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Stefano Mazzoni

Ancora sull’Olimpico e l’arte della memoria

Data di pubblicazione su web 11/06/2011
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Pubblichiamo qui l’intervento di Stefano Mazzoni alla giornata di studi “Immagini, memoria, rappresentazione”, a cura di Renzo Guardenti e Sara Mamone, promossa dal Dottorato di ricerca in Storia dell’Arte e dello Spettacolo dell’Università di Firenze (Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, 8 aprile 2011). Una prima versione di questo scritto è stata edita in “Per Ludovico Zorzi”, a cura di S. Mamone, «Medioevo e Rinascimento», VI/n.s. III, 1992, pp. 97-114.

In Svezia, nell’appartato Museo teatrale di Drottningholm, è conservata la prima incisione della storia iconografica dell’Olimpico. Dico il “disegno” delineato nel 1620 dall’architetto Ottavio Revese Bruti, id est il rame patavino “intagliato” da Pietro Paolo Tozzi in quell’anno (fig. 1).[1] Tale fonte è di particolare importanza anche per la missiva apposta ai margini del foglio. La lettera, indirizzata dal Revese ai deputati al governo di Vicenza (da Padova, 16 novembre 1620), offre una notevole descrizione del teatro vicentino. Notevole non solo per ripensare la vexata quaestio della tipologia originaria del soffitto del palcoscenico palladiano, ma anche per le informazioni sulla scenotecnica. Notizie in parte ancora da soppesare, per meglio comprendere la poco nota utilizzazione dinamico-tecnologica dello spazio scenico palladiano-scamozziano in età barocca. Penso alle “macchine” e ai “voli” importati sul palcoscenico dell’Olimpico nel Seicento dai macchinisti operanti nei teatri veneziani; maestranze capitanate da quel singolare personaggio che fu l’accademico Olimpico Pietro Paolo Bissari, drammaturgo attivissimo nei teatri lagunari e di Monaco.[2]

Ma ora conta ricordare che la citata incisione “intagliata” a Padova dal celebre Tozzi (1620) venne poi replicata a Venezia nel 1637 da Stefano Scolari (fig. 2).Perché? Proviamo ad accertarlo. Se da un punto di vista architettonico-decorativo la stampa del ’37 è conforme all’originale, sono nuove e meritevoli d’attenzione le copiose aggiunte di didascalie, di motti filosofici e teologici e di un ritratto esposto in bella mostra al centro della ianua regia caratterizzanti l’incisione dello Scolari. Interpolazioni che instaurano, in interscambio conl’iconografia erculea mutuata dall’incisione del Tozzi, una “macchina”iconologica raffigurante una sintesi tra le inclinazioni alla retorica “umanistica”e scientista del milieu accademico degli Olimpici e istanze controriformistiche: chiaro esempio di un “ibridismo culturale” che culmina nel trionfo della teologia (figg. 3 e 4) illustrato sub specie mitologica nell’apoteosi di Eracle dipinta nel lacunare ottagonale centrale della copertura del proscenio. Immagini e parole.

Di più. Nell’incisione del 1637 il ben concertato susseguirsi di didascalie e di sentenze teologico-filosofiche, dispiegato in stretto rapporto con l’effigie collocata nella porta regale (fig. 2), dà vita a un episodio inconsueto nella fortuna di quel teatro singolare che fu ed è l’Olimpico; e tragitta il fruitore dell’immagine dal registro della “perpetua memoria” accademica alla metamorfica arte della memoria.

Notiamo intanto che, ponendo attenzione alle iscrizioni registrate nella zona mediana inferiore e superiore della stampa e sul bordo dell’ovale pendente dall’arco della ianua regia, è agevole rispondere adue quesiti rimasti a lungo privi di risposta: 1) per quale circostanza venne realizzata la replica incisoria formata dallo Scolari «in Venetia a S. Zulian»nel 1637? 2) Chi è il personaggio rappresentato nel suddetto ritratto?

