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Lorena Valleri

Prospero Fontana pittore-scenografo a Bologna (1543)

Data di pubblicazione su web 20/12/2013
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Rielaboro qui alcune parti della mia tesi di dottorato: ‘«E spe in spem». Accademie, cultura e spettacolo a Bologna nel Cinquecento’, Università degli studi di Firenze, Scuola dottorale in Storia dello spettacolo, XXII ciclo, 2010, tutor prof. S. Mazzoni. Ringrazio il professore per i sempre preziosi consigli.

L’attività teatrale del pittore Prospero Fontana (1512-1597), una delle personalità più note del mondo artistico felsineo prima dei Carracci, merita forse più approfondite riflessioni. Malvasia definì l’artista «intelligentissimo de’ piani, del ben posare e della prospettiva, della quale ancora dava a’ Scolari lezioni».[1] In tempi più recenti è stato rilevato come il virtuosismo prospettico e la perizia scenografica che Fontana dimostra nelle sue pitture siano da collegare proprio all’attività teatrale.[2] In queste pagine avremo modo di accertarlo analizzando il primo spettacolo in cui il Fontana operò in qualità di pittore-scenografo.

Bologna 1543. Sappiamo che il 5 gennaio di quell’anno fu stipulato un abbozzo di contratto tra Gabriele Paleotti, Armodio de’ Santi e il pittore (Appendice, doc. 1).[3] Quest’ultimo si impegnava a «fare una scena finta Ferrara» per una commedia, nonché a realizzare le scenografie e a fornire i costumi per degli intermezzi di argomento mitologico. La scrittura non specifica di quale commedia si tratti, ma, giusta la notizia fornita da Ercole Bottrigari ne La Mascara, l’informazione dovrebbe riferirsi ai perduti Vecchi, drammaturgia a più mani[4] dell’accademia bolognese degli Affumati:

«Oso ciò dire, imperoché io sin lo anno 1542 incominciai a veder scene nobili recitandosi la Tragedia di Giuseppe Baroncino. Poscia lo anno seguente in giorno tale, qual’è stato quello passato della presente notte, che all’hora fù à 5 dì del medesimo mese recitandosi la ... Comedia dell’Odone, e sei giorni da poi, ciò è, à gli XI la Fante Comedia dello stesso Baroncino soprannominato il Tacca, tra gli Academici Sonnacchiosi, dà quali fu fatta la spesa, e da me di età puerile. Poscia lo anno 1548 Si come la tragedia lo antecedente anno 1547 fatta stampare per mio diporto in casa nostra. Fu poi da gli Academici Affumati fatta il giovedì seguente, che fu à 14, la nobilissima spesa per la rappresentatione da me pari veduta di una loro Comedia nominata i Vecchi; della quale credo certo, che non si trovi altra copia, che quella scritta à penna, che accompagnata dalla Rosa, e dallo Stufaiolo comedie del Doni, e scritte amendue di propria mano di quello; e dal Barro di Umberto Foglietta conservo tra molti altri libri tali».[5]

Il trattato del Bottrigari, ancora in larga misura inedito, trasmesso da due autografi felsinei entrambi arricchiti da disegni, meriterebbe una rinnovata attenzione. Il manoscritto conservato alla Biblioteca universitaria servì probabilmente da minuta per la bella copia autografa, in bella grafia, del Civico museo bibliografico musicale.[6] La mancanza di un’edizione critica ha causato fraintendimenti: penso, ad esempio, a proposito del brano sopra riportato, alla erronea trascrizione «Affamati» anziché «Affumati».[7]

Allo spettacolo in cui fu implicato Fontana allude, con ogni probabilità,[8] anche un passo della Cronaca di Matteo Pasi, anch’essa in larga parte inedita (Appendice, doc. 2): «Commedia bellissima recittata nel Convento de frati de Servi alli 20 febraro 1543 essendo la Quaresima, nominata la Fumaria ad istantia del Mag.co Caval.re Armodio Huomo di virtù molto hornato et copioso».[9] La testimonianza pone, a chi voglia ricondurla ai Vecchi, un problema di cronologia. Si è visto che il cronista parla della Fumaria, «Commedia bellissima» recitata il 20 febbraio 1543. Bottrigari allude invece a tre recite: una commedia di Odoni (identificabile con I confessori[10] e andata in scena il 5 febbraio), La fante di Giuseppe Baroncini (rappresentata l’11 febbraio), e, infine, I vecchi degli Affumati (giovedì 14 febbraio 1543).[11] Ma, è stato puntualmente osservato, in quell’anno il 14 febbraio non cadde di giovedì;[12] e, se prestiamo fede al contratto con Fontana, la commedia degli Affumati si sarebbe dovuta recitare la seconda domenica di quaresima.[13] Due, allora, le ipotesi economiche di lavoro: o Pasi si riferisce a una quarta commedia di cui non abbiamo ulteriori notizie, oppure esiste un problema di datazione per quanto riguarda l’allestimento dei Vecchi. Poco convincente, stimo, la congettura che la cronaca alluda invece a una replica della medesima commedia.[14]

A sostegno della prima ipotesi (dico una diversa commedia) parla il titolo registrato da Pasi: Fumaria.[15] Tuttavia il cronachista riferisce puntualmente che quello spettacolo fu fatto «ad istantia del Mag.co Caval.re Armodio Huomo di virtù molto hornato et copioso»,[16] evidentemente quel medesimo Armodio dei Santi che firmò il contratto con Fontana. Del resto, anche parte della descrizione fornita da Pasi della scena e della drammaturgia del primo intermezzo coincide con quanto previsto dal citato contratto, riconducibile dunque, senza esitazioni, all’allestimento dei Vecchi. Più che plausibile, allora, nonostante i tenui problemi di datazione, che Pasi si riferisca proprio alla messa in scena dei Vecchi e che le incongruenze sin qui rilevate siano dovute o a una svista del copista settecentesco della cronaca,[17] oppure a una svista di Pasi stesso, o ancora, a un titolo non definitivo (o alternativo) per la commedia a più mani degli Affumati.

