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Cosimo Fossi

Derniers remords avant l’oubli di Jean-Luc Lagarce

Data di pubblicazione su web 17/10/2011
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Nell’opera drammatica lagarciana, Derniers remords avant l’oubli rappresenta un momento di evoluzione ben preciso. Dopo gli anni di sperimentalismo, di riscritture ‘assurdiste’, e di alcune pièces più mature e complesse come Voyage de Madame Knipper vers la Prusse Orientale e Les Serviteurs, questo lavoro del 1987 costituisce per lo scrittore l’ingresso ad una costruzione più ‘classica’ del testo drammaturgico. Si assiste ad un tentativo di abbozzo di una trama, una concezione del luogo unico in senso realista, una casa di campagna, un contesto temporale ben definito dalla didascalia iniziale, che recita “ […] en France, de nos jours, un dimanche, à la campagne […]”, alla creazione di personaggi maggiormente caratterizzati, denominati con nomi propri e lontani dall’idea di figure o attanti delle pièces precedenti. Sempre nella didascalia iniziale, il drammaturgo specifica i rapporti di parentela ed indica l’età di ogni personaggio.

Il primo elemento che indica in Derniers remords avant l’oubli una novità rispetto alle pièces precedenti potrebbe essere individuato semplicemente nella scelta di una concezione tradizionale della mimesis. Di norma i personaggi lagarciani rompono l’illusione scenica nel rapporto con lo spettatore, tramite il ricorso a varie strategie, fra le quali, la presentazione di sé diretta al pubblico, l’enunciazione che alterna la prima o la terza persona, l’interruzione e la ripresa della linearità del discorso o della narrazione, lo svelamento in chiave postmoderna delle strutture narrative degli stessi elementi che compongono il testo drammatico. Lagarce ha abituato il proprio lettore-spettatore a mettere in scena personaggi-attori che recitano il ruolo loro assegnato, rivelando sempre al pubblico di essere degli interpreti a teatro. In Derniers remords avant l’oubli questo non avviene : assistiamo alla coincidenza totale tra attore e ruolo.

Il plot potrebbe riassumersi come segue : un trio di amici di lunga data, due uomini e una donna, Pierre, Paul e Hélène, decidono di ritrovarsi nella casa in cui hanno vissuto insieme alcuni anni prima, e dove adesso abita, da solo, Pierre. Gli altri due si presentano con i rispettivi coniugi, Anne e Antoine. Quest’ultimo e Hélène arrivano con la figlia diciassettenne, Lise. Il motivo dell’incontro, come si chiarisce durante il corso dell’azione, sarebbe quello di fare il punto della situazione sulla proprietà che i tre amici dividono. Hélène ne propone la vendita per un presunto bisogno economico, successivamente smentito da lei stessa. La faccenda della proprietà si rivela in fondo solo un pretesto per rivedersi, fare un bilancio delle proprie vite. La pièce termina con la constatazione amara delle illusioni fallite e del sentimento di repulsione che domina ormai i loro rapporti.

Se il contenuto della trama, come ho tentato di riferire, rinvia ad un contesto temporale e spaziale ben preciso, il bellissimo titolo della pièce riconduce la visione del testo ad una dimensione, a mio avviso, universale e poetica. L’azione, che vede i protagonisti fare i conti con il proprio passato, scoprirsi cambiati durante gli anni, incapaci di amarsi e di comunicare come un tempo, potrebbe svolgersi in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca.

Come da prassi in Lagarce, l’elemento fondamentale della costruzione drammaturgica è il linguaggio. L’autore non svela niente dei fatti che i tre hanno vissuto insieme in passato, né chiarisce in modo evidente ed esaustivo le motivazioni e le dinamiche che esistono tra di loro. Qualsivoglia spiegazione rimane oscura e di fatto impossibile, nonostante i tentativi dei personaggi di parlarsi, di cercare una comunicazione, che non avviene mai. In realtà essi sembrano non avere intenzione di cercare un chiarimento, mettendo semplicemente in scena le loro relazioni irrisolte, nascoste dentro uno scontro verbale che di fatto non esprime niente né fa mutare le loro posizioni. Accanto ad una caratterizzazione più verosimile, o semplicemente più concreta, i personaggi lagarciani esistono solo nelle parole che pronunciano, soggetti parlanti ma incapaci di comunicazione e comprensione autentiche.