L’esemplare,lo apprendiamo dall’epigrafe leggibile sullo zoccolo del palcoscenico, fu eseguito per essere esposto nell’antica chiesa del convento degli eremitani di Sant’Agostino a Chioggia (la città clodia).[3] L’occasione fu dettata da un capitolo provinciale dell’ordine degli agostiniani durante il quale l’emporiense «Stephano Stephanio […] Theologo Almo» avrebbe commentato, nel corso dell’adunanza presieduta da Giovanni Matteo Giberti, la dottrina enunciata da Egidio Colonna. Quell’Egidio Colonna che, effigiato nel vano maggiore della scena fronte palladiana (fig. 5), è individuabile in Egidio Romano, appartenente forse alla famiglia Colonna, discepolo dell’Aquinate a Parigi, generale degli eremitani di Sant’Agostino nel 1292, vescovo di Bourges e primo grande teologo dell’ordine. Si osservino, a riprova, le didascalie apposte sulla stampa che stiamo indagando. Leggiamo intanto quella che circonda il ritratto dell’illustre prelato (fig. 6):

B. [EATUS] AEGIDIUS COLUMNA ROMANUS ORD. [INIS] ER. [EMITARUM] S. [ANCTI] AUG. [USTINI] DOCTOR FUNDAMENTARIUS.

Palesi sia la coincidenza con l’appellativo canonico di Egidio Romano («doctor fundatissimus»), sia il riecheggiamento della formula registrata sulla tomba parigina di Egidio nella chiesa di Sant’Agostino: «Fr. [ater]Aegidius de Roma Ord. [inis] fratruum eremit. [arum] S. [ancti Augustini]».

Osserviamo poi le tante epigrafi costellanti sia la copertura “alla ducale” del palcoscenico che la scena fronte palladiana (fig. 5): dove, per esempio, i riferimenti alla metafisica, alla dialettica, alla fisica e alla politica, incisi sopra le quattro edicole centrali dei primi due ordini della frons scaenae, alludono ai commenti aristotelici di Egidio: «Archiphilosophiae Aristotelis perspicacissimus Commentator Clavis et doctor theologiae lux inlucem» (così ancora nell’epitaffio parigino).[4] Ad Egidio, del resto, allude anche l’iscrizione situata in bella mostra nellacornice anteriore del soffitto:

MYSTICUMVIRTUTIS THEATRUM SUPRA FUNDATAM PURPURATI PRINCIPIS AEGIDII ORD. [INIS] ER.[EMITARUM] S. [ANCTI] AUG. [USTINI] DOCTRINAM ELABORATUM.

Ancora. Nell’incisione dello Scolari (cm. 51,7 x 110) la scena dell’Olimpico viene percepita come un oggetto culturale che, adattissimo per costruire un “manifesto”della teologia agostiniana, l’oratore-performer intendeva utilizzare quale supporto visivo del proprio sapiente argomentare. La parete autoglorificante impalcata da un’aristocratica committenza si trasformava così, per la speciale circostanza, in una sorta di speculumvirtutis dell’ordine agostiniano; un incisorio mistico teatro della virtù,della teologia e della filosofia fondato sulla dottrina di Egidio Romano: vero e proprio teatro della memoria destinato publicae disceptationi e ideato per indurre alla meditazione. Eloquente lo slittamento dall’edificio teatrale reale alla struttura mnemotecnica, dall’ideologia dei committenti accademici alla teologia. L’Olimpico svela così una delle sue caratteristiche più affascinanti: dico la poliedricità di un “congegno”, con un forte valore semantico, in grado di assumere significati ulteriori sublimandoli, nel caso specifico, valendosi di un “doppio” figurativo.

Il«Mysticum Theatrum» (fig. 4) rappresentato nella scena della sala vicentina costituisce un anello di congiunzione tral’idea d’ascendenza delminiana di caleidoscopico teatro della memoria, gli innumerevoli metaforici “teatri” del sapere dell’enciclopedismo cinque-secentesco e uno spazio teatrale concreto, insigne. La nozione di teatro in senso traslato si unisce qui emblematicamente all’immagine di un edificio teatrale tangibile. Non voglio riprendere l’ipotesi, cara alla Yates, di un influsso del«Teatro del Mondo» di Giulio Camillo sul progetto palladiano per l’Olimpico[5](ipotesi poco economica, stimo; rinvio alle acute riflessioni di Lina Bolzoni che tante proficue energie intellettuali ha dedicato al Camillo e, prendendo in prestito sue parole, allo «spettacolo della memoria»).[6]Ancora: sarebbe ozioso ripercorrere a una a una le linee dell’ampio dibattito attorno alla forma della macchina mnemotecnica del filosofo-retore friulano. Basti rammentare la congettura che Delminio non avesse ideato una struttura semicircolare arieggiante a una vitruviana cavea teatrale (così la Yates),bensì, come ha proposto Giuseppe Barbieri, un «macroscopico periatto» non dissimile dalla machina spiritalis di Robert Fludd e ispirato altresì alla ottagona torre dei venti vitruviana illustrata dal Cesariano nell’edizione del Dearchitectura pubblicata a Como nel 1521.[7]Comunque sia, giova sottolineare che l’inversione dei dati mnemotecnica, dall’udienza alla scena, caratterizza il teatro filosofico-teologico effigiato nel 1637 per volontà degli agostiniani.

