mercoledì

Caro Pinponpin

Vi domandiamo (come dicono i Re) un favore. Eccolo. Bisognerebbe offrire alla Signora Madonnina Malaspina Boito - un palco per la recita di domani. Voi che siete amico di casa, potreste farlo (ditemi se volete farlo). Offerto da voi, sarebbe un favore, reso a tre persone. Se avete un minuto di tempo passate da me. Fino alle 12 sono in casa. Elenor[70]

 

Doc. 22

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Padova, 18 giugno s.a.

c. 14. Inedito.

 

Padova 18 giugno Teatro Verdi

Pin Pon

Don Don Svegliatevi - Avete ricevuto la bolletta? Se fosse andata smarrita starei fresca.

Scrivetemi, una parola - magari, mandatemi al diavolo! 

Eleonora

 

Doc. 23

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, Padova, s.d.

cc. 54-55. Inedito.

 

[Padova]

Martedì mattina

Ieri sera avevo appena scritto i due foglietti e m’ero coricata (da buona bambina!) che è arrivato il telegramma.

Meno male! Là! Sentivate d’essere in dolo - e ora tutto è a posto. Ora mi alzo - vado a cercare casa - Se scrivete indirizzate al Verdi (Teatro!!!) perché non so se resto all’Hotel o altrove.

Stamane, mezzo giorno, le campane suonavano a gran gioia …. 

Che senso di casa mia ho provato. Mamma mia, da giovane, quante volte le avrò sentite …

Elenor[71]

 

Doc. 24

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

cc. 5-6. Inedito.

 

Pin Pon

Dopo che avete magnato, se potete, passate da casa mia, a veder se son morta o viva.

Son due giorni che son legata al letto. Venite, un momento, da bravo. Ho una cosa a dirvi

Vostra    Lenor

 

Doc. 25

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

c. 9. Inedito.

 

… Vi scrivo dal letto

Voi fate dei furti letterari - così direbbe la gente - io so che Bianca è guarita e in compenso di ciò, mi sto zitta. Fra due mesi, sarò guarita anch’io - e seguiterò a volervi bene, ma in quanto a voi, sto pensando, da un pezzo, che non me ne volete più.

Salutate Maria, e un bacetto a Bianca, poverina! 

Lenor          Venerdì

 

Doc. 26

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

c. 51. Inedito.

 

22 sera.

Caro Pin Pon - E. desiderava di salutarvi prima d’andarsene, ma da quel che si dice, non vi vedrà. Oggi atto I sarà già al suo posto.

A Pinpon con tanti saluti buoni e tanti auguri buoni buoni - e tutta la mano nella mano vostra - El

 

Doc. 27

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

c. 35. Inedito.

 

Lunedì sera

Sono arrivata da un’ora. Non voglio coricarmi senza avervi scritto di scrivermi di Lavorare e … di trattarmi bene. Ci sono delle volte che mi parlate con un tono che mi fa dire di voi che mi siete ingrato. Non fate che ve lo dica! Mettetevi a lavorare! È la cosa che più conta. Arrivederci fra pochi giorni. Ma trattatemi bene. Voi lo sapete, in fondo, che me lo merito! Vostra Eleonora

 

Doc. 28

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

c. 42. Inedito.

 

Venerdì mattina

Caro Pin - non sono ancora sul binario. Mandatemi quel dottore vostro Elenor

 

Doc. 29

 

Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, s.l., s.d.

cc. 40-41. Inedito.

 

No, non han detto che siete malato. Han detto, nell’antro delle Belve - metà della verità - (al solito) han detto: “non può venire”. Allora, gentilmente ho pensato che ciò che v’impediva era l’odio di razza e l’orrore dell’antro!

“Visitare gli infermi?” Non posso - son mezza inferma anch’io stasera - e ho la testa tonta per aver pensato parole e pensieri altrui … e i miei? e le mie? - Le serbo -

Vi vedrò dopo domani - Domani non posso … E. D.[72]

 

 

Lettere di Eleonora Duse a Teresa Giacosa[73]

 

Doc. 30

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, s.l., s.d.

cc. 63-64. Inedito.

 

Giovedì

Cara Teresa

Ti scrivo da letto - ma la tua lettera - anzi - le tue lettere sono così buone e affettuose che mi fanno molto bene. Ti scrivo poco che ho la testa un po’ balorda causa la debolezza.

Sono stata un po’ male, ma ora è finita - Sta quieta - poiché dici che ti preme di me - Quando sarò alzata ti scriverò di tante cose.

Saluta mamman - Maria - Nina, le bimbe -

Scrivi a Giacosa che gli auguro il successo con tutto il cuore Serbati buona come sei - e voglimi bene  Tua Eleonora[74]

 

Doc. 31

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, Genova, 2 aprile [1885].

c. 61. Inedito.

 

Genova 2 aprile [1885]

Teresa! Parto …

Non ti parlo di me - Questa partenza è uno strazio - Grazie che mi hai scritto - finito questo periodo d’agitazione del viaggio - e ritrovata un po’ di pace - sotto altro cielo - ti scriverò.

Avevo mandato un telegramma a tuo fratello, per salutarlo prima di partire. Non è venuto. Io fui a Torino solo per vedere la mia creatura. Tuo fratello si è convinto che io non sono che una prima donna - Santa pazienza -

Teresa mi vuoi bene e ti credo - Bacia la mano per me a Mamma tua - e … Grazie - Grazie - piangendo - che sai pregare tedeschina per me! - Ogni bene nella tua casa! - Ciao! Eleonora

Com’è dura e faticosa la vita --- Teresa! Grazie che mi vuoi bene![75]

 

Doc. 32

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, s.l., 11 aprile 1888.

cc. 80-81.

