Il contatto seminale di Alexander Moissi con il repertorio di William Shakespeare, preceduto dalle esperienze formative al Neues Deutsches Theater di Praga, è il frutto del rapporto artistico con Max Reinhardt. Il regista dimostra una particolare predilezione per Shakespeare, considerato lincarnazione dellessenza della scrittura teatrale per la mescolanza di più registri linguistici propri del genere comico e tragico. Trasferiti sul palcoscenico rivelano la natura dellattore che è tale, sostiene Reinhardt, «soltanto quando ha dimostrato di saper recitare Shakespeare» e ha trasmesso il sapore di modernità dellopera svincolato da quella «patina di pathos e di vuota declamazione» proprie dell«incartapecorita tradizione del teatro di corte». Perciò gli autori classici «bisogna rappresentarli come se fossero autori doggi, come se le loro opere fossero vita di oggi […], bisogna comprenderli con lo spirito del nostro tempo, con i mezzi del teatro contemporaneo». A questo il regista affianca unaltra operazione che produrrà allestimenti inediti per le platee tedesche: guiderà i suoi attori su palcoscenici convenzionali, sulla scena girevole montata nel Deutsches Theater e nellimpianto monumentale del circo Schumann di Berlino trasformato dopo la Grande Guerra in Grosses Schauspielhaus. Alla varietà degli spazi teatrali corrispondono altrettante forme di regia. Un esempio significativo sono gli allestimenti di Hamlet con Moissi nel ruolo del titolo. La prima interpretazione del Principe di Danimarca avviene al Künstlertheater di Monaco di Baviera il 17 giugno 1909, un edificio progettato dallarchitetto Max Littmann e inaugurato lanno prima con una memorabile messinscena del Faust di Goethe. Nella scena plastica (Reliefbühne), che sbalza il corpo dellattore come un bassorilievo scultoreo, Reinhardt imposta 17 cambi di scena e 8 diverse decorazioni e Moissi presenta un Amleto avvolto nel mantello nero, carico di furore giovanile, «ribelle e primitivo», privo di grandezza eroica. Accantonati malinconia e atteggiamenti vittimistici, ora primeggia la caparbietà, e «nei monologhi unostinazione amara che tortura lui stesso, nei duetti e nelle scene dinsieme unostinazione passionale». Il senso di pudore è espresso da una voce «luminosa, piena, solenne». Si tratta, a detta di Siegfried Jacobsohn, di uninterpretazione incompleta che restituisce una visione parziale dell«universalità» di Shakespeare. Uno spettatore deccezione come Hugo von Hofmannsthal, che ben conosce le potenzialità dellattore esibite come protagonista di diversi suoi drammi, valuta la rappresentazione «commovente e profonda», e specifica: «Limmensa tragedia mai mi apparve così semplice e vicina. Moissi fu la massima umanità, la massima commozione, il massimo della decenza, il massimo della vitalità che si possa pensare». Il giudizio di Jacobsohn non muta in occasione della replica di questa edizione di Hamlet dal 16 ottobre 1909 al 9 gennaio 1910 sullimponente scena girevole (diciotto metri di diametro con orizzonte fisso) montata sul palcoscenico del Deutsches Theater di Berlino dove si esibiscono i principali attori della compagnia di Reinhardt, Paul Wegener (re Claudio), Adele Sandrock (Gertrude), Eduard von Winterstein (Orazio), Wilhelm Diegelmann (Spettro), Camilla Eibenschütz (Ofelia), Victor Arnold (Polonio), Oscar Beregi (Laerte), Hans Wassmann (Rosenkratz). Anche il pubblico viennese accorso nel maggio 1910 nella sala del Theater an der Wien, un teatro di tradizione, ammira un Amleto fanciullesco, «più sentimentale che tragico», un «principe educato» e tenero soprattutto nella scena dellincontro con lo spettro e nel fondamentale dialogo con la madre. Nei momenti più dolorosi Moissi trasfigura la passione in «grazia raffaellita». Si dimostra debole nel dialogo con la regina e nella scena del cimitero, dove manifesta un atteggiamento più nervoso che psicologico, mentre nelle situazioni di intimità e di silenzio lesibizione diventa di «assoluta bellezza». Declama il monologo Essere o non essere con ritmo lento, senza pathos; parla ad Orazio con il calore della «nobile amicizia»; esprime sincera avversione verso Rosenkratz e Guildenstern. Lessenza tragica si rivela nella scena con Ofelia e, in modo particolare, nella battuta «Va in convento, va, addio» (a. III, sc. 1) declamata in modo «del tutto nuovo». Per manifestare un«espressione di tenerezza verso la persona amata», Moissi abbassa il tono di voce, reprime la rabbia dellabbandono, si posiziona alle spalle di Ofelia (Tilla Durieux subentrata a Camilla Eibenschütz) e le fa una «carezza involontaria». In questo gesto si stigmatizza il senso più profondo dellHamlet moissiano: la «capacità distruttiva dellamore in modo così commovente […], che provoca la putrefazione dellamore, il suo decadimento nelloscurità e nella melanconia», non in modo artificialmente teatrale ma dimostrando «leterna umanità in modo nitido». Lunicità dellattore triestino sta nella combinazione armonica tra l«anima artistica [che] è assolutamente drammatica e il suo corpo [che] è assolutamente lirico». La sua mimica esprime «gesti in versi», la sua «parola una cantilena ondulata». Su questo incidono tanto la regia di Reinhardt quanto la connessa «profondità interiore nella musica della parola, deambulazione e postura». Gli occhi infiammati e febbrili manifestano grazie e nervosismo, le rughe intorno alla bocca appaiono di ricercata intensità. Alla resa artistica del sognatore Amleto e della sua furia giovanile partecipano anche i movimenti essenziali delle mani che ricordano «la gestualità tipica dellitaliano». Permeato di pessimismo e malinconia, accompagnato da una voce dolcemente musicale, questo modello da un lato raggiunge la sua perfezione formale, dallaltro palesa un certo logoramento soprattutto per la stampa berlinese. Nella recensione alla nuova edizione curata nel 1913 da Reinhardt, che riunisce in un ciclo (“Shakespeare Ziklus” in programma tra novembre 1913 e maggio 1914) i suoi allestimenti shakesperiani arricchiti con Heinrich IV (Enrico IV) e Othello (Otello), Jacobsohn paragona lattore a un sacerdote «pieno di sofferenza, con gli occhi incandescenti e bramosi, […] la faccia incendiaria», fermo nellangolo nascosto di un duomo gotico, in attesa di annunciare dal pulpito il destino del casato. Il modello di riferimento era Hamlet di Josef Kainz, recitato per oltre ventanni a partire dal debutto allOstend-Theater nel 1891 cui seguirono nel 1909 esibizioni trionfali al Burgtheater di Vienna e al Deutsches Theater di Berlino. A differenza delle interpretazioni precedenti, il celebre attore assume in un delicato e complesso equilibrio la dicotomia tra temperamento e intelletto, pensiero e passione propria del personaggio, che diventa perciò «un folle dello spirito e un fanatico della volontà». Si vedano in merito le sostanziali differenze circa la resa del monologo Essere o non essere: Kainz è aspro e vigoroso, mantiene un ritmo martellante, la voce è selvaggia; Moissi declama lentamente, quasi trascinando le parole verso lelegiaco. Kainz è la consapevolezza della conoscenza, Moissi è la proiezione nel sogno. Gli effetti della prima guerra mondiale, alla quale il ventiseienne Moissi partecipa nellesercito germanico, e la coeva esplosione di soggettività e irrazionalità mistica dellespressionismo e laffermazione di una recitazione basata sulla parola vibrante, passionale, gridata più che parlata, concorrono a una parziale revisione del personaggio shakesperiano. In questo periodo di sconvolgimenti bellici, accompagnati da tensioni politiche che preludono alla nascita della repubblica socialista di Weimar, lo stesso Reinhardt considera con maggiore attenzione le implicazioni sociali del testo, come emerge dallHamlet allestito alla Volksbühne di Vienna nellaprile 1918. Moissi si presenta spoglio di abiti principeschi e con una rinnovata spiritualità. Ora la malinconia esprime nostalgia e diventa una sorta di diaframma nei riguardi del mondo circostante. Lesibizione alla Neue Wiener Bühne dellanno successivo precisa meglio la metamorfosi in atto. La grazia cede il posto alla rabbia, linerzia diventa ribellione adolescenziale («questo pugnale esagerato deve colpire lorgoglio!»), che poi sfuma nella resa del pensatore solitario. In occasione del ritorno di Moissi a Vienna nel settembre 1921 Raoul Auernheimer pubblica un feulleton (Moissi der Gast) nel quotidiano «Neue Freie Presse» in cui parla dei personaggi di successo interpretati da questo attore adorato dal pubblico