Dal punto di vista psicologico, l’elemento linguistico del testo appare come la punta dell’iceberg in superficie di tutta una materia rimossa (in termini psicanalitici), pronta ad esplodere, ma che di fatto rimane nascosta, o che si presenta solo per frammenti e tracce. In un passaggio del suo diario, Lagarce afferma : “Travail encore sur Derniers remords avant l’oubli. Il faudra bien admettre un jour mon incapacité à dépasser le superficiel”[1].

L’elemento autobiografico è un aspetto evidente e forte nell’opera lagarciana, basti pensare alla rappresentazione dei rapporti familiari e amorosi in pièces come Juste la fin du monde e Le Pays lointain. Il tema del triangolo amoroso, che ha legato in passato Pierre, Paul e Hélène, è presente anche nelle due versioni di Histoire d’amour. A fianco dell’esperienza autobiografica, il modello letterario di riferimento appare essere il romanzo del 1953, Jules et Jim, di Henri-Pierre Roché.

Il tema del ritorno del rimosso è fondamentale in Histoire d’amour (derniers chapitres) del 1991 e in una pièce precedente come Les Serviteurs del 1981. In tali testi, la materia tematica si lega ad un’estetica della rappresentazione metateatrale, in cui i personaggi mettono in scena e recitano loro stessi la materia e la storia che hanno già vissuto e tentano ossessivamente di rivivere attraverso la finzione della messa in scena, secondo una recita del “jouer à ‘avant’”. In Les Serviteurs soprattutto, troviamo un senso del teatro come rito e cerimonia. In Derniers remords avant l’oubli, l’estetica della rappresentazione, come detto, è più tradizionale, senza giochi metateatrali. Tuttavia vi ritroviamo gli stessi temi, ma affrontati e risolti in modo diverso, legati alla memoria, al ricordo, al ritorno del e al passato.

Il personaggio di Pierre fa pensare ad una sorta di doppio dell’autore per i riferimenti ai suoi tentativi letterari, alla scrittura di poesie, alla professione di insegnante di lettere : “[…] C’est moi qui a écrit des livres, un ou deux, la poésie […]”[2]. E ancora : “Je renonçai à l’écriture prétentieuse de petits poèmes adolescents pour devenir, il était temps, professeur, enseignant auxiliaire dans le secondaire […]”[3].

Dal punto della vista della struttura della pièce, se Lagarce non rinuncia ai suoi famosi monologhi, questi vengono utilizzati in senso più ‘classico’, ovvero con l’intento di far conoscere meglio i personaggi al pubblico : è il caso soprattutto di Antoine, Anne e Lise, i quali vivono essi stessi più da spettatori che da protagonisti l’azione principale dominata dai conflitti tra Pierre, Paul e Hélène. I monologhi di questi ultimi partecipano, in fondo, all’idea di comunicazione impossibile che li caratterizza. Essi risultano come delle isole, delle monadi impenetrabili l’una all’altra, inattaccabili e immutabili nelle loro posizioni.

Essendoci nella pièce una trama, seppur esile, da portare avanti, si evince un’idea di continuità e linearità del dialogo, e più in generale del discorso, per lo più assente nell’opera lagarciana precedente. Questo è un altro segno di una ‘classicità ritrovata’ nella costruzione del testo drammatico.

L’aspetto fondamentale del linguaggio e della scrittura in Derniers remords avant l’oubli, che rimanda ad un’estetica della parola teatrale del drammaturgo sfruttata in molte altre sue pièces, si basa sulla nozione di ripetizione-variazione-correzione. I personaggi non cessano di ripetere alcune parole, di proporre dei sinonimi, di cambiare il tempo verbale della frase, di cercare insomma le parole giuste per esprimersi. In questo essi mostrano la volontà di trovare un modo per comunicare e parlarsi. Ma il linguaggio è per sua natura pieno di falle, di buchi neri. Il linguaggio possiede l’uomo, e non è l’uomo a usufruirne a suo piacimento, come ci hanno insegnato la linguistica di Saussure e la psicanalisi di Lacan. I protagonisti di Lagarce non sono in mala fede, ma sono semplicemente prigionieri e vittime del dominio su di essi del linguaggio. Il ricorso, all’interno del testo, a parentesi che funzionano come degli incisi, delle pause autoriflessive in cui il personaggio si interroga sull’efficacia del suo discorso, concorre a questa idea di ricerca del termine più appropriato da utilizzare.