 

In mare 11 aprile 1888

Teresa mia buona - Domani saremo a San Vincenzo - e approderemo - potrò mandarti un saluto - eccolo - sono partita tristissima - e il viaggio ne’ primi giorni non fu certo incoraggiante - oggi è calmo e posso scrivere.

Che dirti? Che son triste e che ho poca speranza nello scopo del viaggio - Siamo in preda d’impresario e mi pare d’essere una mercanzia d’imballaggio - oh Teresa mia buona - tu fossi qui! Aggiungi che con noi viaggia una compagnia di canto - e un intero corpo di ballo … pensa che chiasso! Mi promettono un po’ di riposo - fuori dal teatro - nel mare … ma anche qui la marea invade … pazienza

Non so scrivere - Il mare oggi è calmissimo - ma l’aria si è già fatta calda e greve - poi, qui, nello stanzino dove dormo - mi par di soffocare - In sala - non vado - è piena delle mogli dei tenori.

Tu sei a Parella? Ti vedo o mia buona - nella tua casa … che pare un convento - che benessere quella sera quando scesi … e arrivai stanca … e ne ho veduto la terrazza fatta ad arcate - Tu sei là - e io cammino cammino - e arriverò e reciterò e ritornerò e reciterò ancora sempre … sempre per tutta la vita …

Oh Teresa! Teresa! Bacia la Mamma tua per me - Dusot

Non ti dico di salutare tuo fratello. Non ho potuto mantenere la promessa di rappresentare la Resa - ed egli certo - non crede - che ero sofferente a Roma … e triste … Pazienza - ti bacio Eleonora

Ho terminato stanotte di leggere Daniele Cortis[76] - a Roma non l’ho voluto leggere - avevi ragione! Che libro benefico![77]

 

Doc. 33

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, Rio de Janeiro, 25 agosto 1885.

cc. 73-74.

 

25 agosto 1885 Rio de Janeiro

Teresa! Mi metto al tavolino, scrivendoti e ho scritto il tuo nome con un respirone … ahuf! Ho bisogno di farne un altro … e lo faccio e lo scrivo. Teresa! …

Oggi rimandate da Buenos’aires ho ricevuto due lettere tue - più una diretta a Rio che fanno treTre lettere dopo mesi e mesi che non avevo una parola tua - mi han fatto tanto bene che hanno finito per farmi male … e del male ne ho passato dal giorno che v’ho lasciato a Torino. … fu nell’ottobre … 84 … siamo nell’agosto 85 … Teresa … come si cammina … che fatica! Avevo il petto stanco allora … te lo dicevo - Dovevo affrontare la stagione invernale di Roma … e la stessa stanchezza d’anima e di corpo anche adesso con l’aggiunta d’un anno di lavoro … di fatiche … di viaggio!

Son partita dall’Italia (leghiamo i fili) e sono arrivata a Montevideo. Aria buona! Non mi ricordo se da Montevideo ti ho scritto - mi pare di sì, mi pare di no - quello che so di certo … che di lettere tue non ne ho avute … né tue - né di Giacosa - Tu puoi fare una osservazione e dire fra te - come mai non è certa d’avermi scritto e come invece è certa di non aver avuto nostre lettere … ma tutto questo è - è avvenuto perché lo scrivere mi era diventato impossibile, insopportabile - mentre invece il desiderio di ricevere una lettera era sottile - quotidiano - continuo - Sono stata male quel tempo a Montevideo … Avevo bisogno di quiete e quella vita d’Hotel mi seccava e quell’essere “la bestia rara” nelle strade … nel mio teatro … a quello di musica dove andavo quando non recitavo e quell’aver fatto 9000 miglia di mare per trovare sempre le stesse cose … mi rendeva uggiosa … e intollerante.

Mi sorprendeva alla sera che mi capissero a recitare … a quanta distanza e mi dilaniava quando non mi capivano abbastanza … insomma … un fastidio … un peso … un mal’essere!

 Sono partita da Montevideo - città né più né meno dello stesso colore, dello stesso carattere che una delle nostre europee e venni a Rio. E qui - mia cara - mia buona solitaria - qui incomincia la parola magica dell’America - Questo non è un paese … è un sogno. Ho chiuso il cuore e la mente in faccia a me stessa, e passo la mia intera giornata girottolando per città e dintorni o in carrozza o in tram … Mi conoscono - in tram - mormorano quelle due sillabe dal mio nome che obbligano la bocca a un movimento che ormai conosco anch’io - ma io mi sopporto e fingo a me stessa d’essere una buona e cara solitaria come te … che viaggia … ed ammira … Però questo paese che non è più paese … questo sogno, … questa potenza vera di bellezza, di natura … ah … Teresa … come avvelena! Il povero Diotti oggi - lo sa - Il buon figliolone arrivato qui - si è ubriacato della bellezza, del profumo dell’aria … ha corso con entusiasmo, per entusiasmo su per la montagna sotto il sole e nel mare … il poveretto non ha sentito che l’entusiasmo - tutta quella gioventù - tutta quella espansione, tutta la poesia di quel cuore e di quella fantasia … insomma tutto questo … lo ha portato via! Ah … il povero amico! Povera anima! Che male Teresa … che male vederlo morire così![78]

 

Doc. 34

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, s.l., 28 gennaio 1886.

cc. 75-76. Parzialmente inedito.

