Pubblichiamo la relazione di apertura, di Stefano Mazzoni, del convegno internazionale di studi “Firenze e la nuova storia del teatro” organizzato dalle Università di Firenze, Pisa e Siena, Dottorato di ricerca interuniversitario “Pegaso” in Storia delle Arti e in Storia dello Spettacolo, in collaborazione con la fondazione Teatro della Toscana (Firenze, Teatro della Pergola, 23-24 aprile 2015). Torno, con la dolcezza amara dei ricordi, al 15 marzo 1984 quando, a un anno dalla scomparsa di Ludovico Zorzi, si tenne nellaula 1 di piazza Brunelleschi della allora Facoltà di lettere dellUniversità di Firenze, la “sua” aula gremita di allievi colleghi collaboratori e amici, una giornata intitolata Per Ludovico Zorzi. Giornata di lavoro di Storia dello spettacolo (così allora si chiamava a Firenze la nostra disciplina). Di quel giorno resta memoria in un numero monografico, a cura di Sara Mamone, della rivista «Quaderni di teatro» (VII, 27, pp. 3-88) dedicato nel 1985 a Ludovico Zorzi e la “nuova storia” del teatro. Un titolo esatto. Fu proprio allUniversità di Firenze che si sviluppò con pienezza il suo originale, dinamico insegnamento. Chiamato nel 1972 presso la Facoltà di lettere il veneziano Zorzi divenne fiorentino dedicandosi «con entusiasmo e straordinaria freschezza intellettuale, a far lezione a scolaresche straripanti attratte dalla novità della materia [la storia dello spettacolo] ma soprattutto dal riconoscimento immediato della presenza in cattedra di un ingegno raro, non conformista, rigoroso e creativo insieme». Aveva quarantaquattro anni Zorzi e aveva alle spalle la decisiva esperienza da lui vissuta nel milieu culturale dellinquieto anticonformista e dinamico sperimentatore Adriano Olivetti e la quotidiana demistificante realtà aziendale. Fu Ivrea la sua finestra sul Novecento europeo. Qui Zorzi entrò in diretto contatto con il folto gruppo di intellettuali olivettiani, con i venti di rinnovamento della cultura internazionale non accademica. In quel clima maturò leinaudiana memorabile impresa del Teatro di Ruzante (1967) permeata di istanze di fondazione anche documentale della disciplina al servizio di una nuova concezione della storia del teatro. Occorreva anzitutto tornare alla scienza storica e alla critica delle fonti. Tornarvi per tentare di “fare” la storia dello spettacolo storicizzandola in più ariosi orizzonti culturali ed ermeneutici. Istanze di fondazione, si diceva. Ancora attuali. Fatte proprie e praticate da tempo anche da colleghi, collaboratori e allievi di Zorzi, poi coagulatisi con indipendenza di passo attorno a Siro Ferrone, suo successore sulla cattedra fiorentina, dando vita a un articolato tessuto di referenze, basato su indagini di prima mano di storia dello spettacolo, che sarebbe poco elegante qui vantare. E tuttavia un giorno andrà raccontata la storia di quei libri ed è utile ricordare almeno la collana «Storia dello spettacolo» e ribadire che lo storico dello spettacolo (teatrale e non) deve privilegiare lanalisi delle fonti originali siano esse da scoprire o già note, comunque da verificare direttamente e interrogare e interpretare con domande nuove. In breve, occorre praticare con pazienza, coraggio e umiltà quello che da tempo sono solito chiamare il ritorno alle fonti. Non esiste nuova storia senza nuova erudizione, scrive Fernand Braudel. Un ritorno alle fonti non di stampo positivo ma criticamente affilato e contestuale, da incrociare senza pigrizie con la conoscenza della storiografia. E il documento va inseguito da presso, va interpretato inserendolo nel contesto storico-culturale in cui venne stilato, valutando lintenzionalità, lattendibilità (da verificare con comparazioni e controlli incrociati), nonché i modi di produzione del cosiddetto documento/monumento. Tra il 1967 e il 1977 (ossia dal citato Teatro di Ruzante ai saggi orchestrati nel Teatro e la città) fu Zorzi, è stato molto bene osservato, il «personaggio più autorevole» del profondo rinnovamento degli