Se l’ipotesi funziona, non sarà inutile riproporre all’attenzione del lettore tale testimonianza. Pasi offre, anzitutto, una notizia sul luogo teatrale della Fumaria alias I vecchi: il felsineo convento dei Servi di Maria in Strada maggiore (fig. 1).[18] La basilica, costruita verso il 1346 su progetto di Andrea da Faenza, esiste tuttora nelle sue strutture fondamentali, ma il complesso architettonico del convento e dei chiostri, di cui resta traccia nella cartografia cinquecentesca e non solo (fig. 2),[19] è oggi adibito a sede della Regione Carabinieri e dunque non è ispezionabile. D’altronde,  già nel 1583 tali ambienti subirono una radicale ristrutturazione per cui non sono più indagabili nella loro volumetria originale.[20] Inoltre, non sappiamo con precisione quale parte del convento fu adibita a lieu théâtral. Si può escludere tuttavia un allestimento all’aperto, cioè nel cortile di uno dei bellissimi chiostri che arricchivano il complesso. La Cronaca parla inequivocabilmente di «una gran sala drento la porta di esso Convento».[21] E il clima bolognese, umido e freddo, non avrebbe consentito una agevole fruizione en plein air di una recita che si svolse tra carnevale e quaresima (anche se sappiamo che nel Cinquecento sono attestate recite invernali all’aperto: alludo, per esempio, alle performances del Ruzante nel cortile di casa Cornaro a Padova).[22]

La mancanza di notizie su tale spazio spiace ancor più se si pensa che il  convento dei Serviti, nei primi anni Quaranta del Cinquecento, fu uno dei centri dell’attività teatrale bolognese: qui, giova sottolinearlo, vennero messi in scena anche l’Amor costante del Piccolomini (1542) e la Fante di Giuseppe Baroncini (1543).[23] E viene alla mente il veneziano convento dei Crosechieri, sede nel 1522 di memorabili rappresentazioni teatrali che, è noto, videro l’abile Cherea impegnato in recite a pagamento.[24] D’altra parte, l’indagine da me condotta nel fondo archivistico del convento dei Servi non ha portato ad alcun ritrovamento documentale relativo ai citati allestimenti.[25] Aggiungo che tale convento come luogo teatrale è ignorato da Corrado Ricci nella sua documentata storia aneddotica sui Teatri di Bologna (1888), nonostante una specifica sezione dedicata ai Teatri nei conventi.[26]

Se tale luogo teatrale è andato perduto è comunque possibile investigare il «sontuoso apparato» realizzato nel 1543 per la commedia degli Affumati del quale, come accennato, è rimasta memoria grazie alla diligente penna del Pasi:

«Fu fatto uno sontuoso apparato in una gran sala drento la porta di esso Convento. Nello intrare a man dritta dove in capo di essa vi era una belliss.ma suena di legnami co’ una Ferrara dipinta tratta del naturale con il Duomo, la Piazza, et Castel vechio et il Ducca Borso, et molti altri bellissimi casamenti, e pallazzi, poi da man mancha eravi una Bologna pure tratta del naturale con il Duomo, la Piazza Grande con molti pallazzi, et altri casamenti nobbili la Torre degli Asinelli, la Torre Torta a quella vicina, et altre cose in prospetiva che a raccontarle seria troppo prollisso».[27]

Dunque, due città «reali-simboliche», giusta la felice definizione zorziana:[28] Bologna e Ferrara. Si pensi, per esempio, al disegno scenografico con la veduta di Ferrara riconducibile alla cerchia di Girolamo da Carpi e databile 1550 circa (fig. 3).[29] Ancora: due città in scena su uno stesso palcoscenico (la «suena di legnami») per una medesima commedia? Un’unica scenografia, quindi, che raffigurava Bologna da una parte e Ferrara dall’altra? Oppure le due città erano impalcate su due palcoscenici contrapposti (uno a destra, l’altro a sinistra) rispetto allo spettatore che entrava nella sala? Il passo non è chiaro e la perdita del testo dei Vecchi complica le cose. E tuttavia, a mio parere, è ragionevole pensare a un unico palcoscenico. Ed è certo che la veduta di Ferrara «tratta dal naturale», e popolata di realistici edifici significanti, coincide perfettamente con la scenografia commissionata dagli Affumati a Prospero Fontana nel 1543:

«Sia noto e manifesto a chi leggerà la presente scritta come m.ro Prospero Fontana Pictore si è convenuto con Noi Harmodio di Santi e ms Gabrielle Paleottj dui de gli accademicj affumatj agenti in nome di tutta l’Academia nostra di pigliare sopra sé il carico di fare una scena di finta Ferrara di tutto punto secondo un disegno quale [parola illeggibile] promette di dare in termine di giorni quatro prossimi a venire».[30] 

E la «magnifica» prospettiva di Bologna? Allo stato attuale delle ricerche sarebbe avventato formulare ipotesi prive di riscontri documentali. Sappiamo solo che quella scena, a dire del Pasi, proponeva agli spettatori gli edifici principali della città: piazza Maggiore, cuore della vita politica e civile,[31] il Duomo, centro della vita religiosa, e le torri degli Asinelli e Garisenda, simbolo felsineo eccellente sin dall’epoca medievale.[32]

Ma torniamo alla «dipinta» scena «di legnami» raffigurante Ferrara. In cerca di riscontri filologici potremmo pensare, in via di prudente ipotesi, o alla convocata cerchia di Girolamo da Carpi o al Serlio ché, a questa altezza cronologica, ipotizzare una scena lignea interamente plastica di tipo scamozziano sarebbe improduttivo e persino impertinente.[33]

Congruo, invece, convocare a possibile ulteriore riscontro, la sontuosa scena di città prospettica realizzata a Venezia nel 1542 da Giorgio Vasari per la Talanta dell’Aretino, allestita dalla Compagnia della Calza dei Sempiterni.[34] Si ricordi la condivisibile attribuzione a quello spettacolo, e dunque alla mano sapiente del Vasari prospettico e architetto-scenografo, del noto foglio 291 A del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (fig. 4).[35] Disegno per troppo tempo riferito, pur in assenza di riscontri documentali, a Baldassarre Peruzzi e alla messinscena romana della Calandria nel 1514.[36]

Non solo, dunque, la pseudoprospettica scena della cerchia di Girolamo da Carpi, né il modello trattatistico serliano possono offrire riscontri figurativi alla Ferrara «di tutto punto» impalcata nel 1543 dal Fontana per gli Affumati; ma anche (e soprattutto, credo) è proficuo convocare la citata prospettiva vasariana per i Sempiterni, ‘modellata’ sul motivo scenografico della «piazza e via lunga». Si rammenti, a conferma di tale opzione critica, l’incontro bolognese del 1539 tra l’allievo di Bastiano da Sangallo, Vasari appunto, e Fontana; e si pensi poi alla successiva collaborazione fiorentina tra costoro, quando il pittore-scenografo bolognese realizzò a Firenze la scena di città della Cofanaria (1565).[37] Scena che, è noto, impalcava «la fusione della ‘piazza e via’ secondo il modello peruzziano della ‘strada lunga’ focalizzata all’infinito, già sperimentata dal Vasari nella prospettiva sintetica di Roma per la messinscena veneziana della Talanta».[38]

