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di Roberta Carpani

Le feste e il teatro all’Isola Bella: allegrezze familiari e immagine politica della famiglia Borromeo fra Sei e Settecento

Data di pubblicazione su web 22/03/2011

1. Feste di terra, acqua, aria e fuoco. Le allegrezze nuziali all’Isola Bella nel Seicento e gli inizi dell’attività teatrale

 Fra le prime notizie di pratiche cerimoniali e occasioni festive all’Isola Bella, affiorano quelle legate all’ingresso delle spose dei Borromeo nei territori verbanesi.

Nel 1652, in occasione del fidanzamento di Renato Borromeo con Giulia Arese, figlia di Bartolomeo Arese[1], e nel 1663, per l’ingresso nel feudo verbanese della sposa di Antonio Renato Borromeo, la marchesa Elena Visconti[2], sullo specchio del Lago Maggiore si svolsero feste navali. Nel 1652 si trattò di un corteo di venti barche addobbate che, guidate dalla peotta del conte Vitaliano Borromeo, e accompagnate da altre quaranta barche di privati, si recarono a Sesto per accogliere i due protagonisti di un fidanzamento destinato a costituire una delle basi sulle quali sarebbe stata costruita una «consorteria politica» fra le più solide e influenti nello Stato di Milano nel secondo Seicento. Secondo una strategia comunicativa che la famiglia Borromeo replicò e irrobustì venticinque anni dopo, nel 1677, quando il figlio di Renato Borromeo e Giulia Arese, Carlo Borromeo Arese, sposò Giovanna Odescalchi[3], la notizia delle feste navali del 1652 fu pubblicata sulla gazzetta di Milano, il foglio settimanale di avvisi che era stampato nel capoluogo lombardo[4]:  

 

Per il matrimonio poco fa concertato tra il Conte Renato Borromeo et la Contessa Donna Giulia figliuola del Presidente del Magistrato Ordinario Conte Bartolomeo Arese, doppo essersi trattenuti alcuni giorni a Cesano uno de feudi del detto Presidente (per attendere il ritorno del Conte Vitaliano fratello del Conte Renato dal novarese, colà impiegato a commandare quelle militie durante l'assedio di Casale) se ne passarono di là a Sesto alle sponde del Lago Maggiore, dove havendo fatto alto due giorni domenica [10 novembre] circa le 20 hore vi comparve ad incontrarli e ricevergli con una peotta maestosamente adobbata con varie banderole di seta messe a oro con l'imprese della Casa con parecchi remiganti vestiti tutti a livrea di cremesile il medesimo Conte Vitaliano con sua corte vestito anch'egli con ricca e riguardevole galla.

A questa seguivano con bellissimo ordine 20 altre barche guernite pure con banderole piene di gente armata di moschetti et archibugi tutti sottoposti alla giuridittione di Casa Borromeo con concerti di trombe, tamburri et altri suoni, all'arrivo de' quali col seguito di più di 40 altre barche di persone particolari, doppo haver salutato ad un tempo con una strepitosa salva, presero il camino alla volta d'Arrona [sic], fortezza et uno de principali feudi di Casa Borromea, toccandosi in tutto il viaggio le trombe et i tamburri con indecibile allegria.

 

Le feste navali del settembre 1663 sono invece narrate, allo stato attuale delle ricerche, da alcuni documenti epistolari[5]: anche in questo caso, le «dimostrationi del Lago alla Contessa»  probabilmente consistettero in un ingresso processionale con una sfilata di imbarcazioni, allestite dalle comunità del Lago, che accompagnarono il conte Antonio Renato Borromeo e sua moglie da Sesto a Angera e il giorno dopo all’Isola, verosimilmente quella oggi nota come Isola Madre che era allora di proprietà del conte Antonio Renato. A compimento della celebrazione, di sera si aggiunsero altri segni visivi e uditivi: gli spari a salve e l’«espositione de’ lumi»  a Pallanza[6], come narra un corrispondente del Borromeo:

 

Le navi che lo servirono domenica da Sesto ad Angera, lunedì alle 14 hore lo servirno anchora sino all’Isola con un continovo sparo d’archibugi et moschetto di cavalletto. Forastieri sono stati molti, ma non al numero di quello che si credeva.

Il corteggio è stato di pochi cavaglieri e puoche damme. Li Signori Visconti padre, zio e fratello signor conte Federico Visconti, signor conte Belgioioso, signor cavagliere Lampugnani.

Le navi furono con[??]mente licenciate la sera del lunedì; et la signora Contessa sua compì con ogni finezza et amorevolezza con li servitori della nave d’Arona, sopra quale vi erano Suardi et Carrera.

Li Deputati d’Omegna erano molti con il loro signor Podestà che [??] servire al secondo luogo doppo l’aronensi; et fecero molto.

Le navi furono assai riguardevoli, ma non con quelle machine che si diceva. Quella d’Angera è stata la più infima di tutte; non vi è meraviglia sopra un’opera fatta d’ignoranti. Il comandante dell’armata navale era il Capitano Bartoletto quale affaticò molto. Non vi fu notabile confusione; mentre il signor Conte Antonio non sedendo in peotta et essendo al di fori del [??] andava dirrigendo il tutto con suoi ordini.

Pallanza alla sera del lunedì li salutò con molti spari de mortaletti et diede segni d’allegrezza con l’espositione de’ lumi, come mi dicono, alle fenestre di quel Borgo. E’ stata finezza di quel signor Podestà et d’alcuni puochi particolari. Sì che il signor Conte resta vinto di cortesia et ammorevolezza.

 

Gli eventi festivi del 1652 e del 1663 sono due esempi di una pratica cerimoniale, promossa dalla famiglia Borromeo, che, con diverse gradazioni di intensità e complessità, risulta ricorrente sullo specchio del Lago Maggiore per celebrare l’ingresso delle spose dei componenti della famiglia nel feudo lacustre o per festeggiare l’arrivo di importanti visitatori: la processione di imbarcazioni addobbate sullo specchio d’acqua, amplificata dagli eventuali segni sonori degli spari a salve e degli strumenti musicali come i tamburi e le trombe e sottolineata dai segni visivi delle luci. La già citata tappa delle celebrazioni nuziali del 1677, per il fasto e la magnificenza documentati dalle fonti scritte e iconografiche, costituisce uno dei momenti di spicco delle pratiche spettacolari dei Borromeo nel XVII secolo. Nel 1677, per le nozze Borromeo Arese- Odescalchi, le feste di lago mostrarono una articolazione molto più raffinata anche sul piano della elaborazione retorica dei segni visivi, in particolare con l’allestimento di barche «guernite di richi e vaghi ornamenti trionfali»  cioè specificamente concepite come macchine teatrali in movimento, arricchite di statue e costruzioni effimere di carattere simbolico[7]. La natura teatrale e retorica di tali imbarcazioni trionfali è confermata indirettamente dalla notizia che Carlo Borromeo Arese tentò di ottenere che la loro «invenzione»  fosse affidata al gesuita Giovan Battista Barella o a Carlo Maria Maggi, intellettuali molto vicini alla famiglia Borromeo, esperti – fra l’altro – di apparati festivi e cerimoniali, che avevano anche collaborato all’ideazione della pompa funebre celebrata in memoria di Filippo IV nel 1665 nel Duomo di Milano. Da una Relatione delle feste sappiamo che due barche, fabbricate su committenza del duca Antonio Renato Borromeo, furono elaborate l’una in forma zoomorfa, l’altra a foggia di carro:

 

Una havendo nella prora un gran dragone, che legando amendue li di lei fianchi con due longhe code sembrava da lui tirrata: nella poppa alzava un alto e bellissimo soglio con al di sopra una gran conchiglia inargentata abbrancata da un leone che s’aggrappava dietro la stessa poppa: nel mezzo haveva rizzato un albero, al cui tronco s’attorcigliava un serpente che giungendo sino alla cima sporgeva il capo fuori dalla mappa de’ rami. L’altra che era in forma di carro e superava di bellezza la prima haveva due ruote al di sotto della poppa e sembrava tirrato da un grosso cavallo marino con due leoni per lato e rivolti al corpo della nave: vicino alla poppa si rizzava una statua d’un soldato armato con una picca in mano, e dietro a lui assai più alte le collone d’Ercole sostenenti il triregno. Ne’ fianchi era compartita a conchiglie inframezzate da finti sprazzi dell’onde con ordine sì ben inteso che nulla più vi si poteva aggiongere: gl’altri ornamenti e le balaustrate erano eguali in tutte due; ma non così della soldatesca, perché nell’ultima haveva ciaschun soldato banda, capello, pennacchiera, fettuccia tutti uniformi; et rematori in più numero per essere la mole più vasta e di conseguenza più grave.