studi teatrali. Ancora oggi dobbiamo fare i conti con quella sua geniale lezione di metodo multilineare versatile e rigoroso, molteplice condensarsi di specifiche complessità sociali, politiche e culturali, di utopie e di fatti concreti attualizzati, volta a volta, dalla filologia e dalla storia senza superfetazioni precettistiche o predicatorie. Si pensi al dichiarato zorziano procedere per via di esempi concreti, tratto saliente dalla sua attività scientifica (e didattica) capace di disegnare i concetti generali prendendo le mosse da specifici ambienti e vivi contesti. Penso, in particolare, alla zorziana filiera storia della società, storia della cultura, storia dello spettacolo. «Cosa cera un tempo attorno al fenomeno spettacolare che andiamo studiando?». Era questa la semplice domanda che Zorzi, che non amava le fumosità teoriche e le cristallizzazioni metodologiche, poneva spesso ai sui allievi dellUniversità di Firenze, ai quali, di norma, assegnava tesi documentarie, in coerenza con il suo convintissimo e ben perimetrato progetto di dotare la materia di robuste fondamenta. Da qui i tanti cantieri archivistici in progress che approfondivano e sottoponevano a verifica le pregresse indagini e intuizioni dello studioso o aprivano nuove piste, sostanziando con lanalisi storico-filologica delle fonti «il postulato zorziano del teatro come arte compromessa con tutte le funzioni civili ed espressive della società». Da qui inoltre, in quegli stessi anni, la non secondaria presenza saggistica di Zorzi, dei suoi allievi e dei suoi collaboratori nella già ricordata strategica rivista «Quaderni di teatro» edita a Firenze. Non pochi i lemmi bibliografici di quello straordinario periodo fiorentino da convocare a testimonianza di una pluralità dinteressi tesa, appunto, alla zorziana fondazione scientifica della storia dello spettacolo. Ne rammento, per brevità, solo alcuni. Anzitutto, lesemplare mostra-saggio documentale Il luogo teatrale a Firenze. Brunelleschi Vasari Buontalenti Parigi («Spettacolo e musica nella Firenze medicea. Documenti e restituzioni», 1, 1975). Mostra che, sin dal titolo, rinvia al concetto fondante discusso in Francia nel 1963 nel colloquio Le lieu théâtral à la Renaissance di cui danno conto gli atti riuniti nellomonimo volume a cura di Jean Jacquot. Concetto, quello di lieu théâtral, ridefinito acutamente dallermeneuta Zorzi; e su cui giova insistere per evitare fraintendimenti storiografici circa il decisivo passaggio dal luogo teatrale al teatro in età moderna, ossia per chiarire una volta per tutte la non evoluzionistica differenza tra le molteplici diversificate tipologie di un lieu, adibito occasionalmente e temporaneamente a sede di un evento spettacolare, e quelle, altrettanto diversificate e molteplici, delledificio teatrale. In una prospettiva storica di lunga durata è basilare la consapevolezza della differenza tra il luogo e ledificio teatrale. Si ponga mente, nellambito degli studi di Zorzi, al decisivo processo di accelerazione produttiva e di diffusione della vita teatrale determinato a Venezia dal passaggio dal luogo al teatro. Fu quel passaggio il motore di un pragmatico sistema imprenditoriale patrizio e di un robusto professionismo teatrale e musicale che fecero della città lagunare una delle capitali dello spettacolo di Antico regime. Possiamo ora tornare, con maggior profitto, alla mostra fiorentina del 1975. In questa, come in altre iniziative espositive di fortuna europea (La scena del principe, 1980), Zorzi nellindagare gli spazi e le forme dello spettacolo della Firenze medicea, rapportandoli allo spazio urbano come allarchitettura, alla pittura, alla musica e a un fitto reticolo di committenti realizzatori fruitori, seppe coniugare con originalità rigore scientifico-documentario, intelligenza ermeneutica, didattica universitaria e organizzazione di eventi culturali destinati a un ampio successo di pubblico, sintetizzando così ricerca e alta divulgazione. Impegno scientifico e