Leggiamo un altro passo del contratto del Fontana:

«promette poi [il Fontana] di lasciare tutto quello che è sui ponti sopra legni, assi, tavole e dipinture [riservandosi] i ponti, i panni in preso ai comedianti […] le catene congiunte ai ponti. Item non vuole esser obligato a lasciare se non gli animali di stucho e gl’habiti da vestir i nudi».[39]

Il brano è di difficile lettura perché il margine del foglio è stato danneggiato dal fuoco.[40] Esso testimonia comunque una pragmatica prassi del «riuso»[41] e, contestualmente, la ‘vocazione’ teatrale del pittore-scenografo. Fontana dichiara che, dopo la recita, terrà per sé la struttura lignea del palco («legni, assi, tavole»), i costumi («panni») prestati agli attori, le «catene congiunte ai ponti», verosimilmente con l’intenzione di riutilizzare tali materiali in altri allestimenti per adesso ancora misteriosi. Una testimonianza quasi sconosciuta sino a tempi recenti e che documenta una sorta di palcoscenico modulare ‘prefabbricato’ degno della massima attenzione per la storia del teatro materiale cinquecentesco e del suo farsi scenico. Si pensi al rimovibile apparato della cavea nel lieu théâtral del fiorentino Salone dei Cinquecento. E non si scordi che, lo abbiamo sottolineato, Fontana fu poi implicato nel 1565 nell’allestimento della Cofanaria.

Agli Affumati restavano, invece, gli arredi scenici e «gl’habiti da vestir i nudi»: un patrimonio cui attingere per eventuali nuovi spettacoli? Ipotesi plausibile, ma non supportata da ulteriori riscontri fontali. Certo, recuperare materiali già utilizzati in precedenti allestimenti avrebbe consentito un risparmio notevole per l’accademia che autofinanziava la propria attività teatrale.[42]

Sappiamo, inoltre, che l’allestimento dei Vecchi costituì il culmine di un ‘festival’ teatrale accademico organizzato a Bologna in quell’anno dagli Affumati in collaborazione con l’accademia dei Sonnacchiosi. Esso prevedeva, oltre all’allestimento delle tre commedie ricordate da Bottrigari, anche una giostra in piazza, come si legge nel prologo della già citata Fante, commedia del sonnacchioso Giuseppe Baroncini, alias il Tacca:

«O ravvidetevi; ravvidetevj un tratto: ditemi un poco per vostra bontà chi quest’anno ha fatta la giostra in piazza! Li scolari; chi furono coloro che vi recitarono così bella comedia lunedì passato! Furono quasi tutto scolari; chi è quel M. Cesare Odoni che la compose! Uno scolare, Gli Affumati, chi sono? I quali v’hanno messa in ordine una altra si bella da recitarvisi fra pochi giorni? Sono per la maggior parte scolari».[43]

Gli Affumati decisero di «pigliare sopra sé il carico» dell’allestimento dei Vecchi;[44] un impegno oneroso se si considera che solo il compenso per Fontana ammontò a settantotto scudi d’oro,[45] mentre dai Sonnacchiosi «fu fatta la spesa» per la Fante.[46] Non siamo informati, invece, né sulle spese sostenute per la giostra né sui pagamenti effettuati per la commedia di Odoni. Certo è che l’impegno profuso da Affumati e Sonnachiosi negli spettacoli del 1543 è segno della solidità economica dei due sodalizi, ma anche della loro capacità organizzativa. E in quel 1543, si è accennato, vennero destinate notevoli risorse proprio per la recita dei Vecchi, arricchita da spettacolari intermezzi.

Seguiamo allora le tappe di quell’allestimento a dispetto dell’avarizia dei documenti. Plausibile ipotizzare che la decisione di allestire la commedia durante la quaresima fosse stata presa negli ultimi mesi del 1542. Il 5 gennaio 1543, si è visto, Gabriele Paleotti e Armodio dei Santi, «agenti in nome di tutta l’Academia», erano già in grado di concertarsi con Prospero Fontana:[47] il pittore era tenuto a produrre nel termine di quattro giorni un bozzetto raffigurante Ferrara che i committenti si riservavano di far modificare fino a quando non avesse corrisposto ai loro gusti.[48]

Fontana si impegnava poi a realizzare «a tutte sue spese» «lignammi, seramenti, tele pictura e in somma ogn’altra cosa necessaria a detta scena», oltre all’occorrente per i cinque intermezzi; mentre spettava all’accademia procurare «torze, candele e olio».[49] E la mente va subito alle pagine serliane dedicate ai Lumi artificiali delle scene.[50]

È noto inoltre come nel lessico teatrale cinquecentesco il termine «tela» fosse anche una variante di «cortina», cioè di sipario. In questa accezione fu utilizzato, ad esempio, da Vasari.[51] Ma la messa in opera di un sipario negli spettacoli bolognesi del 1543 non trova riscontro documentale. Ed è più che probabile che le «tele» registrate nel contratto in questione facciano riferimento a spezzoni della scenografia. Si ripensi al disegno 291 A degli Uffizi attribuito a Vasari e quindi si rilegga Serlio:

«Li casamenti […] io li ho sempre fatti di telari, sopra li quali ho poi tirato tele, facendoli le sue porte in faccia et in scorcio, secondo le occasioni, et anco ci ho fatto alcune cose di basso rilievo di legnami che han aiutato molto le pitture».[52]

Inoltre, dalla descrizione di Pasi si evince che il palcoscenico fosse subito ben visibile allo spettatore che entrava nella sala dei Servi. Costui ammirava non solo le citate prospettive di Bologna e Ferrara. Durante il primo intermezzo era stupito da un «bel monte finto di rilievo copioso di verdura in guisa del monte di Etna tratto molto di natturale».[53] Un vulcano dotato di un meccanismo che permetteva la fuoriuscita di «fuoco e fummj odoriferj».[54] Non si scordi che un analogo dispositivo fu usato dal Buontalenti nel 1586. Alludo ai fumi aromatici che coinvolgevano i sensi degli spettatori dei sontuosi intermezzi fiorentini.[55]

Dai documenti si inferisce inoltre che il monte realizzato dal Fontana era piazzato, dinanzi alla scena di città della commedia, su uno spezzone di palcoscenico appositamente costruito per gli intermezzi. Pasi, infatti, dichiara che il vulcano si trovava «non molto discosto dalla scena»;[56] più esplicito e chiarificatore al riguardo il contratto con Fontana:

«Il soprascritto promette di fare un palco avanti alla ditta scena [quella raffigurante Ferrara] per farli sopra li intermedij tagliato sotto con molinellj e ribalte necessarii».[57]

Cogente il nesso tra i due documenti. E si apprezzi il riferimento al sottopalco dotato di «molinellj e ribalte» per i cambi di scena degli intermezzi.