locale. Lattento critico accorpa le origini triestine, i trascorsi giovanili viennesi e la sua formazione berlinese alla sua particolare identità. Segnatamente in Hamlet converge lanima del «fanciullo» italiano che si esprime con una gestualità finemente romantica e nella voce che, pur «notevolmente cambiata negli ultimi anni» (prima «suonava come un violino»), pronuncia le vocali della lingua tedesca applicando le regole del bel canto italiano («ha acquisito una r, che taglia come un coltello»). Latteggiamento spirituale risponde ai canoni tedeschi del pensatore e sognatore solitario avulso da un «fanatismo quasi dottrinale» e proprio di chi vuole «pronunciare programmi politici». Il principe di Danimarca si conferma «un uomo raffinato in lotta contro la bestialità» anche nella messinscena curata nel 1922 dalla compagnia del Deutsches Theater di Vienna. Avvolto nel costume nero alla maniera rinascimentale, Moissi, che «non ha niente di teatrale», agisce spinto dalla «tensione del temperamento» e da una «forza spirituale» interiore sprigionata lungo tutto lo spettacolo. Assomiglia a un filosofo solitario, consapevole del destino di morte («anche il suo viso sembra esprimere il lutto, come il suo corpo […], con il collo nudo e gli occhi rivolti verso lalto») e perciò può compiere gesti tragici: recita il monologo in cui maledice la sua gioventù (a. I, sc. II) seduto sullo spigolo del trono reale per trasmettere un simbolico distacco; non si impaurisce di fronte allo spettro del padre, gli va incontro in silenzio e a braccia aperte (a. I, sc. V); declama Essere o non essere «in maniera distaccata dai sentimenti». È difficile capire se un simile Amleto dalle tante e delicate sfumature interiori corrispondesse a quello visto dagli oltre tremila spettatori presenti nel gennaio 1920 nel Grosses Schauspielhaus di Berlino che Reinhardt aveva eletto come esempio del cosiddetto «Teatro dei cinquemila». Limponenza della scena monumentale di questo Festspielhaus a forma di anfiteatro senza sipario e quinte pone «lattore al centro mescolato agli spettatori e il pubblico stesso, divenuto popolo, è trascinato dentro come parte dellazione e del testo». Non solo: questo inedito contatto comporta per larte declamatoria il recupero della «forza della parola» e «dellarmonia della voce»: elementi espressivi fondanti, al pari della «cultura dellespressione e del movimento» del corpo che «dovrà conoscere un incremento». Lapplicazione di queste prescrizioni per la rappresentazione di Hamlet, a detta della critica specializzata, risulta fallimentare. I problemi acustici e la distanza tra gli stessi attori sul palco e rispetto agli spettatori, producono una performance dellattore in cui la cifra espressiva è sbilanciata verso la comunicazione gestuale. Tuttavia le attitudini di Moissi arginano in parte queste oggettive difficoltà: la forza sonora della voce in alcuni momenti dello spettacolo diventa «uno splendido momento dellarte italiana dellattore. Piaceri per le orecchie» anche se muove «le braccia e le gambe come una silohuette». I cronisti presenti al Deutsches Volkstheater di Vienna la sera del 10 aprile 1926 annotano nei loro taccuini reazioni di sconcerto e risate di scherno. Sul palco si muovono attori inediti nei costumi e nei gesti: Orazio indossa un cappotto grigio; lo Spettro è un vecchio generale con fare militare; Laerte porta ununiforme bianca da ufficiale danese e impugna la pistola; Ofelia si distingue per il vestitino di seta con gonna corta mentre la regina indossa un elegante abito di seta e alla moda; re Claudio è il direttore della ditta, Polonio un procuratore e Amleto un uomo daffari in stile americano. Tutti tre si presentano in frac. Agli abiti contemporanei corrispondono analoghe situazioni. Si gioca a brigde e si sorseggia caffè nero, Amleto scrive la lettera a Ofelia sul block notes e nei momenti di tensione si accende una sigaretta. Lattualizzazione prodotta dalla regia di Henry Kiell Ayliff pare incidere poco sullo stile di recitazione degli attori. Moissi, per esempio, mantiene i consueti toni vibranti e nervosi, «canta altrettanto bene in frac». Il principe di Danimarca segue come unombra lattore triestino nel corso delle numerose tournées che si susseguiranno a partire