 

28 gennaio 86

Cara Teresa - La posta di stasera mi ha portato una buona lettera - la tua.

Prima di coricarmi e son le 8 ½ di sera ti rispondo subito. Se la giornata è lunga sempre chiusa in una stanza a stufa - pensa come deve essere eterna la serata - Però - inalandomi - la voce pare che torni e la tosse non mi scrollerà più le tempie e le reni. Gesù bambino vi ringrazio! Siete bambino e siete buono - sebbene Divino!

La tua lettera mi dà la buona notizia della lettura a Milano della Resa - In arte - nessuno - augura - come me - un successo grandissimo e buono e vero a tuo fratello - Io credo e spero che lo avrà - A cosa fatte spero che me ne terrete informata.

Spero - a parte la tua tristezza - che è poi tristezza di stagione - spero la tua salute buona - a me mi promettono che nell’estate sarò ritornata forte e robusta – vedremo - Intanto fino a metà e forse tre quarti di febbraio, non si parla di recitare - non si può recitare.

Tu capisci che languore, che anemia nella cassetta sociale - tu ti figuri il prolungamento enorme e crescente del naso di Rossi, in proporzione con il prolungamento della mia malattia (che non può dirsi malattia ma stanchezza) - Mah! Che farci - anche le prime donne son donne come le altre e soffrono di bronchiti come le altre. Anche le Dive, e così mi chiamano di ritorno dal grande mare, anche le Dive soffrono le gloriose stagioni, e mangiano pasticche e bistecche, quando lo stomaco regge!

Così non è di te - felice solitaria che vivi tranquilla - e puoi morire a modo tuo - mentre è probabile che quando me ne andrò io - al grande riposo - ne diranno - e da viva e da morta di cotte e di crude - già fa piacere del resto - perché fa reclame.

E adesso - senza complimenti - ti saluto o mia buona e me ne vado a letto - Ieri mi son fidata del sole e son stata sul poggiolo un che, come 10 minuti e stasera ho fredduccio per le ossa.

T’auguro una notte buona e dei sogni buoni - scrivimi - Scrivimi quando puoi e ti prego non intrecciare i caratteri, ma aggiungi un foglietto - è così difficile - nel modo come tu aggiungi, arrivata al quarta paginetta, decifrare per bene - Ciao - Ciao Salutami Mamma tua buona e tutti e tutte di casa tua Ciao Eleonora Duse

30 gennaio mattina

Cara Teresa ti scrivo due lettere in una. Quanto qui sotto scritto di sera è rimasto due giorni nella cartella sul tavolino perché la pioggia e l’umido e l’incidente che si era rotto un tubo della stufa - mi ha fatto rimanere a letto - sfido - fa freddo! Oggi la stufa è più stufa di prima perché bella accesa e io giù a scrivere -

Ciao buona Teresa mia - quando puoi scrivimi e mandami buone nuove della casa tua e un buon successo di Giacosone al quale - io glielo auguro di tutto cuore - Non son solamente gli amici che hanno desiderio di questo, ma anche il teatro nostro - Ciao serbati buona con me - tua Eleonora[79]

 

Doc. 35

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, Venezia, 16 marzo 1886.

cc. 77-79. Parzialmente inedito.

 

Venezia 16 marzo 86

Ben! Mi hai scritto e ti assolvo perché cara el me Teresot, ero col broncio anche con te - Non ti parlo poi di tuo fratello, perché girata e voltata siamo diventati o due estranei o due nemici - Scegli tu - ben! Visto che avevo scritto a Pin prima di partire da Roma e lui ha fatto il sordo, visto che mi lagnavo con lui che tu tacevi - forse lui te lo ha detto - ti sei sgranchita e mi hai scritto. Lodato Gesù! Intanto visto e considerato che ringraziando sempre Gesù - sono fra il pubblico - mi sono comperata il mio caro libro Valdostano - Quattro lirette! Mi pare che mi hanno fatto buon sangue - Già tu - da buona sorella - che non sai dar torto al modo di Pin - non ti fai viva nella tua lettera e il libro? Udimi! Si direbbe che non è roba di casa tua, ma che davvero - tu pure - credi che l’America mi abbia rimbambito del tutto? Teresot che mi fai tanta rabbia - Teresot che sei dolce e ti nascondi perché non ti forino - fai bene.

Basta! Se sono in collera - con te per un verso - e con Pin - per un altro non è buona ragione - perché camorriate fra voi due - e sognate di togliermi un’emozione buona - Eh! Già! Ma io ho dei quattrini e il libro l’ho comprato e l’ho magnato ecco! (Bum!!) (già!!). Ciò posto, io non ti dirò nemmeno per sogno tutto quello che penso - Ti dirò solo che un omone che scrive un librone a quel modo … potrebbe anche scendere, col pensiero, dalle altezze immacolate e ricordarsi di chi vola a terra a terra … ma già …! Gesù Cristo, tuo fratello non sa nemmeno dove sto di casa!

Ben! Lascialo un po’ - lui - è là e io me ne resto “fra la buona faccia terrestre” però il povero Dusotto ha dei momenti così tristi così sconsolati che il tenerle compagnia per quasi quattro giorni martoriati che ancora deve stare al mondo - mi pare sarebbe cosa buona …

Ben! Venezia? Sì cara vi son stata 7 anni di seguito quando ero chichitita - Paese calmo d’una tristezza serena - inavvertibile - superiore (più su) all’apparenza melanconica perché … perché - so ben ciò! E non ti voglio dir altro! So che Venezia è nella mia anima e la voglio un bene - un bene - un bene - di quelli - a uso mio ecco!