Non siamo invece in grado di ricostruire il percorso che conduceva gli spettatori nella «gran sala» apparata per lo spettacolo. Quale sala? Una sala

«tutta adobbata de banchi et arcibanchi di legnami accomodati per ordine fatti a scallini alti sino alla volta di essa Sala che ciascheduno potea vedere agevolmente il restante nel mezzo cioè più abasso si stava in piedi».[58]

Il pubblico si disponeva dunque su di un numero imprecisato di gradoni lignei. Una cavea di sapore classico? Non lo sappiamo. Si prenda atto piuttosto che «nel mezzo»  dell’udienza «si stava in piedi». D’altronde mancano notizie sulla composizione sociale di tale pubblico.

Per l’inizio della recita era previsto, si è accennato, un coup de théâtre. Gli Affumati e il Fontana pensavano a

«una fiamma qual non dia cativo odore et, consummato il ditto fuoco, il ditto monte si apra e sotto li siano una Venere, un Vulcano, tre amorj, tre ciclopi due che battano a l’incudine e facciano de gli stali dorati e finti di piombo l’altro curj i manticj e, finita la musica che in questo meggio si farà il detto monte caschi sotto il palco e resti ascoso».[59]

Una tecnologia d’avanguardia, per l’epoca, con quel sottopalco in grado di ‘riassorbire’ l’artificioso Etna e che Roberto Trovato ipotizza alto circa due metri.[60] Ma, a mio parere, la lettura della cronaca non consente di stabilire dimensioni precise.

Non appena il pubblico si riprese dalla ‘meraviglia’ comparvero in scena Vulcano e Venere, e amorini e ciclopi che battevano su un incudine facendo «strali dorati e finti di piombo». Fontana aveva mantenuto le promesse. Si legga ancora il consuntivo del Pasi:

«[…] il detto monte trette [?] un gran schioppo per il quale artificiosamente si apersi per mezzo abbrusiando Restò aperto in doe parti dove finito il fuoco rimasi esse doe parti intiere senza lesione alcuna dove che nella parte da man dritta eravi una musica di quatro bellissimi angioli in bellissimo habito hornati quali stavano a sedere con quattro libri in mano cantando si dolcemente rasembravano la vera armonia del paradiso. Dall’altra parte del monte vi ero uno [Vulcano] con lo incugine et martello in mano mentre si cantava bateva la misura di esso canto credo che mai si sentissi la più dolce et soave armonia di questa».[61]

Un intermezzo musicale dunque,[62] in cui il canto ebbe un ruolo di spicco. Era stato così anche a Ferrara, già nel lontano 1509, per il gran finale intermediale dei Suppositi:

«Li intermeci furono tuti canti e musiche, et in fine de la comedia Vulcano cum ciclopi baterno saete a sono de piffari, battendo il tempo cum martelli et cum sonagli che tenivano alle gambe, et facto questo acto de le saette col menar de’ mantici, fecero una moresca cum dicti martelli».[63]

D’altronde quei ciclopi avevano già ricevuto possente vita figurativa proprio a Ferrara nello «strepitoso balletto» dipinto da Ercole de’ Roberti sulle pareti della sala dei Mesi a Schifanoia.[64]

Terminata la musica il monte scomparve «sotto la prefatta sena con modo tanto velloce che più non si vidi così con quelle istesse persone che vi erano drento, cosa veramente molto notabbile».[65] Finalmente la commedia ebbe inizio. Purtroppo Pasi a questo punto si interrompe. Sappiamo però, grazie al più volte menzionato contratto, che nel secondo intermezzo Nettuno e Pallade gareggiavano per dare il nome ad Atena, con sullo sfondo una Atene ‘finta’ «di pittura».[66] Inoltre era previsto un nuovo effetto ‘speciale’: «Nettuno col tridente percotendo la terra faccia nascere un cavallo e Pallade lanciando l’asta faccia nascere un olivo».[67] Segnali scenotecnici d’interesse non secondario.

Nel terzo intermezzo Adone «scannato dal cing[hiale]» veniva pianto da Venere e dagli amorini. Nel quarto, che forse aveva un’ambientazione boschereccia,[68] «5 animali un leone, una pantera, un cing[hiale], un orso, un lupo» venivano attratti dal canto di Orfeo «che hanno da lacerare». Nel quinto intermezzo, infine, andava in scena la topica contesa di Apollo e Marsia. Anche in questo caso era previsto l’utilizzo di congegni. Si pensi all’apparizione fluviale: «e Apolline scortichi Marsia e attacchi la pelle al tempio»; «ne nasca il fiumme di poi vengano quattro fauni et sepeliscano Marsia».[69] Una lacerazione del foglio, purtroppo, non permette di leggere alcune parole che collegavano i due incisi qui registrati. Infine, un non meglio specificato «sacrificio» con un «sacerdote» concludeva lo spettacolo degli intermezzi.

Uno spettacolo oggi non più «ignoto»,[70] ma meritevole di ulteriori indagini, anche per la tecnologia che lo caratterizza. Una messa in scena che getta luce nuova non solo sulla scena bolognese, ma anche, in più ampie campiture critiche, sulla storia dello spettacolo cinquecentesco. Un evento che può fruttuosamente interagire con i coevi allestimenti toscani e romani. Quasi una sorta di anello di congiunzione tra Serlio, Bastiano da Sangallo e Vasari.