 

Due altre imbarcazioni furono realizzate con una forma singolare[8]:

una fabricata in forma di castello con quatro torri nelli angoli, et una più alta nel mezzo, sopra la cui cima suonava un tamburino, e nel piano sotto delle cortine stava disposta buona quantità di mortaletti, che alternando a vicenda lo sparo con moschettieri facevano quasi un continuato rimbombo. L’altra fu una consistente tutta in un cavallo marino nel di cui corpo stava nascosta la soldatesca; dal petto di esso cavallo sentivasi di quando in quando scaricare un gran moschetto, et da lati a guisa d’ali gl’uscivano i remi, che il conducevano.

 

Dunque la processione lacuale ebbe una spiccata valenza teatrale, nella evidenza di alcuni simboli

raffigurati sulle imbarcazioni come la presenza dell’albero biblico della vita, il simbolo delle colonne d’Ercole associato alla monarchia spagnola, il triregno papale: un evidente omaggio della famiglia Borromeo al re madrileno e al Papa Odescalchi, zio della sposa di Carlo Borromeo Arese. I festeggiamenti in onore di Giovanna Odescalchi proseguirono con spari a salve, fuochi artificiali, il canto del Te Deum, un combattimento di uomini che avevano altri fuochi nelle armature ad Arona, e altre feste all’Isola Bella. Infine, Vitaliano Borromeo, zio dello sposo e «direttore»  della festa, oltre che anima dei luoghi verbanesi, fece recitare un’opera in musica nel Teatro delle commedie dell’Isola Bella in onore dei due coniugi. L’integrazione dello spettacolo teatrale nel contesto festivo era un passaggio scontato negli anni Settanta, quando, ormai da più di un decennio, il conte Vitaliano promuoveva rappresentazioni teatrali nella sua residenza di villeggiatura. Si può anzi dire che, all’altezza del 1677, per l’arrivo di ospiti l’allestimento di uno spettacolo operistico fosse considerato un fatto scontato, come si evince da una lettera con cui l’ambasciatore mediceo a Milano tracciava un resoconto della visita di Monsignor Airoldi alle Isole Borromee, avvenuta il 21 ottobre di quell’anno[9]:

 

Come reverentemente accennai con le passate a Vostra Signoria Illustrissima, andai servendo giovedì della caduta settimana monsignor Nunzio Airoldi sino all’Isole Borromee sul Lago Maggiore in occasione che per ordine di Roma si portò egli a complimentare quei signori prima di tornarsene a Venezia alla sua Residenza; e se bene ci partimmo da Milano alle quattordici ore, arrivammo però per tempo la sera all’Isola con la diligenza de cavalli di rilasso e della peotta che trovammo prevenuta a Sesto, sino a dove quei signori mandorno a ricevere et a complimentare il Prelato col mezzo del signor Capitano Cuchetti a nome del signor Conte Carlo e del signor Abbate Pensa per parte del signor Conte Vitaliano: la peotta era ben guarnita con due trombetti, e con molti stendardi, nel maggiore de quali allumati d’oro spiccavano l’arme del Papa con quella del Re di Spagna; et in altre la Borromea portava inquartata anche quella di Sua Santità. Un’altra barca si trovò pur prevenuta per la servitù , se bene monsignore non haveva seco che un cameriere e un lacché, essendosi servito d’un piccolo calessino per andarvi più speditamente e con meno imbarazzo. Arrivati all’Isola lo riceverno li predetti signori all’uscir della peotta, e data una girata per i viali e teatri lo condussero al palazzo, e doppo breve trattenimento di musica fu introdotto a riverire la signora Donna Giovanna con la quale passato il complimento si trattenne quasi mezz’ora e l [margine stretto nella rilegatura] ricondusse doppo nella gran galleria divertito con musica e sinfonie. Pensavano darle anche quello d’una commedia in musica, ma considerata l’ora tarda, la stanchezza del prelato e la risoluzione ferma di voler egli ritornarsene la mattina seguente in ogni maniera a Milano per haver quivi lasciato la madre agonizzante, et aggravato da infermità il fratello, se ne astennero consumando il tempo in discorsi durante l’armonia. Fu messa la tavola nella medesima galleria, e le lumiere di cristallo che vi stavano appese in aria erano anche accompagnate con imbandimenti di cristallo sopra la tavola risplendevano alzati in una gran saliera, et in due vasi sostenenti gran rami di fiori tutti di cristallo di monte ben lavorati. Il banchetto fu abbondante e di buone vivande, ma senza superfluità. Mentre si trattenevano il signor Conte Carlo e monsignor predetto a sentir cantare, mi ritirò seco il Conte Vitaliano e mi disse haver desiderato parlarmi per comunicarmi un suo pensiero intorno al negozio di quel cambio consaputo da progettarsi a Spagna […]

 

In questa occasione le accoglienze sull’acqua, i trattenimenti musicali e il banchetto conclusero i segni di allegrezza in onore dell’ospite, ma, come l’espressione di Bondicchi mostra, nell’arco di tre lustri, dal 1663 al 1677 le rappresentazioni teatrali erano diventate una consuetudine attesa e desiderata, un ingrediente costante delle feste borromaiche sul Lago Maggiore.

 

2. «L’Isabella quest’autunno passato è statta veramente tutta allegria e festa.» Tradizioni musicali e pratiche teatrali nel pieno Seicento

La prima rappresentazione teatrale documentata nella residenza dell’Isola Bella risale all’ottobre del 1664[10]. Prima di quella data, le fonti dell’archivio della famiglia Borromeo esplorate fino a questo momento permettono di attestare ampiamente la pratica musicale promossa da Vitaliano Borromeo nella residenza lacustre almeno dal 1659. Una ricostruzione sistematica dell’attività musicale presso i Borromeo, che dovrebbe peraltro incrociare lo studio dei manoscritti del fondo musicale dell’Archivio della famiglia con l’indagine sulle fonti archivistiche, non è obiettivo del presente lavoro. E’, però, opportuno osservare la continuità della pratica musicale voluta dalla famiglia, e in particolare dal conte Vitaliano, attività che precede l’avvio delle rappresentazioni teatrali. Una prima traccia, fra i documenti esplorati, mostra che, nell’aprile del 1659, Vitaliano Borromeo invitò un musicista all’Isola Bella, il sacerdote Giuseppe Rossi detto il Ferrarino, originario di Novara, con un altro cantante soprano[11]. Inoltre sappiamo che, già in quello stesso anno, il conte Borromeo pensava al palazzo dell’Isola Bella come a un luogo di conservazione dove trattenere le memorie di quel che andava promuovendo nell’arte della musica: in una lettera del 20 aprile con cui ringrazia il musicista Francesco Antonio Preti per l’invio di alcune «belle canzoni», una frase cassata indica che «tutto si riporrà nelli archivii della Isola» [12]. L’espressione che ritorna in altri documenti epistolari successivi[13] farebbe pensare alla consapevole costituzione di un nucleo di memorie documentarie.