Numerosi ne sono gli esempi, come questo estratto da un monologo di Pierre :

Pierre    […] C’est vous, toi, elle (si je me trompe, vous m’arrêtez), c’est vous deux qui souhaitiez, qui avez souhaité, expressément, cela ne pouvait pas attendre, ce dimanche-ci, tout le monde, vos familles, immédiatement, c’est vous qui souhaitiez qu’on se voie, qu’on se parle, qu’on se revoie et que nous réglions nos affaires, l’argent, mettre tout cela à jour, cette maison, cet endroit, la part de chacun. Je ne me trompe pas. Je me trompe ? [4].

E ancora : “Ne commence pas à dire que je fais des histories, je suis peut-être, bien au contraire, je suis peut-être la personne, l’homme, la personne exactement, je suis certainement la personne qui fait (qui fasse ?), qui fait le moins d’histoires”[5].

Tale lingua sembra ricercare un compromesso tra lingua parlata e scritta, tra oralità quotidiana e scrittura poetica, producendo l’effetto di un particolare connubio tra la spontaneità dell’orale e l’artificialità della scrittura, che alla momento della rappresentazione sulla scena risulta però efficace e convincente. Come del resto afferma Pierre Larthomas, “la complexité du langage dramatique tient au fait qu’il est un compromis entre deux langages dont certains caractères sont, dans une grande mesure, opposés. Écrire un bon langage dramatique, c’est unir les contraires”[6].

Il procedere per ripetizioni, per pause ed esitazioni, per brevi segmenti che interrompono, prolungano e approfondiscono il discorso, l’uso stesso della punteggiatura, partecipano alla creazione di un ritmo all’interno della frase e offrono l’idea della presenza di motivi musicali che ritornano e danno respiro al movimento di insieme della partitura. Questo modo di procedere della scrittura lagarciana rivela al proprio interno una costruzione che oltre ad essere musicale, risulta in un certo qual modo un gioco metateatrale.

Georges Zaragoza afferma che il linguaggio di Lagarce corrisponde al principio espresso da Larthomas di “un langage comme surpris”, ovvero di “un langage représenté” e “en représentation”. Egli afferma che “cette apparente banalité est le fait d’un art consommé dont la qualité essentielle est peut-être de se faire oublier”[7].

E specifica in modo assai pertinente, confermando quanto da me affermato : “La parole du personnage lagarcien semble hésitante, elle semble se découvrir, se constituer à mesure qu’elle se produit, en permanente gestation […]”[8].

Il ritmo della frase è anche determinato dall’uso fondamentale che nella pièce viene fatto dei pronomi personali e più in generale dei deittici. Ne è un esempio questa replica di Hélène, nella quale mi pare interessante far notare la correzione della concordanza al femminile del passato prossimo :

Hélène    […] Je lui expliquais seulement pourquoi je m’étais permi – permise ? – cette expression : taciturne. C’est tout, cela parut l’émouvoir. Tu n’as pas à m’interrompre, tu t’adresses à moi sur un autre ton, tu n’as pas à décider de mes paroles, me signaler ce que j’ai à dire ou ne pas dire. Tu notes ça dans un des petits recoins obscurs de ta tête : nous ne sommes plus rien l’un pour l’autre, toi et moi, rien de rien, plus mariés, tu m’entends ?

Venus là pour régler nos affaires, l’argent, tout ça, tu ne l’oublies pas, tu ne recommences pas…

Toi non plus, tu ne changes pas, pas plus que lui, tu n’évolues pas, c’est l’idée que je cherchais, c’est cela, parfaitement, tu n’évolues pas[9].

L’impiego del deittico si iscrive a pieno titolo come elemento di base nella creazione di un senso di teatralità all’interno della scrittura. Il deittico rinvia infatti alla gestualità dell’attore, ad un’azione, ad un movimento che sarà completato sulla scena. Esso può anche semplicemente costringere l’interprete a tener conto della presenza di un antagonista sul palco, contribuendo, se è il caso, a creare la tensione o il conflitto. Ne è un esempio questa battuta di Lise nella prima sequenza della pièce, dove di fatto essa si presenta agli altri personaggi, ma anche al pubblico : “Je suis leur fille, la seconde fille, leur fille, eux deux là”[10].