Recentemente Ilaria Bianchi[71] ha proposto di individuare un riscontro iconografico per il secondo intermezzo bolognese (Nettuno e Pallade) nelle incisioni delle Symbolicarum Quaestionum de universo genere (1555) di Bocchi che furono realizzate da Giulio Bonasone, proprio con il contributo di Prospero Fontana.[72] In effetti, il simbolo LXIII (fig. 5)[73] rappresenta, sullo sfondo di una città classicheggiante, Pallade, Nettuno con il tridente, un ulivo e un cavallo che esce da una grotta. Quest’ultima potrebbe essere una reminescenza del «monte» realizzato dal Fontana. L’ipotesi è suggestiva e la sensazione di trovarsi di fronte a un eco iconografico dello spettacolo accademico del 1543 è confortata, a mio parere, dalla teatralissima apparizione di Atena su un carro librato su nuvole.[74] Si noti inoltre l’alto zoccolo (di un ideale proscenio?) su cui è inciso il motto: «Inanis est infructosa gloria».[75] E tuttavia non credo che tale documento figurativo possa essere assunto a testimonianza dello spettacolo.

Resta da domandarsi quali furono le reazioni del pubblico. Mancano puntuali testimonianze al riguardo, tuttavia la lettura dell’epistolario di Claudio Tolomei riserva sorprese:

«Questo diletto è poi più cresciuto per le varie nuove, che voi mi scrivete; delle quali alcune mi sono state grate: perché considerando bene, e aggiungendovi qualche altro spirito, che vola per l’aria, si può in parte imaginare, in che verso corrano questi nuvoli. Ma grandissime sono altre, per ragguagliarmi de tante nobili academie, di sì dotte dispute, di così belle comedie, di tante eccellenti orazioni, di così ricchi e allegri conviti, e sopra tutto di così cotanto piacevoli e virtuose conversationi, delle quali v’havrei grande invidia, s’io non amassi egualmente il contento vostro, come il mio proprio. […] di Roma, XXVI maggio».[76]

Il documento, non datato quanto all’anno, è collegabile a una lettera scritta dal Tolomei al Benzio il 5 giugno 1543, missiva nella quale viene esplicitamente menzionata l’accademia degli Affumati.[77] Ritengo che esso possa riferirsi agli spettacoli sin qui evocati: un cenno, purtroppo generico e indiretto, sulla vivace vita accademica bolognese e sul successo ottenuto dalle «belle commedie». Nulla di più.

Appendice

La trascrizione dei documenti è prevalentemente conservativa. Tuttavia non si sono rispettati gli a capo, si è distinto u da v e, quando necessario, è stata introdotta la punteggiatura. Le abbreviazioni sono state sciolte solo quando rendevano difficile la lettura del testo.

Doc. 1

Contratto tra Prospero Fontana e l’accademia degli Affumati, 5 gennaio 1543, in Paleotti Card. Gabriele, sulla vita del = note, critiche, copia di lettere, sec. XVI, ms., AIB, fondo Paleotti, serie 35 554 b.  5 (1), c. sciolta.

A di ·5· di Genaro 1543 · in Bologna : ~

Sia noto e manifesto a chi leggerà la presente scritta come m.ro Prospero Fontana Pictore si è convenuto con Noi Harmodio di Santi e ms Gabrielle Paleottj dui de gli accademicj affumatj agenti in nome di tutta l’Academia nostra di pigliare sopra sé il carico di fare una scena di finta Ferrara di tutto punto secondo un disegno quale [parola mancante] promette di dare in termine di giorni quatro prossimi a venire. Il qual disegno ci habbia a sotisfare e non ci sotisfacendo lo habbia riconciare e mutare tanto che ci sotisfaccia. A tutte sue spese di lignammi, seramenti, tele pictura e in somma ogn’altra cosa necessaria a detta scena eccetto torze candele e olio.

Il soprascritto promette di fare un palco avanti alla ditta scena per farli sopra li intermedij tagliato sotto con molinellj e ribalte necessarii.

Il soprascritto per lo primo intermedio ci promette fare il monte Etna finto di lignammi e tele, e con fuoco e fummj odoriferj. Qual monte si habbia poi da aprire in cima e fuori ne habbia da uscire una fiamma qual non dia cativo odore et, consummato il ditto fuoco, il ditto monte si apra e sotto li siano una Venere, un Vulcano, tre amorj, tre ciclopi due che battano a l’incudine e facciano de gli stali dorati e finti di piombo l’altro curj i manticj e, finita la musica che in questo meggio si farà il detto monte caschi sotto il palco e resti ascoso. E hora egli promette fare gli habiti e le mascare convenenti al così detto intermedio.

Per lo secondo intermedio promette di fare la contentione di Nettuno e Pallade nel dare il nombre ad Athena. E Nettuno col tridente percotendo la terra faccia nascere un cavallo e Pallade lanciando l’asta faccia nascere un olivo, e fingere di pittura la città di Athene con la tela.

Per il terzo intermedio Adone scannato dal cing[hiale] e [parola mancante] Venere e li Amori lo piangono.

Per il quarto Orfeo con la lira che suoni e vengon[o] 5 animali un leone, una pantera, un cing[hiale], un orso, un lupo e [due sorti di piante ?] e [parola mancante] che hanno da lacerare Orfeo.

Per il quinto un Apolline con la lira e un Marsi[a] con la [tibia?] che contendono, e Apolline scortichi Marsia e attacchi la pelle al tempio fin[parola mancante][ parola mancante] un [parola mancante] e ne nasca il fiumme di poi vengano quattro fauni et sepeliscano Marsia.

Per l’ultimo il sacrificio con un sacerdote.

E così promette di fare tutti li trucchi pertinenti alli sopradetti intermedi e ritrovare li habiti delle persone pertinenti al [parola mancante] e in somma ogni cosa pertinente alla comedia eccetto le ditte torze, candele, e olio tutto il bisogno [parole mancanti], e da ogni cosa compita la seconda domenica della quadragesima prossima, a venir di modo che si possa far la comedia. E ciò promette e si obbliga sotto la pena del doppio di quanto dato precio e noi in nome di tutta l’academia obligandoci noi di primo principalmente e promettiamo darli scudi settantotto in oro, et così li havessimo dati al presente scudi quindeci a bono conto.

[aggiunto a latere] Altri quindici gli promettiamo dare quando ci sia piaciuto il disegno. Mancandoli noi di detti denari al predetto tempo hora tanto se gli intendj  per prorogare di tempo quanto noi saremo mancanti di dargli l’intera somma.

M. Prospero promette poi di lasciare tutto quello che è sui ponti sopra legni, assi, tavole e dipinture [riservandosi] i ponti, i panni in preso ai comedianti […] le catene congiunte ai ponti. Item non vuole esser obligato a lasciare se non gli animali di stucho e gl’habiti da vestir i nudi.