Se, genericamente, la pratica musicale è un fatto ricordato in modo frequente nei numerosi documenti epistolari che narrano la bellezza dei periodi trascorsi nella residenza dell’Isola Bella[14], è importante osservare che una prova della continuità dell’attività musicale nel palazzo dei Borromeo si ricava dalla citazione di interpreti e musicisti indicati come «musici dell’Isola». La definizione induce, infatti, a ipotizzare una qualche forma di stabilità nella presenza di tali musicisti presso il palazzo lacustre dei Borromeo. E’ il caso di Valentino, probabilmente Giuseppe Valentino, un tenore che in varie occasioni Vitaliano Borromeo raccomandò per diversi incarichi nelle cappelle musicali milanesi e che fu anche interprete di alcune opere nel teatro dell’Isola Bella[15]. E’ il caso del violinista Fontana di Pallanza, scomparso nel 1673, e il cui figlio ricevette aiuto dal Borromeo per ottenere un impiego e proseguire gli studi come violinista[16]. Si tratta anche di Francesco Antonio Carcani che, divenuto novizio fra i Minori Conventuali del convento di S. Francesco a Assisi, nel novembre 1676 ricordava l’Isola e i periodi lì trascorsi per invito del Borromeo e si dichiarava pronto a tornare a servire il conte Vitaliano in quel luogo[17]. Si può continuare con Pietro Antonio Celidone «musico dell’Isola e di valore», che nel 1676 fu richiesto a Vitaliano Borromeo dal residente della corte di Parma, il conte Antonio Rossi, per l’ingaggio come tenore in un’opera a Parma e nel 1680 fu raccomandato dal conte Borromeo a un funzionario della corte di Modena perché cercava di essere inserito fra i musici di quella corte[18]. D’altro canto, i musicisti che composero e interpretarono le opere rappresentate all’Isola Bella sono un piccolo gruppo di figure e alcuni nomi ricorrono da un allestimento all’altro, in modo tale che è possibile rilevare una certa frequenza di rapporto con il Borromeo[19].

Nel corso del 1659, è già stato ricostruito che anche il musicista Carlo Camillo Bramante, inviò alcune composizioni proprie e di altri a Vitaliano Borromeo, e musicò alcune «canzonette»  su testo del medesimo conte Borromeo[20]. Fra le composizioni che Bramante mandò nel settembre del 1659 c’era anche un prologo[21]: è la prima traccia degli interessi teatrali del Borromeo, peraltro non meglio identificabile[22]. Resta da rilevare che il prologo fu forse consegnato da Bramante al poeta Carlo Maria Maggi che lo portò al Borromeo: l’episodio potrebbe fissare una delle prime occasioni in cui Maggi - che sarebbe stato, negli anni seguenti, uno dei protagonisti della vita teatrale all’Isola Bella - si trovò implicato nella circolazione di testi per la scena che avvenne su impulso dei Borromeo e in particolare del conte Vitaliano. Fra i molteplici interessi culturali di Vitaliano Borromeo[23], infatti, il teatro ebbe un posto di primo piano e fu in particolare promosso proprio presso il palazzo dell’Isola Bella.

Possiamo individuare almeno tre articolazioni differenti negli spettacoli che si tennero all’Isola: un primo gruppo di rappresentazioni è costituito da opere in musica su testo di Carlo Maria Maggi, verosimilmente commissionate dal Borromeo o, comunque, originatesi nel contesto dello stretto legame amicale che unì il conte Vitaliano al Segretario del Senato milanese; un secondo gruppo comprende opere in musica provenienti da Roma che furono inviate dall’entourage del cardinale Giberto Borromeo, fratello di Vitaliano, per iniziativa del cardinale o su richiesta dello stesso conte Vitaliano; si può infine identificare un terzo gruppo di opere in musica prodotte nei territori lombardi e piemontesi che, in modi diversi, arrivarono nelle mani del Borromeo, per lo più offerte dagli autori al conte.

Le opere in musica rappresentate all’Isola Bella furono accompagnate, in qualche caso, da intermedi cantati o danzati, ma, nei primi decenni di attività, non abbiamo notizia del fatto che  nel palazzo lacustre fossero realizzati spettacoli di genere diverso dal teatro musicale. I tre raggruppamenti, peraltro, non risultano scanditi rigidamente nel tempo: anche se sono riconoscibili alcuni addensamenti cronologici, le opere di Maggi, le opere romane e le opere di provenienza locale/ territoriale si intersecarono secondo una diacronia legata alle occasioni e alle singole opportunità. D’altro canto, la cronologia degli spettacoli nel palazzo e nei giardini dell’Isola Bella presenta ancora molte incertezze legate ai limiti della documentazione, in prevalenza epistolare, sino ad ora reperita. La prima rappresentazione accertata, nell’autunno del 1664, fu una commedia in musica con prologo e due intermedi di carattere comico e coreografico. Si trattò forse della «commediola in musica»  che era stata spedita da Roma ai primi di settembre del 1664, per la quale Vitaliano Borromeo ringraziò il fratello Giberto. Non è noto il titolo dell’opera: sappiamo che l’«operetta in musica»  fu scelta dal cardinale Giberto per il numero contenuto dei protagonisti in scena («tre soli personaggi»), elemento che avrebbe facilitato la messa in scena nello spazio privato della residenza di villeggiatura; inoltre il conte Vitaliano, committente dello spettacolo, si dedicò all’invenzione degli «intermedii per arrichirla anche de’ personaggi» [24]. E’ importante evidenziare che la spedizione avvenne su richiesta di Vitaliano Borromeo, forse interessato a  conoscere in modo diretto alcune prove della drammaturgia musicale romana tanto celebrata e certamente seguita dal fratello che là risiedeva, ma anche desideroso, forse, di riascoltare alcune composizioni teatrali e musicali alle quali poteva aver assistito in gioventù. L’operetta rappresentata nell’ottobre del 1664 fu nuovamente preparata per essere allestita nell’autunno del 1665, in previsione di una visita del governatore di Milano con la moglie, che però non avvenne[25]. Il 1665 era stato un anno di intenso traffico di materiali drammaturgici e musicali da Roma a Milano. In quell’anno Giberto Borromeo aveva mandato al fratello un’altra opera, Dal male al bene, verosimilmente da identificare con la composizione di Marazzoli e Abbatini su testo di Giulio Rospigliosi[26], la cui partitura risulta tutt’oggi conservata nel fondo musicale dell’Archivio Borromeo. E sempre da Roma, fra il mese di gennaio e il mese di agosto del 1665, era arrivata a Vitaliano Borromeo una cantata o commedia «detta la Zingara»  a tre voci, giudicata adatta a essere rappresentata all’Isola «ove difficilmente si può condurre numero de musici» [27]. In estate  risulta spedita  da Roma anche una «commedia di D. Pasquale in Villa», quindi uno dei molti testi comici secenteschi romani che avevano come protagonista il personaggio di Don Pasquale. Nell’autunno del 1665, inoltre, fu inviata una composizione dal titolo «il giuoco de la Cieca», che era stata utilizzata come intermedio per una tragedia di Seneca fatta rappresentare dal cardinale Barberini negli anni trascorsi da Vitaliano Borromeo a Roma: una composizione in musica che prevedeva l’intervento di dieci ninfe ma che avrebbe potuto facilmente essere rimaneggiata e adattata riducendo da dieci a sei gli interpreti, secondo le indicazioni del medesimo cardinale Giberto Borromeo, utilizzabile come intermedio ma anche come «breve trattenimento di una conversatione». Infine, non è noto se fu interamente esaudita un’ulteriore serie di richieste di testi drammatici romani espressa da Vitaliano Borromeo nella corrispondenza di marzo: una «commedia di cinque personaggi»  che non comportasse quindi un eccessivo impegno nell’allestimento e che richiedesse pochi interpreti; altre commedie non identificate; «il Santo Alessio, o la Santa Teodora o S. Bonifatio», che appartenevano al repertorio barberiniano. Il desiderio di avere anche alcuni testi drammatici agiografici di Giulio Rospigliosi documenta ulteriormente l’attenzione di Vitaliano Borromeo per la drammaturgia romana[28], ed è probabile che sia connesso agli interessi del fratello cardinale Giberto che proprio pochi anni prima, nel 1663, si era adoperato per procurarsi il Palazzo incantato d’Atlante e S. Bonifatio[29]. Nell’estate del 1666 furono spedite a Vitaliano Borromeo altre «commediole di villa», ma soprattutto il fratello Giberto gli inviò un dono di gran pregio, «la commedia intitolata La Vita humana»  verosimilmente da identificare con la fastosa partitura a stampa di un’altra opera di Marazzoli, La vita humana overo il trionfo della pietà, presente fra le carte dell’Isola Bella alla morte di Vitaliano Borromeo e tuttora conservata[30].  Da Roma un’altra «commedia in musica che il signor cardinale ha fatto copiare dal signor cannonico Rossi»  fu spedita nel settembre del 1668[31]. Infine un’altra opera romana transitò probabilmente fra le mani di Vitaliano Borromeo, inviata da Francesco Liberati nel 1673[32]:

 

Illustrissimo Signor mio Signore Padron Colendissimo

Doppo tanto tempo mi è capitata nelle mani l’operetta intitolata la Comica del Cielo composta dalla q. SS di Papa Clemente nono Rospigliosi, che a Vostra Signoria Illustrissima hora invio, et se le piacerà, come spero, m’ingegnerò mandarle pure la musica, suplicandola bensì poscia farne cavar  copia da qualche suo virtuoso, perché il libro doverò rimetterlo dove l’ho levato. Osserverà che li versi sono in alcuni lochi scorretti, ma la virtù grande di Vostra Signoria Illustrissima saprà aggiustarli. E confermandole il mio ossequio le faccio humilissima riverenza.

 

Se l’opera fu spedita proprio al patrizio lombardo, l’interesse del Borromeo per la drammaturgia musicale rospigliosiana (anche La comica del Cielo è stata recentemente attribuita a Giacomo Rospigliosi[33]) proseguì dunque fino agli anni Settanta.

Fra le opere in musica rappresentate all’Isola Bella, quelle fondate su libretto di Carlo Maria Maggi si raccolgono in un arco cronologico che va dal 1665 alla seconda metà degli anni Settanta. Una strofa maggesca composta per il libretto de Il trionfo d’Augusto in Egitto ne ricorda alcuni titoli:

 

Bianca, Irene, la ninfa,

Gratitudine umana,

operette di state

a l’Isola cantate.

 

Nel dettaglio, i documenti d’archivio hanno permesso di ricostruire la cronologia delle composizioni e degli spettacoli e di osservare l’intensità del rapporto mecenatesco che legò Vitaliano Borromeo a Maggi. Una «comedia»  in musica di Maggi fu rappresentata nell’autunno del 1665, in tre atti e con un intermedio comico; una seconda commedia, composta dal poeta milanese, nell’autunno dell’anno successivo, verosimilmente L’Irene di Salerno, ancora in tre atti con prologo e due intermedi; con regolarità quasi annuale Maggi compose, nell’estate del 1667, una «favola»  in musica; nella primavera del 1668 fu messa in scena una commedia in musica del Maggi «nuova e con stile e scherzi eleganti e souavi e ripiena de sensi pur morali», probabilmente Ben venga Maggio overo La ninfa guerriera, che fu replicata con L’Irene di Salerno nel mese di ottobre del medesimo anno; nell’ottobre del 1669 fu rappresentata La Bianca di Castiglia; nel dicembre 1670 era previsto l’allestimento di Gratitudine umana[34]. Conosciamo dunque quattro titoli di opere di Maggi composte per le rappresentazioni all’Isola Bella e sappiamo che forse altri due testi furono allestiti. Né la scrittura del poeta milanese per gli spettacoli operistici all’Isola si limitò a questo: infatti, anche se dopo il 1670 non si ha più notizia certa di testi drammatici composti da Maggi per il teatro sul Verbano, sappiamo che Il trionfo d’Augusto in Egitto, composto nel 1672, avrebbe forse dovuto essere rappresentato alle Isole Borromee[35]; inoltre si conosce un prologo composto per le nozze del 1677 fra Carlo Borromeo Arese e Giovanna Odescalchi del quale non è noto se fu rappresentato all’Isola, e un altro «Prologo ad un dramma per l’Isola»  che non è possibile datare né correlare ad alcuno degli spettacoli operistici oggi conosciuti[36].

I libretti per musica di Maggi furono motivo di vanto per Vitaliano Borromeo che in varie lettere al fratello Giberto, nel corso degli anni, li elogiò e attestò il successo con cui furono accolti sul palcoscenico dell’Isola. Il conte Borromeo era consapevole delle peculiarità drammaturgiche e della qualità poetica dei testi di Maggi, come si coglie da una lettera del 1668 in cui tratta probabilmente di Ben venga Maggio overo La ninfa guerriera[37]:

 

Sono ritornato alla città e devo rapresentare a Vostra Eminenza la buona dimora che ho fatta alla Isola, ove ho avuto il tratenimento di una comedia in musica che è riuscita molto bene e che è stata molto bella secondo il bello di qui. La comedia è nuova e con stile e scherzi eleganti e souavi e ripiena de sensi pur morali, et è stata fatta dal signor Carlo Maria Maggio che è di gran sapere e di ingeno [sic] pur molto ameno. I personaggi principali della medesima sono stati otto e sino al numero de ventidue computando i personaggi minori, e del prologo e delli intermedii.

 

E l’anno successivo ribadì l’eccellenza degli spettacoli dell’Isola Bella, anche paragonandoli alla librettistica veneziana e alla drammaturgia musicale romana[38]:

 

E nel rimanente supplico Vostra Eminenza a credere bene del Teatro e delle comedie dell’Isola, le quali si fanno col numero di otto e nove personaggi principali, oltre le comparse, et hanno gl’habiti vaghi e ricamati et ogni circonstanza. Et in quanto al verso et al costume et all’intreccio superano di gran longa quelle di Venetia, e forsi quelle di costì. Et in pruova voglio prendere l’ardire di inviarne un saggio a Vostra Eminenza di quella si è fatta questo autunno, che è stato il tratenimento accennato a Vostra Eminenza dal signor Conte Arese.

 

Bellezza delle strutture poetico- musicali, acume della componente satirica, interesse dell’intreccio, finezza dell’analisi degli affetti furono alcune fra le principali qualità apprezzate nei libretti di Maggi, che, nella concezione di Vitaliano Borromeo appartenevano all’Isola in modo quasi esclusivo. Al governatore di Novara che, nel 1674, gli aveva chiesto copia de La Bianca di Castiglia, il conte Borromeo raccomandava di «usare di tutta la […]  autorità, afinché non si publichi con copie l’originale stesso, mentre lo vorrei conservare per l’Isola»[39].  Si comprende dunque che i libretti di Maggi furono in vari casi ripresi e replicati e finirono per costituire una sorta di repertorio ante litteram strettamente legato al luogo di villeggiatura del conte Borromeo[40].