C’è mio padre. Speriamo molto nella compagnia di mio padre in questi giorni - ma mio padre è un uomo … alla Goldoni, e ne capisce poco di me … donna che non ama Goldoni, e adora Shakespeare (o come si scrive quel nome adorato?) Figurati la prima sera che arrivai - ero stanca - piena di freddo - avevo un mondo di piccole cose a pensare, fra le altre care e simpatiche valigie che viaggiando io sempre sola - mai con la compagnia - le brighe di trasbordi non sono poche per una signora - Ben! A farla breve - arrivo - montiamo in gondola e mi faccio accompagnare alla casa che mi avevano offerta, per lettera, mentre ero a ancora a Roma - finalmente si arriva - fisso la casa - deposito le adorate valigie - e dico a Papà - Papà accompagnami in un locale quieto - in uno stanzino appartato - tu ed io - pranzeremo, poi torno a casa e vado aletto che non mi reggo dalla stanchezza - Mi metto in gondola, mi fa girare un’ora - Ben! Meno male! Rivedo Venezia! finalmente si arriva - scendo … sai dov’ero’ - una bettola ma con le panche e il cuoco in grembiale sporco e berretto bianco unto sulla porta, per ricever gli avventori - Gli ho detto - grazie, non ho fame - e son tornata a casa.

Son passati due giorni e finalmente mi chiese della bambina - convieni, due giorni - per me - che quella creatura mi brucia il core averla ancora lontana - per me - che non mi addormento senza pregare per lei, per me che vorrei farmi a pezzetti pur di salvare lei - che morirei angosciata se la sapessi un giorno fra le mani di Checchi … ebben! Pensa Teresa! Veder questa indifferenza - quasi abbia … e con essa più di tutto - la conferma che quella creaturina non ha che me … ben! Sai cosa finì per dirmi? Ecco le parole: “Oh ben! In fin dei conti, se tuo marito vuole la bambina, fra qualche anno, e tu dagliela! Tanto è roba Sua!” … Teresa! Tu gli adori i figlioli degli altri, che son tuoi, ma non di te, non puoi capire dunque tutto il dolore senza nome - senza uguale - senza difesa per queste parole di mio padre … Ben! Andiamo avanti!

Anzi, termino che lo scrivere mi affatica - Farò ancora la Quaresima - cioè 10 recite divise nella quaresima di 40 recite e altre 10 a Trieste - così ragranello il denaro per andare in campagna l’estate. Ho fatto la prima recita domenica, cioè il 14 - ora riposo fino a Venerdì - poi recito Venerdì e Domenica - insomma - non più di due volte la settimana -

Ciao mi duole tanto di tedeschino, speriamo guarito sempre -

Saluta mamma e tutti i Giacosa che si ricordano - ciao - tua Eleonora Dusot[80]


Doc. 36

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, Milano, 3 marzo 1887.

Perduto?

 

Milano 8.3.1887 [aggiunta a matita]

Dio ti benedica figliola mia buona buona e ti accordi il sorriso e il bene, che la tua Dusot ti augura, anzi ti prega da … [?] quello che ci tien su.

Guarisci del tutto - presto il primo giorno che uscirò di casa per respirare il sole, ti manderò dei fiori. Dio ti benedica, figliola buona e dolce!

Tua Eleonora[81]


Doc. 37

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, s.l., 8 luglio 1889.

cc. 59-60. Inedito.

 

8 luglio 1889

Cara Teresa

Mi hai scritto una buona lettera - son molti giorni. Ti rispondo ora, un po’ tardi. Pin dice che non fa bisogno scrivere a una persona per accertarlo che l’amiamo sempre.

Tu pensi come Pin? Io no - e sento d’aver avuto torto non scrivendoti subito, e più spesso che non faccio - e che tu pure hai torto, quando mi vuoi bene e non me lo dici.

Il mondo è di chi se lo piglia, cara Teresot, e voler bene e non dirlo, voler bene e non dimostrarlo, voler bene e vivere lontani dalle persone amate, è la cosa più fredda, più arida, più assurda, più crudele e sciocca e umana che si possa commettere!

Come stai Teresot?

Hai passato un brutto inverno eh’

Io pure - oggi che ti scrivo sono 6 mesi tondi che son malata e sotto cura … È una vita tessuta a filo rado e fragile! Quello che è consolante è che non durerà sempre. Com’è la tua Parella? È bella, vero? Me la rammento anch’io quella sera che son corsa a casa vostra … M’accoglieste così bene, nella notte non potei dormire per stanchezza, ma mi sentivo così tranquilla, non essendo sola -

Ciao! Teresot ! Goditi l’aria buona di Parella! Goditi le tue piccole, e mamma loro, e vivete accanto, strette, strette! Ciao. Ti voglio bene, tanto, povera Teresot!  Saluta tutti e tutte Eleonora

 

Doc. 38

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, Alessandria d’Egitto, 12 gennaio 1890.

cc. 65-66. Inedito.

 

12 gennaio ’90 Alessandria [d’Egitto]

Cara Teresot

Tu non ti stufi mai di Dusot! Esso - Dusot - è ingrato - (è maschile!) e ha l’aria di trascurarti - se ne va dall’Italia, forse per un pezzo, forse per tornar presto, forse, no - (che ne sappiamo noi??) - e neanche ti saluta e neanche dice: cane! Me ne vado.