Noi harmodio e m. Gabrielle predetti habbiamo sottoscritto  il presente scritto di mano di me Harmodio il quale sarà similmente sottoscritto di mano [parole mancanti] nostro principe e di mano del detto m. Prospero [parole mancanti] dui testimonij. E nota che un’altro simile e similmente sottoscritto sarà appresso al detto m. Prospero : ~

Io Harmodio di Santi affirmo quanto [parte mancante].

Doc. 2

M. Pasi, Cronaca di Bologna, sec. XVII, ms., BCAB, Gozz. 152, c. 55.

Commedia bellissima recittata nel Convento de frati de Servi alli 20 febraro 1543 essendo la Quaresima, nominata la Fumaria ad istantia del Mag.co Caval.re Armodio Huomo di virtù molto hornato et copioso. In prima fu fatto uno sontuoso apparato in una gran sala drento la porta di esso Convento. Nello intrare a man dritta dove in capo di essa vi era una belliss.ma suena di legnami co’ una Ferrara dipinta tratta del naturale con il Duomo, la Piazza, et Castel vechio et il Ducca Borso, et molti altri bellissimi casamenti, e pallazzi, poi da man mancha eravi una Bologna pure tratta del naturale con il Duomo, la Piazza Grande con molti pallazzi, et altri casamenti nobbili la Torre degli Asinelli, la Torre Torta a quella vicina, et altre cose in prospetiva che a raccontarle seria troppo prollisso. Intorno a detta Sala tutta adobbata de banchi et arcibanchi di legnami accomodati per ordine fatti a scallini alti sino alla volta di essa Sala che ciascheduno potea vedere agevolmente il restante nel mezzo cioè più abasso si stava in piedi e non molto discosto dalla scena vi erano uno bel monte finto di rilievo copioso di verdura in guisa del monte di Etna tratto molto di natturale. Il primo atto di essa comedia il detto monte trette [?] un gran schioppo per il quale artificiosamente si apersi per mezzo abbrusiando Restò aperto in doe parti dove finito il fuoco rimasi esse doe parti intiere senza lesione alcuna dove che nella parte da man dritta eravi una musica di quatro bellissimi angioli in bellissimo habito hornati quali stavano a sedere con quattro libri in mano cantando si dolcemente rasembravano la vera armonia del paradiso. Dall’altra parte del monte vi ero uno [Vulcano] con lo incugine et martello in mano mentre si cantava bateva la misura di esso canto credo che mai si sentissi la più dolce et soave armonia di questa Di poi finita in un subbito sparì esso monte sotto la prefatta sena con modo tanto velloce che più non si vidi così con quelle istesse persone che vi erano drento, cosa veramente molto notabbile.



[1] Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi del Conte Carlo Cesare Malvasia, con aggiunte, correzioni e note inedite del medesimo autore, di Giampiero Zanotti e di altri scrittori viventi, Bologna, Guidi dall’Ancora, 1841, vol. I, p. 175 (rist. anast. Bologna, Forni, 1967).

[2] Cfr. V. Fortunati Pierantonio, L’immaginario degli artisti bolognesi tra Maniera e Controriforma: Prospero Fontana (1512-1597), in Le arti a Bologna e in Emilia Romagna dal XVI al XVII secolo. Atti del XXIV congresso C.I.H.A. (Bologna 10-18 settembre 1979), a cura di A. Emiliani, Bologna, Clueb, 1982, pp. 100, 108n.; Id., Proposta per una nuova attribuzione a Prospero Fontana, in Scritti di storia dell’arte in onore di Federico Zeri, Milano, Electa, 1984, vol. I, p. 419; Id., Prospero Fontana (Bologna 1512-Bologna 1597), in Pittura Bolognese del ’500, a cura di V. F. P., Bologna, Grafis, 1986, vol. I, pp. 343, 346-47; F. Lollini, Prospero Fontana nella Cappella del Legato, in La Cappella Farnese e il Torrione del Canton dei Fiori. Nuovi restauri in Palazzo Comunale, a cura di R. Scannavini, Bologna, Grafis, 1991, pp. 76, 81n.-82n.

[3] Cfr. Archivio Isolani di Bologna (d’ora in avanti AIB), Contratto tra Prospero Fontana e l’accademia degli Affumati, Bologna, 5 gennaio 1543, in Paleotti Card. Gabriele, sulla vita del = note, critiche, copia di lettere, sec. XVI, ms., fondo Paleotti, serie 35 554 b. F 5 (1), c. sciolta (doc. 1). Il documento, da me a suo tempo autonomamente reperito, è stato pubblicato da Ilaria Bianchi quando la presente ricerca era già in corso (cfr. I. Bianchi, La politica delle immagini nell’età della Controriforma. Gabriele Paleotti teorico e committente, Bologna, Compositori, 2008, p. 49). Il contratto era già stato segnalato da P. Prodi, Il Cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1959, vol. I, p. 60. Di ciò non tiene conto M.  Calore, Spettacoli teatrali a Bologna nel Cinquecento nella testimonianza inedita di Ercole Bottrigari (la Mascara), «Atti dell’accademia delle Scienze di Bologna», classe in Scienze morali, Rendiconti, LXIV, 1975-1976, pp. 67-85 (come opportunamente osserva R. Trovato, Un ignoto spettacolo bolognese del 1543, «Studi e problemi di critica testuale», 1989, 38, p. 112).

[4] Sulla prassi della «drammaturgia a più mani»: Drammaturgia a più mani, «Drammaturgia», 1994, 1 (in partic. cfr. S. Ferrone, Scrivere per lo spettacolo, ivi, pp. 7-22).

[5] Civico museo bibliografico musicale di Bologna (d’ora in avanti CMBM), La Mascara, overo della fabrica de’ Teatri et dello apparato delle scene tragisatiricomiche. Dialogo del M. Illustre Cavaliere Hercole Bottrigaro, 1598, ms., cod. 47 b 45, c. 315. Mio il corsivo.