impegno civile, dunque. È questa una tra le tante vitali lezioni zorziane. E spiace che non sia andato in porto il suo progetto, così attuale e necessario, di dotare Firenze di un inedito Dipartimento e museo regionale di storia della cultura scenica, musicale e di immagine urbana e territoriale della Toscana; dove, tra laltro, avrebbero trovato stabile collocazione i modelli lignei, resi “parlanti” dalle intuizioni dello studioso, che tanto avevano contribuito al successo delle esposizioni da lui ideate, restituendo plasticamente innovative ipotesi di ricostruzione degli spazi della spettacolarità teatrale medicea. Un esempio concreto di applicazione di metodo (unàncora di salvezza a fronte di tante astrazioni teorico-critiche della storiografia teatrale di ieri e di oggi), di riuscito lavoro di équipe, che andrebbe ora globalmente ridiscusso e aggiornato con le tecnologie digitali attuando una rilettura, in senso vitruviano stimo, della storia cinquecentesca del luogo teatrale di corte a Firenze. E si prenda atto della convinzione zorziana dellimportanza strategica dello studio dello spazio del teatro con le sue fondanti problematiche metodologiche. Si pensi al già convocato Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana. Un libro nuovo: complesso, pluridisciplinare, dagli orizzonti culturali ampi. Centrato sulla dialettica tra spettacolo e società, teatro e sfera del simbolo, ordine politico e retorica cerimoniale, spazio della città e spazio scenico (e viceversa). In questo volume è la città fusa al teatro il testo decisivo per lo storico dello spettacolo Zorzi. Prende vita così un affresco inedito di storia globale e contestuale dello spettacolo, della società, dellarte e della cultura che sarebbe ingiusto e persino impertinente schematizzare. Un volume «denso e importante, che non ci si può limitare a conoscere ma sul quale è doveroso e necessario far convergere e sperimentare una ampia e approfondita discussione che usi la ricchezza e la polivalenza delle prospettive e della documentazione offerta da Zorzi». La funzione e il significato delle forme spettacolari nelle civiltà urbane e architettoniche di Ferrara (spazio pseudo-prospettico), Firenze (spazio prospettico) e Venezia (spazio cinetico) sono decifrati da Zorzi a tutto tondo, compiendo scavi a più livelli e inventando, di contesto in contesto, di caso in caso, di problema in problema, nuovi ben calibrati grimaldelli ermeneutici; ben conoscendo la sterilità scientifica di griglie metodologiche “universali” preventive, valide a tutte le latitudini e per tutte le epoche. Il più si impara facendo. Ed è cruciale per lermeneutica zorziana lo studio delle idee e degli atteggiamenti verso lo spazio, dellesperienza estetico-sensoriale di esso e della correlata dimensione temporale. Egli mette originalmente a frutto le aperture e i rovelli di metodo del magistero di Sergio Bettini, di cui era stato scolaro alla Università di Padova, nonché le concettualizzazioni dei maestri della Scuola di Vienna, sdoganate in Italia proprio da Bettini; ma è da ricordare anche il volume di Bruno Zevi sulla Ferrara di Biagio Rossetti, e viene da domandarsi se e quanto abbia inciso sulla genesi della passione urbanistica di Zorzi, lappassionato urbanista Olivetti. Ne deriva complessivamente una zorziana storia dello spettacolo fluida, a-centrica, al plurale (non ancora compresa appieno, ne sono sempre più convinto). Capace cioè di non cristallizzarsi in sé stessa; di far leva su differenti punti di forza per giungere allessenza di un fenomeno; di elaborare senza sofismi il lutto della perdita delloggetto ermeneutico (la foucaultiana assenza di opera) superando così le iterate «retoriche dellarte fuggitiva»; di illuminare di nuova luce i propri densi contesti svelando le interazioni dialettiche tra urbs, civitas e spettacolo; di abbattere gli steccati disciplinari perseguendo metodi via via diversi dettati dai differenti terreni da dissodare; e, infine, questione