Sappiamo del resto che già nel 1570, durante una riunione dell’Accademia Olimpica,furono lette le opere di Giulio Camillo. Ma non era stato messo adeguatamente in luce che l’autore di tali letture fu Spirito Pelo Anguissola appartenente –la coincidenza dà da pensare – proprio agli eremitani di Sant’Agostino,procuratore generale dell’ordine nel 1580 e «general Ministro, et capo supremo del medesimo» nel 1584. Una figura di prestigio anche presso la corte romana,l’Anguissola: padre spirituale di Gregorio XIII e deus ex machina per l’inserimento della pianta di Vicenza tra lepiù importanti città d’Italia affrescate nella galleria delle carte geografichein Vaticano sotto la direzione di Egnazio Danti. L’Anguissola morì nel maggiodel 1586 senza poter attuare il progetto a lui carissimo di riunire proprio aVicenza un capitolo generale degli agostiniani; due mesi dopo l’Olimpico tetramente apparato di panni neri ospitò una solenne commemorazione in onore di costui. Ed è degno di nota che, ancora nel marzo dello stesso anno, Anguissola ricordasse la lettura delminiana tenuta per gli Olimpici come un evento memorabile della sua biografia intellettuale:

fui invitato dalli Academici nostri alla lettura del Misterioso Poema del mirabile Giulio Camillo nel soggetto del Santissimo Sacramento dell’Altare, la qual azione mi riuscì in que’ tre giorni per grazia d’Iddio, e per l’humanità de nostri Cittadini con tanto applauso, che jo l’annoverai tra’ le prime, e più honorate, e di maggior contento mio, le quali mi sia occorso di fare in diverse occasioni, ed in diverse parti del Mondo nel tempo di mia vita.[8]

La missiva inviata dall’Anguissola al già convocato Pompeo Trissino il primo marzo 1586, un anno dopo la solenne inaugurazione dell’Olimpico, prova autorevolmente la fortuna nel milieu berico dell’opera dell’errabondo intellettuale friulano amico del Bembo e dell’Aretino, di Tiziano e del Serlio. E non sarà fuor di pertinenza immaginare che, in quelle tre lezioni del 1570, l’Anguissola illustrasse anche «l’idea di un “teatro”capace di raccogliere e ordinare l’universo dello scibile».[9]

Vasottolineata la filiera agostinianache raccorda i due momenti di arsmemoriae collegati direttamente e indirettamente all’Accademia Olimpica e al suo teatro. Ripeto: dalla triplice orazione anguissoliana del 1570 a Vicenza, all’esposizione dello Stefanio nel 1637 a Chioggia della dottrina di Egidio Romano. È parimenti proficuo rammentare che il 1637 fu un anno inquieto nella storia degli agostiniani. Alludo specialmente alla querelle iconografica tra Scalzi ed Eremitani indagata anni fa da Peter Rietbergen (il quale, tuttavia, non conosce l’incisione qui analizzata).[10]

Concludo con una serie di interrogativi. Prevedeva l’Anguissola per il vagheggiato capitolo agostiniano vicentino degli anni Ottanta un «Mysticum Theatrum»analogo a quello che venne poi inciso per il capitolo provinciale del 1637? Èda escludere che egli, magari a margine delle cerimonie ufficiali, intendesse utilizzare all’occorrenza la magnifica sala degli accademici ai quali, come si è visto, era profondamente legato? La macchina mnemotecnica del 1637 ha qualche aggancio con le strutture mnemotecnico-sapienziali che avevano affascinato e affascinavano il teologo Anguissola mentre accarezzava il disegno di raccogliere nell’amata Vicenza l’assemblea dell’ordine? Infine, perché negli anni Trenta del Seicento, per il convento agostiniano di Chioggia, fu scelta proprio un’immagine del palcoscenico dell’Olimpico quale ordinato spazio di memoria filosofico-teologica?