[6] Cfr. Biblioteca universitaria di Bologna (d’ora in avanti BUB), La Mascara, overo della fabrica de’ Teatri et dello apparato delle scene tragisatiricomiche. Dialogo del M. Illustre Cavaliere Hercole Bottrigaro, 1595, ms., 326 b. III/5; CMBM, La Mascara, cit. (cito da quest’ultimo ms.). Su Bottrigari cfr., oltre al fondamentale E. Bottrigari, Notizie biografiche intorno agli studi e alla vita del Cavaliere Ercole Bottrigari, Bologna, Tipi Sassi e fonderie Amoretti, 1842, la voce stilata da O. Mischiati-A. Cioni, Bottrigari Ercole, in Dizionario Biografico degli italiani, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1971, vol. XIII, pp. 491-495 (cui rimando per ulteriori referenze bibliografiche). Più specificatamente sul trattato: Calore, Spettacoli teatrali a Bologna nel Cinquecento, cit., pp. 67-85; M.C. Giuliani, La Mascara di Hercole Bottrigari, «Bollettino del Centro internazionale di studi d’architettura Andrea Palladio», XXIV, 1982-1987, pp. 85-102 (dà notizia di aver trascritto nella propria tesi di laurea il ms. del CMBM: cfr. ivi, p. 100n. Purtroppo non ho potuto visionare la dissertazione); Id., La Mascara’ di Hercole Bottrigari: dibattito teorico e nuove proposte per il teatro del ’500 in un trattato inedito di prospettiva scenica (I), «Antichità viva», XXIV, 1985, 4, pp. 26-33; Id., La Mascara’ di Hercole Bottrigari: dibattito teorico e nuove proposte per il teatro del ’500 in un trattato inedito di prospettiva scenica (II), ivi, XXV, 1986, 2-3, pp. 60-66; G. Ricchelli, L’orizzonte della scena nei teatri. Storia e metodi del progetto scenico dai trattati del Cinquecento ad Adolphe Appia, Milano, Hoepli, 2004, pp. 39-46.

[7] Cfr. Calore, Spettacoli teatrali a Bologna nel Cinquecento, cit., pp. 71, 73, 77, 79. Non abbiamo notizie di un sodalizio con tal nome attivo a Bologna all’inizio degli anni Quaranta del Cinquecento e i documenti in nostro possesso, come vedremo, confermano che si tratta proprio degli Affumati. L’unica accademia felsinea degli Affamati su cui ho trovato notizia è segnalata in un manoscritto veneziano di Domenico Gisberti, è attestata agli inizi del Seicento e niente sappiamo della sua attività. Cfr. Biblioteca Marciana di Venezia (d’ora in avanti BMV), Delle Academie di Domenico Gisberti, sec. XVII, ms., Mss. it. X 95 (6565), c. 4, poi ampiamente ripreso: Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna (d’ora in avanti BCAB), Documenti e notizie riguardanti le accademie scientifiche e letterarie di Bologna, raccolte da Francesco Tognetti, sec. XVIII, ms., B. 3942, fasc. I, c. n.n.; Gli scrittori d'Italia cioè Notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani del conte Giammaria Mazzucchelli bresciano, Brescia, Giambatista Bossini, 1753, vol. I, p. 166; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna, San Tommaso d’Aquino, 1781, vol. I, p. 4  (rist. anast. Bologna, Forni, sd.); M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, con prefaz. di L. Rava, Bologna, Cappelli, 1926, vol. I, p. 70 (rist. anast. Bologna, Forni, s.d.). 

[8] Cfr. Trovato, Un ignoto spettacolo bolognese del 1543, cit., pp. 110-13 e si veda quanto osserveremo nelle prossime pagine.

[9] E nota grazie a due copie settecentesche conservate a Bologna, rispettivamente alla Biblioteca comunale dell’Archiginnasio e alla Biblioteca universitaria: cfr. BCAB, M. Pasi, Cronaca di Bologna, sec. XVII, ms., Gozz. 152, c. 55 (doc. 2). Da tale copia la mia trascrizione. BUB, Id., Cronaca di Bologna, sec. XVII, ms., 3841. Il passo di nostro interesse fu pubblicato da Trovato, Un ignoto spettacolo bolognese del 1543, cit., p. 108 (con utile commento ivi, pp. 109-13).

[10] L’ipotesi di identificare la commedia di Odoni con I confessori (conservata manoscritta in un codice della Biblioteca Riccardiana di Firenze) fu avanzata da Roberto Trovato nella prima edizione del testo da lui curata (1984) e trova ora un’inedita conferma nel prologo della Fante di Baroncini. Cfr. Biblioteca Riccardiana di Firenze (d’ora in avanti BRF), I confessori, comedia di Messer Cesare Odoni, sec. XVI, ms., Ricc. 2970/4; La fante. Comedia di M. Baroncino da Lucca, Bologna, Bottrigari, 1547, p. n.n.; R. Trovato, ‘I confessori’ di Cesare Odoni. Introduzione alla lettura, nota al testo, edizione critica, glossario, in Studi sulla commedia letteraria del Rinascimento in Italia e in Francia (con una commedia inedita), a cura di R. T. e L. Petroni, «Quaderni di filologia romanza della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna», 1984, 3, pp. 1-107, in part. 18-20; Teatro comico del Cinquecento, a cura di S. Termanini e R. Trovato, Torino, UTET, 2005, p. 69n.; Vallieri, «E spe in spem», cit., pp. 129-30.

[11] Per un approfondimento, anche bibliografico, sulle due accademie bolognesi degli Affumati e dei Sonnacchiosi e sulla serie di spettacoli che i due sodalizi realizzarono congiuntamente nel 1543 rimando alla mia dissertazione (cfr. ivi, pp. 61-115).

[12] Cfr. Trovato, ‘I confessori’ di Cesare Odoni, cit., p. 20n.; Id., Un ignoto spettacolo bolognese del 1543, cit., p. 113 e nota.

[13] Il contratto prevedeva che fosse «ogni cosa compita la seconda domenica della quadragesima prossima, a venir di modo che si possa far la comedia» (Contratto tra Prospero Fontana e l’accademia degli Affumati, cit., c. sciolta).

[14] Cfr. Trovato, Un ignoto spettacolo bolognese del 1543, cit., p. 113.

[15] Cfr. Pasi, Cronaca di Bologna, cit., c. 55.

[16] Ibid.

[17] Come abbiamo già sottolineato la Cronaca di Pasi è nota grazie a due copie settecentesche. Rivedi qui nota 9.

[18] Cfr. L. Nobili, Il convento di santa Maria dei Servi in Bologna. Sede della Regione Carabinieri Emilia-Romagna, Bologna, Nuova Alfa, 1992.