decisiva, dinventare, di volta in volta, le proprie fonti in modo originale facendo ricorso anche, in alcuni casi soprattutto, a documenti analogici, insospettabili ai più, messi a illuminante confronto con le cosiddette fonti dirette. È questo, forse, lesito più nuovo e sorprendente della lezione scientifica di Ludovico Zorzi: dico lattitudine a stabilire relazioni analogiche tanto coerenti quanto vincenti e il montaggio sapiente «di testi e di referti allotri». «“Attitudine a scoprire correlazioni”: ecco una delle più soddisfacenti definizioni del genio scientifico», asseriva Lucien Febvre. Ancora. Come non pensare allo storico dello spettacolo Zorzi poi in sintonia con la nuova storia braudeliana? Alludo al progetto zorziano dei primi anni Ottanta – il periodo dellemblematico suo saggio Parere tendenzioso sulla fase – di dar vita, per la einaudiana serie di Annali della Storia dItalia, a un antievenemenziale volume dedicato a oltre quattro secoli del nostro antico teatro: dalla trecentesca Frottola di Vannozzo al Don Giovanni di Da Ponte-Mozart come Werk der Ende. Una scelta significativa sul piano del metodo. Una sintesi scientifica originale che finalmente avrebbe storicizzato con nuove non settoriali logiche di lavoro fasi salienti del teatro italiano, con le loro molteplici problematiche specificità, tra i caratteri originali del paese Italia. Con la consapevolezza, lascio la parola a Zorzi, che lo studio dei momenti di trapasso tra una congiuntura e laltra si mostra di gran lunga più interessante che lo studio di movimenti interni alle singole fasi o dei fenomeni stabilizzanti di esse. La fine del 700 assomma al chiudersi di un periodo congiunturale (tra il 30 e il 90) e di un periodo di lunga durata (che per la storia del nostro teatro profano ha inizio verso la fine del 1300: e dunque si estende lungo larco di quattro secoli) anche la fine di un periodo di lunghissima durata, che in pratica risale fino alle origini storiche della civiltà dellOccidente. Mestiere di storico e lunga durata: la «lunga e lunghissima durata in mezzo a cui si sviluppano i mutamenti sostanziali», ma senza perdere di vista i frammenti di essa (gli eventi) e mettendo in risalto i trapassi tra le diverse situazioni congiunturali. Insomma, proficua dialettica tra tempo breve e tempo lungo. In quegli anni la nostra materia si misurava con profondità di pensiero con la «nuova storia» e Zorzi fu una figura decisiva per la nuova storia del teatro. Si pensi, a riprova, anche al fondamentale valore assertivo dei documenti iconografici cui Zorzi ha dedicato tanta intelligenza confrontandosi con una storia dellarte che, per lo studioso veneziano, viveva di contesti, di orizzonti culturali ampi, di warburghiana scienza del significato, cioè di una scienza «che chiama a raccolta – scriveva Zorzi nel 79 a proposito dellAnalisi teatrale – le fonti della storia dellarte, della filosofia, della letteratura e della musica»; nonché di fitti “colloqui” con le discipline delle scienze umane da cui ricavare – la notazione è strategica – «non solo tecniche e metodologie sperimentate, ma anche delle logiche di lavoro». Conoscere mille per conservare dieci, senza dogmi o etichette, utilizzando logiche di lavoro nuove e punti di vista diversi per comprendere il ruolo dello spettacolo nelle società. Che è poi il citato metodo multilineare in “moto perpetuo”, invenzione epistemologica decisiva per la nostra materia, attuato senza indugi e senza prediche nel Teatro e la città come nel Carpaccio. Proprio questultimo volume mostra in modo esemplare la zorziana densità di pensiero applicata alle testimonianze figurative come fonti per la storia dello spettacolo, con la consapevolezza che alla «rappresentazione figurale […] partecipano, in un clima culturale comune e fino allavvento generalizzato delle esperienze specifiche che produrranno il corpo separato della scenografia, tanto la rappresentazione pittografica quanto la rappresentazione teatrale». Immagini e ricostruzione