 Nell’extrait scelto, si fa riferimento all’aggettivo “taciturne” con cui viene descritto Pierre. Su tale attributo nasce una disquisizione che ha l’effetto di ripercuotersi sulla tensione drammatica tra i personaggi. Questo momento della pièce ha un tratto comune con quella del 1982 di Natalie Sarraute, Pour un oui ou pour un non.

Nella sequenza iniziale e in quella finale, si riscontra l’uso particolare di atti linguistici, legati alle espressioni di cortesia e della presentazione, che oltre a creare un effetto di comicità, forse esprime anche l’imbarazzo ed infine il malessere dei personaggi :

Pierre   Je suis content. Tu vas bien ? Vous allez bien ? Est-ce que vous allez bien ?

 

[…]

 

Hélène   C’est Antoine, lui, là, Antoine. Il est mon mari.

 

[…]

 

Paul   Ah, oui, excusez-moi, je vous demande pardon.

 

[…]

 

Paul   Paul. Enchanté.

 

[…]

 

Pierre   Ah, oui, enchanté, c’est ce que tu as dit ? Enchanté, Pierre. […][11].

 

[…]

 

Antoine   Eh bien, je vous dis au revoir et j’ai été très heureux de vous rencontrer, faire votre connaissance…

 

Anne   Ah oui ? Excusez-moi. Au revoir. […]

 

Antoine   Eh bien, je vous dis au revoir et j’ai été très heureux de vous rencontrer, faire votre connaissance.

 

Pierre   Oui. Moi aussi. […]

 

Lise   Au revoir, au revoir, au revoir, au revoir et au revoir[12].

Riguardo la presenza del comico nella pièce, il critico Peter Vantine individua proprio nelle scene dei saluti e delle presentazioni la sede di una comicità che può essere resa soltanto sul palcoscenico dai gesti dagli attori. Egli parla in questo caso di un comico definito ‘‘visivo’’ e ‘‘fisico’’ : “[…] le comique physique et visuel est largement dépendant de la mise en scène […] un metteur en scène peut choisir ou non d’incorporer des éléments de comédie physique au moment des présentations et des «au revoir», qui sont toujours assez longs, compliqués, et répétitifs”[13]. Allo stesso tempo tale forma di comico può essere definita come sociale, poichè il pubblico ride di un imbarazzo legato ad un rituale mondano in cui si riconosce. Nell’ultima sequenza, Antoine, che vorrebbe essere cortese ed educato, in realtà si rende ridicolo. Lise, che viene costretta a salutare gli adulti, ripete meccanicamente la forma di saluto del padre, creando un effetto comico di parodia.

Un altro tipo di comicità, legata oltre che alla pièce, all’intera opera lagarciana, è quella che Peter Vantine definisce comico verbale orientato su se stesso, dove “le langage est plus qu’un vehicule pour une idée ou un sentiment comique ; le langage est, du moins, en grande partie, la chose même dont on rit.”[14] Egli individua un effetto comico proprio in uno dei tratti stilistici più riconoscibili della scrittura lagarciana, nella correzione, ovvero nella figura retorica della epanorthose. Nella battuta in cui Pierre esita tra il modo verbale all’indicativo o al congiuntivo, “je suis certainement la personne qui fait (qui fasse ?), qui fait le moins d’histoire”[15], il critico afferma che Lagarce inserisce “un instant d’humour dans un dialogue autrement sérieux”[16].

Si trova, a mio avviso, anche un tipo di comico grossier ad esempio nell’espressione “Ta gueule !”[17] che Hélène rivolge ad Antoine, così come una più canonica idea di comico verbale si trova nella domanda di Pierre rivolta a Paul, il quale ha appena finito di parlare con Antoine, venditore di macchine : “Il a voulu te vendre une voiture d’occasion ?”[18].