dagli anni Venti in Svezia, Olanda, Russia, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Egitto. Figurerà anche nel repertorio presentato al pubblico italiano in due distinti momenti della sua carriera. Il primo contatto avviene al Teatro Verdi di Trieste nel maggio 1918, dove la compagnia della Volksbühne di Vienna guidata da Anton Rundt e Hans Ziegler recita in lingua tedesca anche Oedipus rex (Edipo re), Romeo und Julia (Romeo e Giulietta), Gespenster (Spettri). Per il pubblico si tratta di una novità: vede un «Amleto sopra tutto personale, lontano dalla tradizione; semplice e suggestivo». Colpiscono linteriorizzazione del dramma e lumanizzazione del dolore che Moissi rivela prima recitando con «voce lenta e dolce, scandendo i versi come singole note staccate», poi si agita, si infiamma e la sua voce esibisce una «potenza straordinaria». Manca lenfasi istrionica del Grande Attore di scuola italiana. Molte battute sono pronunciate a mezza voce, quasi sospirando, come Essere o non essere, recitato da «seduto, direi quasi a sé, partorito dal dolore, non declamato ad una folla plaudente». Condivide la serata trionfale di Moissi la moglie Johanna Terwin nella parte di Ofelia. Il secondo appuntamento con le platee italiane è nel 1934 in ditta con Wanda Capodaglio. Per pubblico e critica i punti di riferimento sono fondamentalmente Amleto di Ermete Zacconi e di Ruggero Ruggeri. Il primo, recitato dal 1887 al 1933, segue unimpronta di ispirazione naturalistica, che colorando il personaggio di sfumature patologiche, lo rendono «ben muscoloso e virile» ma lo privano delle sue caratteristiche «principesche e feudali di figlio di re». Secondo Silvio dAmico questa impostazione «non può darci della poesia». La versione di Ruggeri, al debutto il 20 aprile 1915 al Teatro Lirico di Milano e poi recitata fino al 1929, si presenta in contrapposizione al realismo di scuola positivistica. Mantiene lo stile personale proprio di questo Grande Attore: «una sobrietà talvolta poco languida, talvolta elegantemente stilizzata», uno «sguardo assonnato», «cadenze nasali ma melodiche» avvolgono il Principe di malinconico pessimismo che lo rende impotente di fronte allazione. Recitato in lingua italiana secondo la tradizione di Raffaello Piccoli, Amleto “tedesco” di Moissi è uno spettacolo di rottura con la tradizione italiana. Supera il tratto «lirico, declamatorio, apertamente eroico e festoso», in parte rivisitato da Ruggeri (anche se «resta sempre un palpito tutto ali»), e offre un personaggio «non diverso ma “suo”», ossia modellato sulla sua personalità «superba e ineguale, agile e dinoccolata, balenante e felina, canuta e coraggiosa, violenta e sommessa», che si armonizza con lalternanza di passione sentimentale e speculazione filosofica. Così commenta Gino Rocca. Sulle pagine del quotidiano «Il Piccolo di Trieste» Vito Tranquillini descrive un Amleto «semplificato, purificato, umanizzato, liberato dalle scorie estetiche delleroe vecchio tipo, un Amleto intimo», che al dualismo tra volontà dellazione e contemplazione (perno espressivo del Grande Attore italiano) contrappone il gioco della «frizzante e sottile ironia», attraverso la quale assume un atteggiamento di distanza filosofica dalla realtà. In tal modo rimbalza «dallimpulso violento allestasi dolorosa, dalla contemplazione della propria disfatta alla violenta requisitoria, dalla pietà vestita di follia per Ofelia al sarcasmo sulla morte di Polonio». Allestito da Nando Tamberlani, questo Amleto valorizza anche le prove di Wanda Capodaglio (Gertrude), Maria Fabbri (Ofelia), Pio Campa (Claudio). Se questa messinscena shakesperiana incanta le platee, non altrettanto unanimi risultano le valutazioni della critica. Silvio dAmico sbrigativamente giudica Moissi «tutto esteriore» e Carlo Terron lo etichetta «studente da ginnasio». Renato Simoni osserva che il taglio psicologico produce una «eccessiva semplificazione del personaggio» e della sua sostanza tragica che diventa «raziocinante». A Wanda Capodaglio, sua compagna di scena, spetta lultima parola: «un Amleto quasi di una sensibilità femminile: un Amleto italiano che pareva un irrequieto prigioniero dellatmosfera nordica shakesperiana».
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