Tu poi - gli scrivi al Dusot - tu, fedele e gli mandi notizie della sua figliola - La figliola è carina - vero? (è femminile!)

Questo cane di paese - quassù - bisogna dire quassù perché c’è più luce, qua - dunque questo cane di paese - è un bel paese - ma piove ogni mezz’ora - fa sole ogni mezz’ora - è estate ogni mezzora - e piove ogni su detta - una vera Giovanna che piange e che ride - come qualche altra persona di tua conoscenza - e poi - è più ciò che dicono che quello che è in realtà - e poi anche la distanza.

Cosa sono cinque giorni di mare?

Lo sai tu Teresa, Teresot! Lo sai tu cosa sono cinque giorni di mare? E quel cretino di Rubattino, o Florio[82], che non arrivano mai! Sempre in ritardo quei due rintontiti.

Come te la passi? Come stai? Quanto tempo che non ti vedo! Povera Teresot il tuo Dusot invecchia! Ma non importa; Enrichetta mia dice che per questo ci vuole “paciencia” - ma t’assicuro Teresot - ot - che ti voglio bene!

Quando ci rivedremo? Forse presto!! Ma non bisogna dirlo se no sfuma!! Dimmi come stai - Che fai? E come te la passi - Dimmi come sta Mamma tua, che è anche la mamma di Pin e di molti altri!!   

Salutami la signora Laura e tuo fratello Piero - Salutami le bimbe di Pin - e le sorelle tue.

Ciao - ti ringrazio tanto, tanto della tua gita al Collegio e della tua buona lettera.

Ti bacio Eleonora[83]

 

Doc. 39

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, Grindelwald, 10 agosto 1893.

cc. 68-70. Inedito.

 

Grindelwald (Suisse)[84] 10 agosto ‘93

Cara Teresa

Adesso tu devi scrivermi e tu lo potrai facilmente se tu pensi che abbia parlato più d’una volta fra te e me e tanto sinceramente su cose serie e su cose triste.

Ora, il più è passato. Dopo l’ultima volta che ci siamo vedute a Torino, ho lavorato, con tale tenacità che non ritroverò mai più nella vita mia. Ho voluto concludere qualche cosa che fosse “il pane” per la mia figliola e per me - e ne ringrazio Dio sera e mattina d’esser riuscita, almeno in questo.

Son andata tanto lontano, ho rotto d’un colpo tutti i fili forti e impercettibili che ne stringono il core al momento della partenza e non ho fatto che lavorare, e un lavoro morto, vecchio di già nello spirito cercando rinnovarlo ogni sera! Per un pubblico che in cambio m’avrebbe dato soldo per soldo (o dollaro per dollaro) la libertà.

Teresa - che cosa faticosa ho fatto! - Se tu mi ripensi forse mi comprenderai e terrai conto del buon ricordo che ho di te - e che - anch’ora che dico: “alt” mi ti fa ricordare.

E adesso tu devi scrivermi - dimmi di te e dei tuoi. Mi è più facile riintonarmi con te, che con tutti loro, a parte la mamma tua che comprenderebbe tutto e si bene e così facilmente. Tu mi darai notizie di lei, in particolare. Indirizza la lettera tua così: Venezia Palazzo Barbarigo Casa Gregori - è un vecchio alloggio, dove ho sempre abitato, e durante l’assenza mia, il piccolo appartamento che ho di mio a Venezia (l’ho aggiustato l’anno scorso) rimane chiuso, ma da Casa Gregori le lettere mi seguono.

Ti scrivo stesa in pieno verde al basso di montagne che arrivano all’altezza dei sogni!

Ieri ero a la Scheidegg[85] - tu conosci? una sola casa al piede della Iungfrau [?][86] e la sera fu dolce e così maestosa.

Domani sarò altrove - voglio tutto conoscere - e girerò tutto agosto prima di rientrare a Venezia.

In ottobre soltanto ho il resto di lavoro, cioè il resto d’anno a finire, ma tre mesi d’inverno e poi non più. Infine, ti darò maggiori ragguagli, se non rispondi. Certo lo farai. A te, di cuore, cara Teresa   Eleonora

Enrichetta da più di un anno è a Dresda, in un buon pensionato - e ne sono così contenta.

 

Doc. 40

 

Eleonora Duse a Teresa Giacosa, s.l., s.d.

c. 82. Inedito.

 

Dio ti benedica figliola mia buona buona - e ti accordi il sorriso e il bene, che la tua Dusot ti augura - anzi - ti prega da … quello che ci tien su. Guarisci del tutto presto. Il primo giorno. Il primo giorno che uscirò di casa per respirare il sole, ti manderò dei fiori. Dio ti benedica, figliola buona e sola  

Tua Eleonora[87]