 

Derniers remords avant l’oubli è costituita da 25 sequenze (non numerate nel testo), il cui découpage è evidenziato dal segno (…), un marchio costante nella scrittura di Lagarce. Tale segno risulta essenziale nell’indicare lo scorrere di un lasso di tempo tra ogni sequenza, secondo un’idea di montaggio cinematografico. La temporalità è un elemento trattato in modo piuttosto complesso dal drammaturgo in altre pièces. Derniers remords avant l’oubli è di fatto concepita secondo norme aristoteliche : unità di azione e spazio, linearità cronologica, contenuta entro le ventiquattro ore.

Altri temi fondamentali nel testo sono quello dello illusioni perdute, esistenziali e politiche, e dello sguardo tra generazioni. Si comprende che Pierre, Paul e Hélène hanno condiviso ideali politici di sinistra, il sogno della comunità e della solidarietà (la mentalità del ’68), che hanno inseguito ambizioni intellettuali e artistiche ; al contempo, è facile intuire che tutte le loro aspirazioni sono sfumate. Ed è certamente la perdita e il fallimento delle illusioni e delle aspirazioni, un tempo condivise, che conduce i personaggi ad odiarsi nel finale della pièce.

Ciò che li riunisce a distanza di anni è una volgare questione di soldi. Mi sembra di poter affermare che ognuno, in fondo, riflette all’altro un’immagine di sé che non è sopportabile : essi sono incapaci di vedersi ed accettarsi per come sono diventati. Pierre, che vive solo nella casa di campagna dal tetto sfondato, è diventato un insegnante di lettere alle scuole medie. Hélène è sposata con Antoine, un venditore di automobili, uomo semplice e incolto. Anche Anne viene ferita dal sarcasmo di Pierre, sarcasmo che sottintende la sua ignoranza e stupidità. Un esempio di tali tensioni sono queste due repliche :

Pierre   L’éternel questionnement métaphysique de la ménagère montant ses marches d’escalier… 

Anne   Je vous demande pardon ?

Ah, oui. Vous trouvez cela drôle.

Vous me trouvez certainement stupide et pas très cultivée, et incapable encore de mettre trois mots l’un devant l’autre…

Vous, qu’est-ce que vous êtes devenu ? Tout ça, vos belles phrases, «le bel esprit», qu’est-ce que vous êtes devenu ? Avec toujours votre incessante et ridicule et petite – tellement petite – toute petite ironie impuissante ! […][19].

Il personaggio di Lise, la figlia diciassettenne di Hélène e Antoine, rappresenta lo sguardo di una generazione su quella precedente. Ognuno degli adulti ha almeno una sequenza da solo con Lise ; è come se cercasse un momento di intimità con la ragazza e al contempo volesse ingraziarsi la buona opinione di lei, nel tentativo di evitare un giudizio critico. È Lise, in un monologo che costituisce un’intera sequenza, circa a metà della pièce, ad offrire una visione lucida ed efficace, non priva di ironia, che sintetizza il percorso di vita degli adulti :

Lise   Ils ont un peu tout fait : ils sont assez représentatifs, famille de la bourgeoisie naissante provinciale et commerçante, Poitiers, Dijon, Rouen, le triangle terrible, études larvaires, revendications diverses postadolescentes, montée vers la capitale, tentatives artistiques, littérature allemande et cinéma quart-monde, revendications multiples préadultes, fuite de la capitale, descente, l’air-pur, «la vraie vie», alternatives artisanales, mauve et rose tyrien, le bonheur, le paradis, cette maison-ci, puis éclatement encore, chacun pour soi, naissance de la première jolie fillette, abandon définitif du doux temps de la jeunesse, bibliothèque payable à tempérament, table rase, avocat-crevette, rétrospective Antonioni sur les lieux mêmes du crime[20].

 

La trama di Derniers remords avant l’oubli fa pensare anche a Il Giardino dei ciliegi di Cechov per la coincidenza della proprietà da vendere, per i temi della giovinezza e degli ideali perduti, per un’atmosfera poetica di fondo. La capacità del linguaggio lagarciano se altrove ha una grande forza nella creazione di immagini qui si trova più che mai in bilico tra la ricerca di una lingua orale, parlata, e una costruzione poetica. Nel testo teorico giovanile, Théâtre et Pouvoir en Occident, Lagarce affermava che l’originalità rappresentata dal teatro cechoviano era stata quella di ridurre al limite l’azione drammatica per dar vita ad un’atmosfera. Al pari della pièce di Cechov, Derniers remords avant l’oubli può esser letta su vari livelli di tono e di genere. Celebre è il diverbio tra l’autore russo e Stanislavski, affinchè il regista non facesse prevalere troppo l’aspetto malinconico e serio, di quella che il drammaturgo considerava una commedia e non un dramma.