Solo successivamente, negli anni Settanta, quando Vitaliano Borromeo fu impegnato come «direttore» per l’allestimento di varie opere al Teatro Ducale di Milano, si osserva che la regolare presenza di libretti di Maggi nelle stagioni del Ducale fra il 1673 e il 1676 può assumere il significato di una risposta obbligata a una richiesta ineludibile o di una consapevole proposta da parte del Borromeo che fece conoscere alla città alcuni dei risultati artistici conseguiti nel circolo di intellettuali adunato all’Isola Bella.

Un terzo piccolo gruppo di opere rappresentate o destinate al palcoscenico dell’Isola Bella può essere individuato osservando gli allestimenti dei libretti inviati in dono a Vitaliano Borromeo da autori che risiedevano nei territori lombardi e piemontesi: potremmo leggere tali episodi come segni del riconoscimento dell’eccellenza e della fama delle rappresentazioni sul Verbano che, nel tempo, divennero un’attrazione rinomata. In particolare queste opere si concentrano nella seconda metà degli anni Settanta, quando la stagione più intensa delle rappresentazioni di libretti di Maggi all’Isola Bella sembra esaurita e oltre la scomparsa della figura che aveva fatto da tramite per la conoscenza della drammaturgia musicale romana, il cardinale Giberto che era morto a Roma nel 1672: nel 1677, per le nozze Borromeo Arese – Odescalchi, si allestì un libretto di Giacomo Natta, L’Orode, già rappresentato a Casale nel Teatro pubblico due anni prima, che  il medesimo autore aveva inviato al Borromeo nel 1675 con la speranza che fosse allestito all’Isola Bella[41]. Sempre nel 1677 fu Vitaliano Borromeo a chiedere al poeta lodigiano Francesco de Lemene una copia di uno dei suoi libretti, Il Narciso, una «favola boschereccia […] in musica»  rappresentata l’anno precedente a Lodi, con l’intenzione esplicita di farlo rappresentare all’Isola Bella[42]. Non sappiamo se lo spettacolo fu poi realizzato.

Le nozze del 1677 furono un momento di grande visibilità della casata dei Borromeo e quindi di grande rilievo degli eventi festivi: questo spiega perché un altro autore aveva pensato di inviare un proprio libretto per quell’occasione al conte Vitaliano. Si tratta di un francescano di famiglia genovese, appartenente ai minori osservanti del convento di S. Angelo, frate Fausto Ferrari Triulzio, verosimilmente il medesimo Ferrari autore di altri due testi drammatici di soggetto agiografico e edificante stampati a Milano, uno dedicato alla figura di Santa Cecilia e l’altro destinato ad essere rappresentato da un gruppo di «giovani religiose» nel tempo del carnevale[43].

Ferrari si servì di alcuni intermediari e in seguito tentò di riavere il libretto anche con l’intervento del Borromeo medesimo[44]:

 

Eccellentissimo Signore e Padron Colendissimo

Sin dal tempo che si celebrarono le feste nuptiali del Eccellentissimo Signor Carlo Conte Borromeo suo nipote hebbi pensiero di fargli dono d’una mia opera musicale intitolata l’Inganno Schernito, parendomi il sogetto proportionato al caso; ma non hebbi fortuna né mezzo per conseguire l’intento; onde sovenendomi  quanto Vostra Eccellenza goda della musica, risolsi fargliene dono, et mi valsi d’Antonio Fantoni calzolaro da Rona [=Arona] mio penitente, che mi disse havere nella sua corte un cugino officiale che mi haverebbe servito, gli diedi il libro; ma succedendo imediatamente l’impiego et assenza di Vostra Eccellenza per ambascieria di Modana, procurai di ricuperare il libro, ma non mi riuscì, rispondendo l’amico che sin al ritorno dall’ambasciata non lo poteva havere; doppo di che per quante diligenze et instanze habbia fatte, il Fantone mi ha sempre pasciuto di parole; per lo che risoluto di uscire una volta dall’aque torbide et venire alle chiare, non potendo per la mia grave età e cecità venir in persona, con queste quattro rige [sic] facendogli riverenza la supplico ordinare che mi sia restituito il mio libro, poco importandomi che lo gradisca o no, e restando servita farlo consegnare al lator della presente mio particolar amico ne riceverò gratia singolare, et a Vostra Eccellenza prego da Nostro Signore compita felicità. Dalla Infermeria di S. Angiolo di Milano li 25 agosto 167[lacerazione]

 

Il titolo dell’opera musicale inviata, L’Inganno schernito,  permette di ipotizzare che probabilmente fu a sfondo morale; ma dalla lettera si comprende che all’Isola, verosimilmente, l’opera non fu rappresentata.

Infine, ci sono notizie di preparativi e di spettacoli che non sono stati identificati con certezza: per esempio, nel mese di giugno del 1671, il conte Borromeo fece preparare due opere in musica in attesa della visita del governatore milanese[45]. Anche nell’ottobre del 1674 l’arrivo del governatore Principe di Ligne fu festeggiato con l’allestimento di un’opera in musica, con soddisfazione dell’ospite come attesta Vitaliano Borromeo nella lettera a Paolo Spinola Doria a Vienna[46]:

 

Il Signor Principe dimostrò godimento dell’Isola e de fochi e della comedia in musica, e nel servire a Sua Eccellenza con tali tratenimenti mi figurava bene la sorte che spero di havere a servire colà Vostra Eccellenza in occorrenze simili.

 

Potrebbe trattarsi della ripresa del libretto di Maggi Gratitudine umana oppure di un’altra opera in musica[47].

 

3. Interpreti e spettatori all’Isola Bella. I luoghi teatrali nei giardini e nel palazzo

L’interesse del Borromeo per il teatro non si limitò alla committenza degli spettacoli ma si nutrì di passione e conoscenza diretta dei linguaggi artistici della scena, come emerge nell’epistolario, e in particolare nelle lettere al fratello Giberto in cui il conte Vitaliano pondera e soppesa le composizioni musicali e i libretti, confrontandosi vivacemente con le opinioni che il cardinale esprimeva da Roma. Non stupisce allora che alcune tracce documentarie pongano in evidenza l’intervento anche creativo del Borromeo nelle pratiche teatrali all’Isola: non si tratta solo dell’invito a lui rivolto da Maggi a correggere le scene della «comedia»  in musica che il poeta milanese andava stendendo nell’estate del 1665[48], ma anche della composizione di intermedi per arricchire l’allestimento di un’opera in musica romana, realizzato nell’autunno del 1664[49].

Il gusto personale di Vitaliano Borromeo che traluce da tali esperienze creative è confermato dal fatto che il conte aveva, fra coloro che appartenevano alla sua famiglia di servitori, alcuni dipendenti che possedevano anche abilità musicali e sceniche e che parteciparono agli spettacoli in qualità di interpreti[50]. Il conte Borromeo li elogia in diverse occasioni ma, nel gruppo, si conosce in particolare la figura di Carlo Ambrogio Piccordini che fu «Segretario»  del conte per oltre due decenni e che prese parte attivamente anche all’organizzazione degli allestimenti[51]. Oltre ai dipendenti della casata, negli spettacoli all’Isola Bella furono coinvolti professionisti appartenenti agli ambienti musicali milanesi, forse per le parti di maggior impegno, e musicisti che operavano nelle località verbanesi. Si trattò dunque di una formula organizzativa che permetteva al Borromeo di alleggerire le spese necessarie per allestire le commedie in musica, anche perché i musicisti milanesi andavano «sì volentieri all’Isola, che con poco regalo si danno per satisfatissimi», come afferma il conte Vitaliano in una lettera del 1669 al fratello cardinale Giberto[52].