[1]  La bibliografia per questi due giganti del teatro italiano è enorme, quindi, di seguito, si riportano esclusivamente i titoli di alcuni testi che sono stati effettivamente utili per la stesura del presente scritto. Per Giuseppe Giacosa: Teatro di Giuseppe Giacosa, a cura di P. Nardi, Milano, Mondadori, 1948, 2 voll.; P. Nardi, Vita e tempo di Giuseppe Giacosa (1949), a cura del Comitato nazionale per le celebrazioni della morte di Giuseppe Giacosa, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2007; A. Barsotti, Giuseppe Giacosa, Firenze, La nuova Italia, 1973; S. Doroni, Dall’androne medievale al tinello borghese. Il teatro di Giuseppe Giacosa, Roma, Bulzoni, 1998; Materiali per Giacosa, a cura di R. Alonge, Genova, Costa & Nolan, 1998; Giacosa e le seduzioni della scena. Fra teatro e opera lirica. Atti del convegno di studi promosso dal Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della morte di Giuseppe Giacosa (Ivrea, 11-12 maggio 2007), a cura di R. Alonge, Bari, Edizioni di pagina, 2008. Per Eleonora Duse: P. Nardi, Vita di Arrigo Boito, Milano, Mondadori, 1942; O. Signorelli, Vita di Eleonora Duse, Bologna, Cappelli, 1962; E. Duse-A. Boito, Lettere d’amore, a cura di R. Radice, Milano, Il Saggiatore, 1979; W. Weaver, Eleonora Duse, Milano, Bompiani, 1985; C. Molinari, L’attrice divina. Eleonora Duse nel teatro italiano fra i due secoli, Roma, Bulzoni, 1987; M. Schino, Il teatro di Eleonora Duse (1992), seconda ediz. riveduta e ampliata, Roma, Bulzoni, 2008; Divina Eleonora. Eleonora Duse nella vita e nell’arte, catalogo della mostra a cura di F. Bandini (Venezia, 1° ottobre 2001-6 gennaio 2002), Venezia, Marsilio, 2001; D. Orecchia, La prima Duse. Nascita di un’attrice moderna, Roma, Artemide, 2007; Voci e anime, corpi e scritture. Atti del convegno internazionale su Eleonora Duse (Venezia, 1-4 ottobre 2008), a cura di M.I. Biggi e P. Puppa, Roma, Bulzoni, 2009; Eleonora Duse. Viaggio intorno al mondo, a cura di M.I. Biggi, Milano, Skira, 2010; F. Simoncini, Eleonora Duse capocomica, Firenze, Le Lettere, 2011; M. Schino, Racconti del grande attore: tra la Rachel e la Duse, Imola, CUE Press, 2016.

[2]  S. Ferrone, Problemi di drammaturgia, in Teatro dell’Italia unita. Atti del convegno (Firenze, 10-11 dicembre 1977, 4-6 novembre 1978), a cura di S. F., Milano, Il Saggiatore, 1980, pp. 55-71; ID., Il teatro italiano, V. La commedia e il dramma borghese dell’Ottocento, a cura di S. F., Torino, Einaudi, 1979, to. I, pp. vii-lxix.

[3]  Ivi, p. LXII.

[4]  Cfr. Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. I, pp. 831-1015. Dramma in tre atti con prologo, si svolge negli anni 1383-1391. Il testo è dedicato «A Edmondo De Amicis in segno di amicizia fraterna».

[5]  Lettera di Giuseppe Giacosa ad Arrigo Boito, in P. NARDI, Giacosa, prefazione a ivi, vol. I, pp. 395-396.

[6]  Così un autore anonimo ne «La gazzetta piemontese» del 12 febbraio 1881.

[7]  Eleonora Duse lascia in seguito numerose testimonianze delle forti impressioni che l’attrice francese le ha provocato: «come una grande nave lascia dietro di sé - come lo chiamate? Un risucchio? - sì, un risucchio - a lungo l’atmosfera del vecchio teatro restò quella che lei vi aveva portato. Non si parlava d’altro in città, nei salotti, a teatro. Una donna aveva fatto questo! E, per reazione, io mi sentivo affrancata, sentivo che avevo il diritto di fare quel che volevo, vale a dire altro di ciò che mi si imponeva... ero andata ogni sera a udirla» (in Weaver, Eleonora Duse, cit., p. 42). Si veda anche il doc. 10 qui di seguito pubblicato, anche se riferito a un episodio successivo.

[8]  Boito, in questo periodo, aiuta Giacosa per i versi in veneziano nella composizione de Il filo. Lo si deduce da alcune lettere inedite conservate nell’Archivio Giacosa a Colleretto Giacosa (To), nello specifico le lettere n. 204-207. Ringrazio Elisa Bosio che, nella sua tesi di dottorato in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie dell’Università degli studi di Padova, L’epistolario di Arrigo Boito, ne ha fatto la trascrizione. Boito ha riscritto i dialoghi di Giacosa interpretati dalle marionette di Pantalone, Arlecchino e Colombina, che si esprimono in dialetto veneziano, e ne ha proposti altri in aggiunta, mentre gli altri dialoghi interamente scritti da Giacosa sono quelli de il Dottore, Florindo e Rosaura, che parlano in martelliani.

[9]  G. Giacosa, Il filo, scena filosofico-morale per marionette, Torino, Casanova, 1883, ora in Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. I, pp. 1017-1036. Importanti sono nell’edizione Casanova le illustrazioni di Edoardo Calandra, che raffigurano Eleonora Duse in diverse scene, Giacosa dietro un fondale che tira i fili delle marionette e, nella dedica a Boito, un ritratto del giovane Arrigo mentre scrive, con le marionette di Arlecchino e Pantalone che muovono le sue mani. Sotto a quest’ultima immagine si legge: «se in Italia usasse la collaborazione in opere d’arte, il tuo nome dovrebbe stare col mio sulla copertina di questo libercolo, poiché quanto vi è scritto in lingua veneziana fu da te, non solo riveduto e corretto, ma in buona parte rifatto di sana pianta» (NARDI, Giacosa, cit., pp. 404-408. Cfr. anche «Il teatro illustrato», febbraio 1883).

[10]  Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. II, pp. 1-42.

[11]  Lettera di Giuseppe Giacosa alla madre, 12 aprile 1883, in NARDI, Giacosa, cit., pp. 426-428.