Allo stato attuale delle mie conoscenze non sono in grado di fornire risposte. Ma il nesso arte della memoria-Accademia Olimpica-agostiniani è meritevole di più lucide messe a fuoco; anche in rapporto alla presenza di stilemi camilliani nei“teatri” architettonici costruiti nella trattatistica di Serlio e di Scamozzitanto vicina al mondo dell’istituzione Olimpica. D’altronde, è sufficiente leggerela poco nota descrizione dell’aula teatrale vicentina compiuta nel 1652 da Domenico d’Alessandro Orefice per avere riprova della pertinenza degli accostamenti proposti:

spatiosissimo campo, che […] addita con la corona di superbi edificj [come] in esso habbia ad ultimare tutte le sue differenze il Mondo. In questo luogo, come più degli altri proportionato, sollevasi capriccioso Palaggio […]. Apre diverse porte,per ostentare la diversità delle scienze, ch’ivi s’apprendono […].L’architettura accenna cose prodigiose di dentro.[11]

Le porte della scena esibenti «la diversità delle scienze»,esplicitamente connesse alle prospettive e alla scena fronte dell’Olimpico (paragonata a un topico palagio della memoria: si pensi ai palazzi della memoria agostiniani[12]nonché al trattato l’Arte di predicar bene del vescovo Paolo Arese),[13]tali porte, dicevo, rinviano al clima e alle istanze culturali che abbiamo cercato di rievocare e trasmettono forse il ricordo della mistica incisione intrisa di temi egidiani da cui siamo partiti. Incisione che occorrerebbe indagare ulteriormente per riportare in piena luce quell’agostiniano spettacolo veneto del 1637, fondato sulla fusione di parole immagini mnemotecnica, architettura teatrale e scenografia. 



[1] Per la quale: S. MAZZONI, Introduzione. Per la storia delle prospettive e dell’odeo Olimpico; Regesto iconografico; Bibliografia, in L. MAGAGNATO, Il teatro Olimpico, a cura di L. PUPPI, contributi di M.L. AVAGNINA, T. CARUNCHIO e S. M., Milano, Electa, 1992, p. 225, scheda 2.26.

[2] Cfr. S. MAZZONI, L’Olimpico di Vicenza: un teatro e la sua «perpetua memoria» (1998),Firenze, Le Lettere, 20102, pp. 215-216.

[3] Alludo al complesso conventuale di San Nicolòsoppresso nel Settecento.

[4] In P. TOYNBEE, A Dictionary of Proper Names and Notable Matters in the Works of Dante, con la revisione di C.S. SINGLETON, Oxford, Clarendon Press, 1968, pp. 239-240.

[5] Cfr. F.A. YATES, L’arte della memoria (1966), Torino, Einaudi, 19722, pp.157-158.

[6] Cfr. e.g.G. CAMILLO, L’idea del teatro, a cura di L. BOLZONI, Palermo, Sellerio, 1991: a pp. 9-40 si legge la pregevole introduzione della curatrice, Lo spettacolo della memoria, corredata di essenziale bibliografia. Da integrare almeno con: L. BOLZONI, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995; M. CARRUTHERS, “Machina memorialis”. Meditazione, retorica e costruzione delle immagini (400-1200)(1998), prefaz. di L. BOLZONI, trad. di L. ISEPPI, Pisa, Edizioni della Normale, 2006.   

[7] Cfr. G. BARBIERI, L’artificiosa rota: il teatro di Giulio Camillo, in Architettura e utopia nella Venezia del Cinquecento, catalogo della mostra a cura di L. PUPPI (Venezia,luglio-ottobre 1980), Milano, Electa, 1980, pp. 210-212, 215, scheda 258.

[8] Lettera di Spirito Pelo Anguissola a Pompeo Trissino, Roma, primo marzo 1586 (Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, ms.G.5.1.6 [E 125], n. 23).

[9] L. PUPPI, «Questa eccellente professione delle mathematiche e dell’architettura». Idee di cultura e ruoli sociali nel pensiero di Vincenzo Scamozzi, in Architettura è scienza. Vincenzo Scamozzi (1548-1616), catalogo della mostra a cura di F. BARBIERI e G. BELTRAMINI (Vicenza, 7 settembre 2003-11 gennaio 2004), Venezia, Marsilio, 2003, p. 14 e ivi, p. 19 nota 39.

[10] Cfr. P. J.A.N. RIETBERGEN, Art, pouvoir et politique dans l’ordre augustinien au XVIIesiècle, in «Annales ESC», gennaio-febbraio 1992, n. 1, pp. 65-86: 78.

[11] Il teatrovicentino, del signor Domenico d’Alessandro Orefice napolitano all’illustrissimo et eccellentissimo signor D. Gasparo de Teves Gusmano marchese della Fuente, e nella Serenissima Republica di Venetia ed à prencipi d’Italia ambasciatore estraordinario per S.M. cattolica, Venezia, Stamperia Salis, 1652, pp. 13-14 (Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, G. 20.1.31).

[12] Confessioni X 8, 12.

[13] Milano, Giovan Battista Bidelli, 1627, in partic.pp. 51-52; e cfr. BOLZONI, La stanza della memoria cit., pp. 200-201, 247-248.


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