Nell’aprile 2011 ho potuto assistere a Parigi a due interpretazioni assai diverse, se non opposte, di Derniers remords avant l’oubli, a prova dei differenti toni e livelli di lettura che possono trovarsi nel testo lagarciano. Nella prima messa in scena ad opera di Serge Lipszyc[21], gli spettatori erano accolti e si sedevano su delle sedie con dei tavolini, in un foyer dalla forma più o meno circolare che era il luogo stesso della rappresentazione. Gli attori si trovavano a muoversi in uno spazio, privo di rapporto ‘all’italiana’, a pochi centimetri dal pubblico. Lo spettacolo era dunque concepito senza una scenografia creata ad hoc ed utilizzava il solo spazio offerto dal foyer come luogo della rappresentazione.

Vi si trovavano: un camino sulla parete di sinistra, dove per lo più interagivano gli attori, un bar dalla parte opposta, dove prima dello spettacolo il pubblico poteva bere un bicchiere di vino, in alto un grande lampadario che illuminava la sala, al suolo della moquette. Il pubblico scendeva un’elegante scala per accedere al luogo della rappresentazione. Il piano intermedio, che si affacciava sul foyer, veniva anch’esso utilizzato dagli attori durante alcune scene. Questi, durante lo spettacolo, bevevano del vino bianco, servendosi da alcune brocche e bicchieri posti su un tavolino vicino alla parete sinistra. La sala era costantemente illuminata.

Una delle idee più riuscite della messa in scena, a mio avviso, è stata quella di dotare la ragazza, Lise di una macchina fotografica. In alcuni momenti dello spettacolo, lo scatto di una foto immortalava, quasi paralizzandoli per un istante, gli altri personaggi. Questa trovata rendeva in modo efficace l’idea dello sguardo della giovane sul mondo degli adulti e su un’intera generazione.

La recitazione degli attori si è avvalsa di un ritmo serrato, brillante, costantemente alla ricerca di una tensione tra i personaggi. Il risultato di una tale scelta ha prodotto uno spettacolo che dava l’impressione di una leggerezza, di un brio e di una brillantezza da vaudeville. Labiche e Feydeau non a caso sono due drammaturghi di cui Lagarce ha messo in scena rispettivamente La cagnotte e On purge bébé !.

 

Il programma di sala, che presenta lo spettacolo, riporta alcune note di regia. Vi si legge : “Une pièce drôle, une écriture ciselée et un thème universel. […] Une proposition vagabonde, c’est une manière directe, conviviale et ludique de découvrir l’écriture de Jean-Luc Lagarce. Une envie de simplicité extrême, de partage avec le public”. Infine lo stesso regista afferma: “Après avoir côtoyé les œuvres de Tchekhov pendant plusieurs saisons, je souhaite poursuivre un travail sur le texte, la langue et la direction d’acteurs avec une pièce de Jean-Luc Lagarce en allant à l’essentiel : un jeu direct sans affect, à fleur de peau, qui se noie dans le réel, une histoire où l’enchevêtrement des scènes et leur fluidité facilite le mouvement de la vie”.

 

La pièce è recitata alle sette di sera, dopo che la stessa compagnia ha presentato anche Arlequin, serviteur de deux maîtres di Goldoni e Le Misanthrope di Molière. A proposito del grande autore seicentesco, Lypszyc stabilisce una relazione fra il suo linguaggio drammatico e quello di Lagarce: “La langue de Jean-Luc Lagarce est redoutable. Dire Lagarce est un exercice aussi périlleux que dire Molière. […] Les mots conduisent à l’émotion. Les mâcher pour s’en imprégner et les restituer dans toute leur substance, voilà ce qui doit nous habiter sans relâche dans cette aventure”.