[12]  Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. II, pp. 43-82.

[13]  Lettera di Giuseppe Giacosa alla madre, in NARDI, Giacosa, cit., p. 445.

[14]  «Il Capitan Fracassa», giornale letterario e satirico stampato a Roma 1880 al 1890, fu fondato da Raffaello Giovagnoli e Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin) e fu diretto da quest’ultimo e poi da Peppino Turco e da Enrico Panzacchi. Vi esordirono Cesare Pascarella, Gabriele D’Annunzio (Mario de’ Fiori) e Edoardo Scarfoglio. Dal dicembre 1884 al 1886 pubblicò un supplemento, «La domenica del Fracassa», diretto da Giuseppe Chiarini, che ebbe come collaboratore Giosuè Carducci. Cfr. M. Spaziani, Con Gégé Primoli nella Roma bizantina. Lettere inedite di Nencioni, Serao, Scarfoglio, Giacosa, Verga, D’Annunzio, Pascarella, Bracco, Deledda, Pirandello, ecc., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962, p. 31.

[15]  Ivi, p. 437.

[16]  Lettera di Giuseppe Giacosa alla madre, in Weaver, Eleonora Duse, cit., p. 48. Giacosa scrive a Boito: «Roma 29 ottobre 1883. Caro Arrigo. A quest’ora conosci le sorti toccate alla Sirena. Te la leggerò quando sarai a Roma. Aspetto il tuo telegramma e verrò alla stazione. La tua camera è pronta. Pin» (Biblioteca palatina di Parma, Sezione musicale, Epistolario Boito, b. A. 40/xxii).

[17]  Lettera di Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa, [1883] (doc. 1).

[18]  R. De Rensis, Aneddoti e bizzarrie poetiche e musicali di Arrigo Boito, Roma, Fratelli Palombi, 1942, pp. 19-20.

[19]  Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. II, pp. 917-100.

[20]  Lettera di Arrigo Boito a Giuseppe Giacosa, settembre 1884, in E. BOSIO, L’epistolario di Arrigo Boito, tesi di dottorato in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie, Università degli studi di Padova, 2010, ciclo XXII, tutor: Guido Baldassarri. La lettera, inedita (n. 268), è conservata presso l’Archivio Giacosa.

[21]  Lettera di Giuseppe Giacosa alla madre, 20 ottobre [1884], in NARDI, Giacosa, cit., p. 619.

[22]  Cfr. Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. II, pp. 271-336; F. Mazzocchi, Giuseppe Giacosa, Tristi Amori. Il manoscritto originario, Milano, Costa & Nolan, 1999; M. Schino, Racconto di un’ora. Eleonora Duse, Giuseppe Giacosa, in Materiali per Giacosa, cit., pp. 112-164; A. Barsotti, Geometria del triangolo adulterino: Giacosa e la “piccola drammaturgia italiana”, in Giacosa e le seduzioni della scena, cit., p. 88.

[23]  Giacosa invia a Boito un telegramma comunicando l’esito dello spettacolo: «Fiasco colossale fischi ed urli e suon di mano con elli» (Biblioteca palatina di Parma, Sezione musicale, Epistolario Boito, b. A. 40/xxxix).

[24]  Cfr. Mazzocchi, Giuseppe Giacosa, Tristi Amori. Il manoscritto originario, cit., pp. 10-27.

[25]  Cfr. Molinari, L’attrice divina, cit., pp. 129-130; Schino, Racconto di un’ora. Eleonora Duse, Giuseppe Giacosa, cit., pp. 112-155.

[26]  G. Pozza, “Tristi amori” di G. Giacosa (1-2 dicembre 1887), in ID., Cronache teatrali di Giovanni Pozza (1886-1913), a cura di G.A. Cibotto, Vicenza, Neri Pozza, 1971, pp. 56-59. Cfr. anche Schino, Il teatro di Eleonora Duse, cit., pp. 193-205; ID., Racconti del grande attore: tra la Rachel e la Duse, cit., pp. 191-198.

[27]  G. Pozza, “Tristi amori” (3-6 gennaio 1888), in ID., Cronache teatrali di Giovanni Pozza, cit., pp. 60-63.

[28]  L’impegno della Duse nello studio di Tristi amori è testimoniato anche da una lettera che Boito scrive all’attrice, conservata alla Fondazione Giorgio Cini e datata 26 novembre 1887, in cui si legge: «Il nostro Pin vorrebbe che io assitessi a un pajo di prove, ma gli ho risposto che no. Temo di ridestare le ciarle, per le persone che ti circondano. Ajutalo tu, creatura buona. Cerca di internarti nelle sue intenzioni artistiche, le quali sono certamente alte e sincere, anche se non sono espresse come dovrebbero, ed esprimerle tu con quella potenza che ti è propria. Ajutalo». La lettera è pubblicata in Duse-Boito, Lettere d’amore, cit., p. 147.

[29]  Lettera di Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa (doc. 5).

[30]  Lettera di Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa (doc. 6).

[31]  In «La gazzetta letteraria», 10 dicembre 1887. L’articolo è pubblicato in Nardi, Vita e tempo di Giuseppe Giacosa, cit., pp. 594-595.

[32]  Cfr. Teatro di Giuseppe Giacosa, cit., vol. II, pp. 376-467; P.N. O’Neill, Une amitié intime: Giuseppe Giacosa and Paul Solanges, in Giacosa e le seduzioni della scena, cit., p. 211.