Il teatro in villa era in particolare legato ai gusti del committente e offerto ai familiari e agli ospiti della casata, fossero amici e sodali di Vitaliano Borromeo, fossero visitatori di rilievo direttamente politico come nel caso dei governatori che si succedettero alla guida dello Stato di Milano e che volentieri si recavano a visitare le località del Lago Maggiore. Nel circolo di frequentazioni amicali, costituito da intellettuali, come il matematico Pietro Paolo Caravaggio, e da poeti come Carlo Maria Maggi, rientravano anche alcuni padri gesuiti particolarmente vicini al conte Vitaliano per ragioni culturali oltre che spirituali. Molti documenti attestano che un legame singolare unì i padri Giovan Battista Barella e Pietro Edera al Borromeo, tanto che, all’inizio degli anni Ottanta, i loro incontri nella dimora di villeggiatura si definirono «Accademia dell’Isola», quasi per indicare un gruppo stabile dedito agli studi e agli scambi culturali[53]. Non è dunque secondario osservare che, fra gli spettatori ospiti del Borromeo che assistettero alle rappresentazioni teatrali all’Isola, ci furono anche quattro padri gesuiti, come si è accertato per l’autunno del 1668, che apprezzarono e lodarono due opere su libretto di Maggi[54]. Oltre agli spettatori invitati dal Borromeo, in varie occasioni agli spettacoli dell’Isola Bella fu presente anche un uditorio più vasto e indifferenziato, di estrazione popolare, di persone che abitavano all’Isola medesima o nelle località del Lago Maggiore ed erano quindi nei territori controllati dal Borromeo. Per esempio, dai documenti si ricava che, nell’ottobre del 1664, la commedia in musica giunta da Roma si recitò «con gran concorso del paese» [55]; con maggior precisione è attestato che, nella primavera del 1667, alla rappresentazione di L’Irene di Salerno la maggior parte degli spettatori fu costituita da «issolani ignoranti et incapaci» [56]. Gli spettacoli promossi da Vitaliano Borromeo non ebbero dunque caratteristiche di esclusività in senso stretto e furono in parte aperti ad accogliere anche un pubblico non selezionato.

Questo elemento non esclude che la loro funzione potesse anche essere specificamente politica. Lo attesta, ad esempio, la vicenda delle rappresentazioni del mese di ottobre del 1668, forse su testi di Maggi. In quel mese, probabilmente il giorno 10, l’Isola Bella fu visitata dal governatore don Francesco de Orozco, da poco subentrato alla massima carica dello Stato di Milano, dopo aver passato in rassegna le piazze di Abbiategrasso, Mortara, Novara ed Arona. Per onorarne l’arrivo, Vitaliano Borromeo aveva predisposto uno spettacolo d’opera in musica e Bartolomeo Arese aveva espresso il suo apprezzamento sottolineando[57]:

 

Ho io goduto molto nell’essere stato accertato che Vostra Signoria pensava fuori d’ogni dubio di far vedere a Sua Eccellenza nell’Isola la comedia in musica perché considero che questa sorte di regalo egli non l’averà in altra parte dove sarà ricevuto, e più rimarrà impresso nella memoria il recitamento che gli concietti che in meno de 24 ore sono scordati.

 

Il conte Arese era consapevole dell’indelebile traccia che la rappresentazione poteva lasciare nella memoria dell’illustre spettatore, grazie alla presa immediata della seduzione scenica e canora, e della conseguente impressione di raffinato prestigio che il patrizio milanese avrebbe consegnato al ricordo del governatore. L’opera in musica, anche in un’enclave a prima vista appartata, era, in tali situazioni, funzionalizzata alle opportunità politiche dei patrizi lombardi, secondo un meccanismo sostanzialmente affine all’uso propagandistico e celebrativo che degli spettacoli in musica facevano le corti italiane ed europee. In tal senso, la collaborazione dell’Arese che era Presidente del Senato milanese, oltre che motivata dai legami familiari con i Borromeo, aveva una precisa connotazione politica, ed appare complementare alla mediazione fra librettista, compositore e allestitori svolta da Vitaliano Borromeo in occasione dell’allestimento de La Lucrina, per la visita di Margherita Teresa d’Austria al palazzo dell’Arese nel 1666 a Milano.

Del resto, il teatro e le feste costituivano un tassello essenziale per la forma del vivere di cui l’Isola Bella era emblema; e l’Isola Bella era un elemento d’eccellenza nel disegno di rilancio politico della casata Borromeo perseguito dal conte Vitaliano, oltre che un luogo di proiezione identitaria sul piano personale e familiare[58]. Come Vitaliano Borromeo scrisse nel testamento, datato 1682:

 

Sentendo nell’animo mio, misure e modi non piccioli, mi risolsi di fare in quei giardini, e fabbriche che rappresentassero l’animo mio, e quello di che il sangue della Casa è sempre stato dottato, e di far luogo insigne nella sua spetie e che potesse servire alla casa per farsi amici e stima, e sebben ciò succede con molti dispendi et incomodi e s’incontra tal hora con l’invidia, ad ogni modo ben ponderato il tutto è riuscito utile il potere ivi far merito e dimestichezza con Signori Grandi.

 

Pienamente consapevole del suo ruolo, Vitaliano Borromeo guidò tutto il processo di ideazione e realizzazione delle fabbriche dell’Isola Bella e volle che quei luoghi manifestassero quelle «misure»  e quei «modi non piccioli»   che contrassegnavano il suo «animo».  Il bilancio, nella curva declinante degli anni, era positivo: l’impegno economico, le fatiche, persino l’invidia suscitata restavano sfuocati sullo sfondo, mentre, in piena luce, l’esperienza di invenzione dell’Isola Bella si manifestava come creazione di un luogo dove coltivare amicizie, meritarsi la stima, intrattenere relazioni e far crescere la «dimestichezza»  con i grandi del suo tempo.

Certamente il continuo processo di sviluppo della creazione dell’Isola Bella era stato alimentato dal dialogo con i molti sodali e amici che la frequentavano. Fra questi il gesuita Giovan Battista Barella si trovò a riflettere sulle ragioni etiche/ morali dell’opera di Vitaliano Borromeo solo due anni dopo la stesura del testamento del conte. In una lunga e complessa lettera del 1684 il gesuita, mentre riconduceva la «fabrica dell’Isola»  ad un risultato della virtù attiva, sottolineò non solo la magnificenza che l’opera manifestava, ma anche l’intreccio di virtù che nell’Isola il conte Borromeo praticava[59]:

 

Chi cerca adunque come Vostra Signoria Illustrissima senza sconcerto della sua casa abbia potuto fare opera sì grande, cerchi prima quante altre cose non ha fatto, che poteva fare; e troverà che l’erario più ricco della magnificenza è la temperanza e l’odio degli altri vizi. La capacità della mente di Vostra Signoria Illustrissima è tutta dono di Dio, nel sapere vi ha parte il suo studio, al potere sono concorsi il suo patrimonio, la sua industria, ma soprattutto la sua virtù, mentre non ha mai voluto altra cosa per suo diporto. Il poter del danaro è per se stesso indifferente al bene ed al male, e perciò da se solo non merita gloria. La lode nasce solo dal buon uso; onde qual è il vero vanto di Vostra Signoria Illustrissima se non l’aver voluto fare una cosa sì degna della sua mente, e della sua casa. L’Isola pare un tempio solo consagrato alla magnificenza e pure è l’albergo di tante altre virtù. Vi hanno ricetto la pietà verso i sudditi, de’ quali tanti poveri vivono co’ suoi stipendi, vi sta la liberalità verso gli amici, de’ quali tanti v’invita, e tanti splendidamente v’alberga pagando il loro godimento a tanto suo costo, vi sta la beneficenza a tutte le arti pagando le loro opere per onorarle con metterle in così degno teatro. Vi regna la munificenza verso de’ prìncipi che con animo eguale all’opera fatta v’accoglie a contemplarla, vi hattende la religione, mentre non solo vi conduce a goderla persone a Dio consagrate, ma vi santifica anche i piaceri innocenti con tenerne lontano ogni vizio e con farvi esercitare molte opere di pietà, e con allettare tutti al Cielo con mostrarne loro in terra un così nobil ritratto.