storica. Nulla di più, nulla di meno. Si pensi dunque alla ricognizione del veneziano ciclo di SantOrsola dipinto da Vittore Carpaccio dal 1490 al 1497-1498 per la piccola sede della veneziana Scuola dedicata alla santa. Il saggio ursuliano, scritto tra il 1980 e il 1981, dispiega con scienza rara una analisi storica a vocazione poliziesca giungendo, tra laltro, a distinguere con maestria filologica, allinterno del ciclo, tre gruppi di teleri, in bilico tra i “nostri” e i “loro”, svarianti dal tema della ambasceria a quello della peregrinatio e caratterizzati dalla memoria, distanziata nel tempo nella mente del pittore, di differenti semi dello spettacolo veneziano “teatrale” e cerimoniale: la rappresentazione sacra, la cerimonia di stato, la sfilata stradale, la momaria. Era uno storico della cultura anche visiva il warburghiano Zorzi intrigato dalla scuola delle «Annales», dal cosiddetto strutturalismo di Lévi-Strauss, dal criticismo dialettico “neo-kantiano” dei maestri della Scuola di Francoforte e, lo abbiamo appurato, costantemente in cerca di nuove griglie ermeneutiche e di nuove e diverse fonti. Storia dello spettacolo, la sua, capace di riconoscere, con senso vivo della storia e filologico rigore, anche elementi non riconducibili di primo acchito al teatro e alle retoriche della celebrazione civica. Nuova storia dello spettacolo messa in relazione da Zorzi nel corso del tempo, con fermezza dintenti, varietà di approcci e di riconfigurazioni metodologiche, alla storia della cultura, ai modi di vivere e di pensare, ai simboli e allazione di determinati gruppi o enti sociali in uno specifico ambiente storico-culturale e in uno specifico ambito spaziale e geografico; senza dimenticare lintreccio di relazioni tra quei gruppi e quegli enti, la retorica della identità e della differenza, le modalità di rappresentazione e di ricezione (e così via). Storia globale. Perché, piaccia o non piaccia, la nuova storia del teatro, o piuttosto dello spettacolo – storiografia teatrale che proprio a Firenze, lo ha sottolineato Ferdinando Taviani, trova uno dei suoi principali luoghi – la nuova storia del teatro, dicevo, non è disciplina ordinata, gerarchica, monumentale. È, invece, storia “eversiva” e a-centrica. Storia globale, appunto. Storia di relazioni, di processi e di pratiche performative fondata sullinterrogatorio incrociato di fonti, testi e documenti diversi, sulla reinvenzione costante dei campi dindagine e sulla affilata conoscenza storiografica. Storia di contesti politici, culturali e artistici. Di attori e di attrici. Di donne, uomini, gruppi sociali. Storia di persone e di ambienti. Promotori organizzatori e realizzatori dellevento spettacolare costituiscono un trittico inscindibile, da porre in relazione con le basilari drammaturgie dello spazio (ludienza e la scena, il luogo o ledificio teatrale), con luso drammaturgico della luce, con i meccanismi e i processi di produzione, realizzazione e fruizione di un determinato spettacolo, con lanalisi di un determinato ambiente e del gusto e delle emozioni provate in quei contesti dagli attori e dagli spettatori. Vale a dire con lo studio della relazione teatrale attore-spettatore e con lo studio del pubblico nelle sue mutevoli mentalità e composizioni sociali e nei suoi differenti orizzonti di attesa. Senza trascurare, è ovvio, le strutture drammaturgiche a esso destinate, siano drammaturgia consuntiva o drammaturgia preventiva, ma nemmeno privilegiandole come unica “vera” misura di valore. Tutto ciò Ludovico Alvise Zorzi lo aveva ben capito nel suo diuturno arrovellarsi sul mestiere di storico convinto comera, concludo con parole sue, che «si fa storia per conoscere, possibilmente senza miti (quindi con un minimo di posizione euristica) il passato e per interpretarlo, e insieme per percorrere razionalmente il nostro presente, in modo da consegnarlo a noi stessi quali saremo domani e a chi verrà dopo di noi».
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