[33]  Dalle lettere qui di seguito pubblicate si apprende che l’attrice italiana avrebbe voluto studiare questo testo durante la tournée in Russia, ma il testo de La signora di Challant non la raggiunse mai, nonostante lei avesse messo a soqquadro gli uffici postali delle città che stava attraversando (docc. 14-16).

[34]  La Bernhardt riprenderà questo titolo soltanto una volta a Milano, l’anno successivo, durante una tournée italiana alla presenza dell’autore.

[35]  Le ventinove lettere di Eleonora Duse a Giuseppe Giacosa e le dieci scritte dall’attrice a Teresa Giacosa sono conservate all’Archivio Giacosa a Colleretto, nella casa che era di proprietà della famiglia Giacosa. Queste lettere sono state trascritte soltanto in parte da Piero Nardi nei suoi soggiorni a Colleretto per la preparazione della monografia dedicata alla vita e all’arte di Giuseppe Giacosa, pubblicata nel 1949. Presso il Fondo Piero Nardi custodito alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia dal 1881, si trovano queste copie parzialmente dattiloscritte e in parte scritte a matita, in cui Nardi tenta di imitare e riprodurre la disposizione del testo e le sottolineature caratteristiche della scrittura della Duse. In alcuni casi, sullo stesso foglio sono copiate due o più lettere. Per questo motivo le trascrizioni delle lettere qui riprodotte provengono dai documenti originali conservati all’Archivio Giacosa, dei quali si è eseguita nuovamente la copiatura. Una buona parte di queste lettere, poi, non è stata utilizzata da Nardi nella stesura dei suoi due volumi monografici: Nardi, Vita di Arrigo Boito, cit., e ID., Vita e tempo di Giuseppe Giacosa, cit., e pertanto risulta in gran parte inedita. Cfr. P.G. GILLO, L’Archivio di Casa Giacosa: storia, stato attuale, prospettive di valorizzazione, in Giacosa e le seduzioni della scena, cit., pp. 191-205.

[36]  Weaver, Eleonora Duse, cit., p. 51.

[37]  Lettera di Giuseppe Giacosa a Giuseppe Primoli, 21 novembre 1883. La lettera è pubblicata ivi, pp. 49-50.

[38]  V. BRANCA, Vocazione letteraria di Eleonora Duse, in Divina Eleonora. Eleonora Duse nella vita e nell’arte, cit., p. 111.

[39]  Ibid.

[40]  SCHINO, Il teatro di Eleonora Duse, cit., pp. 21-22.

[41]  Presumibilmente la lettera risale al 1883. Infatti la prima de La zampa del gatto avviene il 12 aprile 1883, a Firenze, all’Arena Nazionale, e la prima de La sirena il 22 ottobre 1883, a Roma, al teatro Valle. Entrambe interpretate dalla Duse con Flavio Andò nel ruolo di Federico e Arturo Diotti in quello di Marco. Salvo un applauso caloroso alla Duse, La sirena è un insuccesso e passa tra l’indifferenza del pubblico. Tutti, critica e pubblico, trovano la Duse «mirabile come sempre, ma Diotti un tantino trasmodante nelle espressioni del volto e Andò non perfettamente tagliato per la sua parte ... versi bellissimi che esigevano una recitazione intelligente, delicata, intonata»(si rivedano le nn. 14-15). La lettera contiene un errore, infatti nel testo di Giacosa l’amico si chiama Federico e non Filippo. Cfr. NARDI, Giacosa, cit., p. 437.

[42]  Jacob Moleschott (1822-1893), medico fisiologo olandese naturalizzato italiano. Fu per molti anni medico curante di Eleonora Duse e suo riferimento importante. Cfr. G. D’Annunzio, Una festa della scienza, in «La tribuna», 4 novembre 1887, ora in Roma senza lupa, a cura di A. Baldini e P.P. Trompeo, Milano, Domus, 1947, pp. 162-170; Nardi, Giacosa, cit., p. 621.

[43]  Qui Eleonora, con «umor confidenziale e sbarazzino» chiede l’aiuto di Giacosa per affittare una residenza estiva nelle basse montagne intorno a Colleretto, dove trasferirsi con la famiglia, dopo un periodo passato in Versilia per curarsi con l’aria di mare dai suoi malanni bronchiali. La Duse era già passata in quella zona, da Parella, per andare a villeggiare a Brosso, quindi «poteva ormai dirsi di casa, dei Giacosa». Cfr. E. DUSE, Lettere a Teresa Giacosa, parzialmente pubblicate in NARDI, Giacosa, cit., pp. 621-622. E v. i docc. 1-6.

[44]  Non rintracciata nell’Archivio di Casa Giacosa, è stata pubblicata ivi, p. 626. La figlia di Eleonora Duse, Enrichetta, vive a Torino e nel 1987 è ormai in età scolare. In questa lettera è chiara la richiesta dell’attrice all’amico Giacosa affinché le consigli una buona scuola per la figlia. Sappiamo che Enrichetta poi frequenterà il collegio Villa della Regina a Torino, come si deduce anche da una bella fotografia che la ritrae con l’uniforme di quella scuola. Cfr. Duse-Boito, Lettere d’amore, cit., p. 153; E. Duse, Ma pupa, Henriette. Le lettere di Eleonora Duse alla figlia, a cura di M.I. Biggi, Venezia, Marsilio, 2010, fig. 4 dell’inserto fotografico.

[45]  La Duse invita a teatro Giacosa con la moglie Maria. Francillon, dramma di Alexandre Dumas fils, fu rappresentato a Torino nel 1887 con la Duse protagonista.



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