Sarebbe adunque di gran meraviglia l’operare di Vostra Signoria Illustrissima quando anche non avesse fatto altro che l’Isola, mentre questa testifica la sua mente, il suo sapere, il suo potere, il suo volere così virtuoso; ma cresce lo stupore  sopra ogni misura a chi riflette, che un’opera tale è stata un’appendice del suo operare, il ristoro delle sue fatiche, un avanzo del tempo in tanti altri affari occupato, un miracolo dell’arte, una maraviglia del mondo ma fatta per passatempo. Non posso ora stendermi a considerare la grandezza di tutte le altre operazioni di Vostra Signoria Illustrissima per i nostro Re, per la patria, per l’Italia, per l’Imperio, per la sua casa; basta il dire che ha sempre l’idea dell’ottimo e che ha sapere potere e volere per metterlo in opera, ma non posso lasciar di osservare così di passaggio un nuovo prodigio ed è che chi fa cose sì grandi per gli altri, niente voglia per se medesimo. La sua mensa non può essere più frugale, il suo vestire più modesto, il genio più innocente e più mite, il conversare né più dotto né più affabile, il faticare per il ben publico più indefesso, e più senza pretensione di premio, contentandosi di esser superiore agli altri solo col merito. L’istessa Isola pare più fatta per gli altri che per se stessa, mentre per servire al ben publico meno la gode che gli altri, e quando la gode la fa godere a più altri che vi conduce. Questo operare ha del divino, mentre appunto Dio dà il godimento del mondo agli huomini, e a lui ne basta la gloria. La gloria sola appunto anche a Vostra Signoria Illustrissima ne ritorna, mentre niuno può vedere l’Isola, che più non lodi ed ammiri i pregi di chi l’ha fatta.

 

Nella lettura di Barella, la magnificenza mostrata dal Borromeo nell’invenzione e realizzazione dell’Isola Bella è l’esito di una pratica costante della temperanza: il «buon uso»  delle ricchezze conduce alla scelta e alla rinuncia al superfluo. Ma nell’Isola non si trova solo la sede della magnificenza: essa è luogo di esperienza attiva delle virtù. Pietà, liberalità, beneficenza, munificenza, religione: la lettera di Barella ha ovviamente una tara di encomio. Ma, al netto dell’atteggiamento elogiativo, Barella ci permette di osservare le forme di ricezione dell’opera di Vitaliano Borromeo e di comprendere l’impressione grandiosa che l’Isola Bella poteva provocare ai suoi visitatori. Nella eccellenza delle arti lì percepibili, l’arte del teatro era un punto focale e un’esperienza straordinaria.

Dalla ricostruzione dei fenomeni si osserva che gli spettacoli furono organizzati in prevalenza in primavera e in autunno; in qualche caso, all’inizio dell’estate. L’autunno, in particolare, era la stagione della villeggiatura in cui le famiglie patrizie milanesi si trasferivano, appunto, in villa: fu Vitaliano Borromeo che diede di tale consuetudine un’interpretazione singolarmente fastosa e mise a frutto la bellezza naturale dei possedimenti lacustri inventando l’Isola come luogo di residenza patrizia e la forma del vivere che la connotò[60]. I tempi degli spettacoli furono strettamente legati alle abitudini del committente: alla consuetudine della villeggiatura annuale e dei soggiorni primaverili si sommarono le occasioni extra- ordinarie determinate dalle visite di ospiti illustri e dalle feste familiari (gli ingressi e le nozze). E’ da rilevare, d’altro canto, che frequentemente le occasioni eccezionali finirono per coincidere con le due stagioni più consolidate.

Il clima mite dell’ambiente del Lago, nei primi anni permise di utilizzare per gli spettacoli anche spazi dei giardini. I luoghi teatrali nell’Isola Bella furono infatti molteplici: naturalmente, una svolta definitiva si ebbe con la costruzione di un «Teatro delle Comedie», un edificio specificamente destinato alle rappresentazioni teatrali, concepito secondo avanzate tecniche costruttive e che fu, nel tempo, attrezzato anche sotto il profilo scenografico.

Prima della realizzazione dell’edificio teatrale, sul finire del 1665, furono utilizzati per gli spettacoli sia alcuni spazi della casa che alcuni luoghi dei giardini: Vitaliano Borromeo scrive che, nel dicembre del 1665, alla presenza del conte  Arese la commedia fu recitata «nel primo atto nel teatro delle spalliere e gl’altri due nella sala della casa, ove feci porre un tapetto per terra con alcune scene» [61]. Come attesta il documento, la commedia fu in parte rappresentata in una sala interna generica, ma si osserva che il Borromeo volle definire lo spazio scenico con cura predisponendo perfino alcune scene. E’ probabile che anche la commedia dell’ottobre del 1664 sia stata messa in scena nei giardini, poiché il prologo ebbe come protagonista un giardiniere e il primo intermedio consistette in una «battaglia de naranzi», un’azione che verosimilmente può essere rapportata a forme rappresentative ispirate agli scontri carnevaleschi urbani e che poteva essere adeguatamente ambientata in spazi aperti. Non è possibile indicare con certezza quali spazi dei giardini siano serviti come luoghi teatrali. I giardini, in particolare, strutturati nella loro globalità secondo un preciso piano architettonico che intrecciava gli elementi naturali alle opere d’arte, prevedevano alcuni luoghi di specifico rilievo scenografico, significativamente indicati nei documenti col termine di «teatri»: il Teatro delle Fontane, poi divenuto Teatro d’Ercole, e il Teatro Massimo. Sono definizioni che resistono nel tempo e che si ritrovano a distanza di decenni, come attesta una lettera del residente cioè dell’ambasciatore veneto a Milano, Angelo Bon, a Vitaliano Borromeo, in cui elogia la bellezza dell’Isola[62]:

 

L’haver inteso che Vostra Signoria Illustrissima si ritrovasse all’Isola, ha svegliato in me le spetie di quelle sontuose, delitiose maraviglie, e mi figurava servirla hor nei passeggi ombrosi della Selva Giulia, hor al ritiro della boscareccia, al Belvedere, al poco basta, al Teatro Massimo, a quello d’Hercole, al portico della Morale; insomma ho trascorsa l’Isola, ideando poi quello che non ho veduto dell’arco del disinganno, della Galleria, della fuga delle camere, e tutto colla proportione della grandezza dell’animo di Vostra Signoria Illustrissima superiore a tutte le cose.

 

Accanto agli spazi teatrali nei giardini la cui collocazione è conosciuta, restano da individuare luoghi identificati con minore chiarezza, come è il caso del «teatro delle spalliere» citato nel dicembre del 1665.