 

Risulta chiaro che, per Lipszyc, Derniers remords avant l’oubli è essenzialmente una commedia dai toni buffi e leggeri. Il lavoro della compagnia ha inteso innanzitutto trattare il testo in superficie : dire le parole, restituire un ritmo incalzante, piuttosto che approfondire motivazioni e istanze psicologiche. L’intento è stato quello di coinvolgere direttamente e divertire il pubblico. Faccio notare che la compagnia è arrivata a Lagarce, dopo aver lavorato alcuni anni su Cechov.

 

E nel segno del drammaturgo russo può essere vista invece l’interpretazione della compagnia Keops, per la regia di Christian Canot[22]. Mentre Serge Lipzsyc, in un’intervista che mi ha concesso, ha dichiarato che il riferimento a Cechov può risultare una trappola, Canot è andato proprio in questa direzione.

 

In un piccolo teatro con rapporto ‘all’italiana’, la sua regia ha costruito uno spettacolo che ha l’atmosfera, la poeticità quasi di un sogno. Se nella prima interpretazione, il ritmo era calzante, sempre teso nel rendere le relazioni di forza dei protagonisti, nella seconda il pubblico ha assistito ad una sorta di dilatazione del tempo, ad un’insistenza sulla lentezza, sulle pause e sui silenzi. Ciò era reso in modo ancora più evidente dall’utilizzo che è stato proposto di alcune immagini video. Nello scarto tra alcune scene, un video veniva proiettato su un telo di fondo, nel quale i personaggi, a coppie o tutti insieme camminavano in un giardino o in un ambiente campestre, luoghi che restituivano l’esterno della casa. All’inizio della rappresentazione un video mostrava l’arrivo dei personaggi in macchina e il loro ingresso nell’abitazione; dopodiché l’azione proseguiva, o forse è meglio dire, cominciava davvero, sulla scena.

 

Su una scena spoglia, l’oggetto centrale intorno al quale i personaggi si muovevano, era una sedia vuota. Le luci dello spettacolo, diversamente dal primo, erano attenuate, soffuse; il bianco del telo di fondo risultava il colore unico, in contrasto con il buio della sala dove si trovava il pubblico.

 

Questa seconda rappresentazione ha reso personaggi più elaborati, più umani e complessi, autoriflessivi. L’atmosfera dello spettacolo era caratterizzata da un’aura malinconica e dolorosa, ma non pesante, nel rispetto di una certa leggerezza di fondo presente nel testo lagarciano. 


[1] J.-L. Lagarce, Journal 1977-1990, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2007, p. 218.

[2] J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, in Théâtre complet III, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 1999, p. 29.

[3] Ivi, p. 40.

[4] Ivi, p. 13.

[5] Ivi, p. 15.

[6] P. Larthomas, Le langage dramatique, Paris, PUF, 2010, p. 177.

[7] G. Zaragoza, Jean-Luc Lagarce, une langue faite pour le théâtre, in Traduire Lagarce, Colloques Année (…) Lagarce III, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2008, p. 36.

[8] Ibidem.

[9] J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, in Théâtre complet III, cit., p. 20.

[10] Ivi, p. 11.

[11] Ivi, pp. 11-12.

[12] Ivi, pp. 52-53.

[13] P. Vantine, « Riez, riez, vous penserez plus tard ! » : le comique et le métacomique de Jean-Luc Lagarce, in Problématique d’une œuvre, Colloques Anné (…) Lagarce I, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2007, p. 235.

[14] Ivi, p. 242-243.

[15] J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, in Théâtre complet III, cit., p. 15.

[16] P. Vantine, « Riez, riez, vous penserez plus tard ! » : le comique et le métacomique de Jean-Luc Lagarce, in Problématique d’une œuvre, cit., p. 243.

[17] J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, in Théâtre complet III, cit., p. 44.

[18] Ivi, p. 42.

[19] J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, in Théâtre complet III, cit., p. 49.

[20] Ivi, p. 28.

[21] Théâtre du Ranelagh, Compagnie du Matamore. Regia di S. Lipsyc. Distribuzione : B. Cadillon, S. Lipszyc, V. Durin, J. Corre, H. Payet, O. Marsaud.

[22] Théâtre du Proscenium, Compagnie Keops. Regia di C. Canot. Distribuzione : T. Alcidie, T. Brault, C. Richard, G. Pernet in alternanza con B. Richy, M. Vérité, C. Vurpillot.

 

  
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