[19] Sulla cartografia cinquecentesca felsinea: G. Ricci, Bologna (1980), Roma-Bari, Laterza, 19852, in partic. pp. 73-122; La sala Bologna nei palazzi Vaticani. Architettura, cartografia e potere nell’età di Gregorio XIII, a cura di F. Ceccarelli e N. Aksamija, Venezia, Marsilio, 2011. Si vd. anche il catalogo della mostra organizzata nel 2004 dall’Archiginnasio su Bologna nei libri d’arte dei secoli XVI-XIX (consultabile sul sito: http://www.archiginnasio.it/html/pubblicazioni.htm). Da segnalare, infine, il progetto L’immagine della città: le fonti iconografiche del Centro «Gina Fasoli» per la storia delle città in collaborazione con l’Università di Bologna: http://www.centrofasoli.unibo.it/cd_bo/fonti_iconografiche; nonché il database La cartografia storica bolognese – Piante e vedute conservate nella biblioteca dell'Archiginnasio: http://badigit.comune.bologna.it/mappe.

[20] Sulla chiesa e il convento di santa Maria dei Servi in Bologna prima del 1583: Nobili, Il convento di Santa Maria dei Servi, cit., pp. 17-61.

[21] Pasi, Cronaca di Bologna, cit., c. 55.

[22] Cfr. L. Zorzi, Tra Ruzzante e Vitruvio (appunti sul luogo scenico di casa Cornaro), in Alvise Cornaro e il suo tempo, catalogo della mostra a cura di L. Puppi (Padova, 7 settembre-9 novembre 1980), Padova, Comune di Padova, 1980, pp. 94-104, in partic. p. 97.

[23] Cfr. Vallieri, «E spe in spem», cit., pp. 118-21, 161-65.

[24] Si ricordino gli allestimenti della Mandragola e della Calandria. Cfr. L. Zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 298-300; F. Mancini-M.T. Muraro-E. Povoledo, I teatri del Veneto, I/I. Venezia. Teatri effimeri e nobili imprenditori, Venezia, Regione del Veneto-Giunta regionale-Corbo e Fiore, 1995, pp. 34-36; S. Mamone, La ‘Mandragola’ e le scene di città, in La lingua e le lingue di Machiavelli. Atti del convegno internazionale di studi (Torino, Università degli studi, 2-4 dicembre 1999), a cura di A. Pontremoli, Firenze, Olschki, 2001, pp. 187-96, specialmente pp. 189-90. Per la vita spettacolare veneziana cfr. infine R. Guarino, Teatro e mutamenti. Rinascimento e spettacolo a Venezia, Bologna, Il Mulino, 1995.

[25] L’archivio dei Serviti, dislocato dopo le soppressioni napoleoniche presso l’Archivio di stato di Bologna (d’ora in avanti ASB), consiste in 31 registri e 172 buste che impegnano un arco cronologico dal 1106 al 1797 (con gravi lacune). Cfr. ASB, Fondo demaniale: corporazioni religiose soppresse – 1. Bologna, Convento di S. Maria dei Servi, (cartoni dal 14/6105 al 202/6790). Si veda anche P. Branchesi, Indici dei fondi riguardanti l’Ordine dei Servi nell’Archivio di Stato di Bologna, «Studi storici sull’ordine dei Servi di Maria», XXXI, 1981, 1, pp. 91-114; C. Salterini, Inventario di documenti sui Servi di Maria in due buste dell’Archivio di Stato di Bologna, ivi, pp. 115-59.

[26] Cfr. C. Ricci, I teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII. Storia aneddotica, Bologna, Monti, 1888, pp. 283-90, per la sezione sui conventi (rist. anast. Bologna, Forni, 1965). Utili riscontri d’ordine generale offre E.B. Weaver, Convent Theatre in early Modern Italy. Spiritual Fun and learning for Women, Cambridge,  Cambridge University Press, 2002.

[27] Pasi, Cronaca di Bologna, cit., c. 55.

[28] Per la definizione di scena reale-simbolica cfr. Zorzi, Il teatro e la città, cit., passim; Id., Figurazione pittorica e figurazione teatrale, in Storia dell’arte italiana, I. Questioni e metodi, Torino, Einaudi, 1979, pp. 419-63 (ora in Il teatro italiano del Rinascimento, a cura di F. Cruciani e D. Seragnoli, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 101-23).

[29] Cerchia di Girolamo da Carpi, Scenografia prospettica con la piazza di Ferrara, 1550-1553 ca., disegno (ricostruzione sul lucido dell’originale), Ferrara, Biblioteca comunale ariostea, Raccolta iconografica ferrarese, inv. H 5 1, n. 60. Sul disegno si veda Zorzi, Il teatro e la città, cit., pp. 27-29.

[30] Contratto tra Prospero Fontana e l’accademia degli Affumati, cit., c. sciolta. Corsivo mio.

[31] Cfr. almeno R.J. Tuttle, Piazza Maggiore. Studi su Bologna nel Cinquecento, Venezia, Marsilio, 2001 (e relativa bibliografia).

[32] Si riveda la bibliografia fornita a nota 19.

[33] Cfr. S. Mazzoni, Teatri italiani del Cinquecento: Vincenzo Scamozzi architetto-scenografo, in Drammaturgie dello spazio dai greci ai multimedia, a cura di S. M., «Drammaturgia», 2003, 10, pp. 103-40.

[34] Cfr. G. Scocchera, Il programma e l’apparato. Contributi allo studio dell’allestimento della ‘Talanta’, in Antropologia e Transculturalismo. Roma e Venezia nel Rinascimento, «Teatro e storia», X, 1995, 17, pp. 365-402; da integrare con A. Petrioli Tofani, La scena teatrale, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, catalogo della mostra a cura di H. Millon e V. Magnago Lampugnani (Venezia 31 marzo-6 novembre 1994), Milano, Bompiani, 1994, p. 533, scheda n. 167; P. Ventrone, La scena prospettica rinascimentale: genesi e sviluppo, in Storia e storiografia del teatro oggi. Per Fabrizio Cruciani, «Culture teatrali», autunno 2002-primavera 2003, 7/8, p. 146; Giorgio Vasari disegnatore e pittore. “Istudio, diligenza et amorevole fatica”, catalogo della mostra a cura di A. Cecchi, A. Baroni, L. Fornasari (Arezzo, Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea, 3 settembre-11 dicembre 2011), Milano, Skira, 2011, pp. 74-75.

[35] Giorgio Vasari (?), Scena teatrale, 1542 (?), disegno, Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, inv. 291 A.

[36] La convincente attribuzione si deve a Petrioli Tofani (La scena teatrale, cit., p. 533, scheda n. 167).

                               
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