La passione del patrizio milanese per il teatro lo condusse a far costruire a ridosso del palazzo un edificio specificamente destinato alla rappresentazione. Si ha notizia che, sul finire del 1665, il «Teatro delle Comedie»  fu eretto e, nel corso dell’anno successivo, fu completato e messo in opera. Scriveva Vitaliano Borromeo al fratello Giberto il 18 novembre 1665[63]:

 

Nelle relationi dell’Isola che con l’ordinario passato diedi a Vostra Eminenza mi scordai di rapresentarle che mi era sortito di far colà pure un Teatro per le Comedie. Il sito è in vicinanza della casa, et ove erano alcune case male in arnese e che formano la contrada che corre longo la casa stessa. La capacità è ben riuscita assai competente mentre è in longhezza trenta un braccio e mezzo, et in larghezza dodici. Si è fatto tutto con gran facilità, perché in parte hanno servito le muraglie delle case che vi erano, e per le nuove è pur stato il matteriale su l’opera. Penso di farvi un corritore per andarvi dalla casa, e di formarvi pure i palchetti in forma di mezza luna nella parte che mira di fronte il palco. Sarà di passatempo e decoro alla Isola, et il signor Conte Arese ne gustò molto. Il palco è fatto, come pure una scena di boscareccia et un’altra di colonne e pezzi di architetura. Et ho un pittore di Vegiezzo che opera molto bene.

 

Il Teatro fu dunque ubicato a ridosso del palazzo e il conte Vitaliano da subito aveva ipotizzato un passaggio diretto di collegamento fra i due corpi di fabbrica.

Il progetto della sala, strutturata secondo il modello del teatro all’italiana, fu seguito direttamente dallo stesso Vitaliano Borromeo che ne discusse le caratteristiche architettoniche anche col cardinale Giberto. Nel loro scambio epistolare affiora un intenso dialogo sul patrimonio artistico della famiglia e sugli interessi musicali e teatrali che accomunavano i due fratelli: in particolare, in quest’occasione si evidenzia la competenza tecnica con cui Vitaliano e Giberto Borromeo discussero le opzioni progettuali  sulla disposizione dei palchi nella sala, mostrando una conoscenza diretta della resa ottica delle varie possibilità costruttive. Le ipotesi prese in considerazione furono la costruzione dei palchi «in forma di meza luna»  in alternativa  alla disposizione dei «palchetti […] per linee dritte paralelle al muro» [64]. Vitaliano Borromeo finì per scegliere l’opzione che prevedeva i palchi «a mezza luna»,  avendo «necessità […] di fare pure una scaletta, che salga dal Teatro ai palchetti stessi, la quale verrà a riuscire bene nelli angoli facendosi i palchetti a mezza luna». Anche il matematico Pietro Paolo Caravaggio fu consultato per determinare il corretto posizionamento delle scene allo scopo di ottenere la migliore resa prospettica. Con maggior precisione sappiamo che, negli anni di Carlo Borromeo Arese, per accogliere gli spettatori, il teatro disponeva di una «platea» e di «sei palchetti, tre sotto e tre sopra» [65].

 Stando alle testimonianze epistolari dell’età di Vitaliano Borromeo, il teatro ebbe una capienza di qualche centinaio di persone: nei documenti il computo oscilla fra trecento e quattrocento spettatori. Anche questo aspetto quantitativo fu espressamente voluto dal conte Borromeo che, in una lettera del gennaio del  1666, mentre argomentava a favore della scelta di disporre i palchetti a mezza luna, affermò[66]: «E pure anche che fatti in linea curva capiranno più genti, et haveranno l’imitatione de i teatri grandi, che vado procurando nel tutto». Vitaliano Borromeo mirava dunque a realizzare una sala con caratteristiche d’eccellenza e guardava ai migliori edifici teatrali contemporanei come modelli per il suo Teatro delle Comedie all’Isola Bella. Si preoccupò sia della resa visiva sia delle qualità acustiche della sala. Nel 1669 espresse l’intenzione di fare un teatro nuovo di maggiori dimensioni e si rivolse a un cantante professionista, Pellegrino Canneri, che aveva recitato al Teatro Ducale di Milano forse nel 1660, per avere informazioni sulla resa acustica del proscenio[67]. Alcuni disegni conservati nell’archivio di famiglia, databili alla seconda metà del XVII secolo, mostrano inoltre che l’impianto del palcoscenico prevedeva la presenza di cinque coppie di quinte con un fondale: un impianto semplice e funzionale alla realizzazione di scenografie dipinte che potevano essere mutate nel corso degli spettacoli[68]. Fin dalla prima notizia del 1665, emerge che Vitaliano Borromeo aveva fatto dipingere da un «pittore di Vegiezzo»  due tipi di scene: una scena boschereccia e una scena con colonne e costruzioni. Sappiamo che, dodici anni dopo, nel 1677, il Teatro dell’Isola conservava alcune scene che costituivano una dotazione stabile pronta per essere riusata: per le rappresentazioni in onore delle nozze Borromeo Arese- Odescalchi, furono semplicemente ritoccate le «due scene di bosco», la scena di «cortile», il «prospetto […] di giardino» la «sala», che erano già disponibili[69]. In quell’occasione, è inoltre possibile osservare che le scene erano oggetto di procedimenti combinatori, funzionali a un criterio di economicità per favorire il riuso dei materiali: per esempio la mutazione delle «Tende campali», secondo le indicazioni autografe di Vitaliano Borromeo, doveva essere ottenuta inserendo due «scene con padiglioni» fra le scene del bosco; ancora una coppia delle scene di bosco poteva entrare a far parte della mutazione «scena di giardino».

Il Teatro delle Comedie subì vari lavori di adattamento, in particolare nel 1669 e nel 1677, a dimostrazione della costante attenzione del conte Borromeo nei confronti della sala teatrale. Un sopralluogo compiuto da un collaboratore del conte Vitaliano, nell’agosto del 1674, forse in ragione di una visita ufficiale del governatore milanese della quale abbiamo notizia nell’ottobre di quell’anno, restituisce l’immagine di una struttura in buone condizioni[70]:

 

In esequtione de’ comandi di Vostra Signoria Illustrissima non ho mancato di visitar ben tutto nel Teatro delle comedie, ove non ho trovato cosa alcuna fuori di luoco se non alcune tende nella parte di dietro nella fine di detto Teatro, le quali con puoco tempo presto s’aggiusteranno, né le corde mancano almeno per quanto io habbi potuto conoscere, le sciene ancora sono buone né in alcuna parte sono offese, è ben vero che sono un puoco smarite de colori ma altra imperfettione non si conosce.

 

Comunque, anche dopo la costruzione del Teatro delle Comedie, dovette proseguire l’utilizzo di spazi dei giardini come luoghi teatrali dove collocare gli spettacoli, come testimonia una lettera del 1695 di Ludovico Antonio Muratori, in cui si narra l’intenzione di rappresentare una commedia all’Isola Bella «essendovi a tal fine il suo teatro in casa, et un altro pastorale in giardino» [71].

 

4.  Prospettive e discontinuità: fra XVII e XIX secolo

La concezione e realizzazione di un edificio teatrale così capiente e ben attrezzato e la presenza di un repertorio di scene che poteva essere adattato e riutilizzato,  sono segni certi dell’intenzione di Vitaliano Borromeo di avviare un’attività scenica continuativa. D’altro canto, se, nel periodo considerato, si conoscono allestimenti di opere in musica con intermedi recitati, cantati o danzati, alcune tracce mostrano che i generi musicali e rappresentativi praticati su committenza dei Borromeo non si limitarono a quelli. Un ulteriore genere esecutivo- performativo strettamente connesso all’ambiente naturale lacustre furono le pesche in musica. Una fu preparata nel settembre 1665 per la visita del governatore di Milano: si doveva trattare di una composizione musicale forse eseguita in forma parzialmente rappresentativa, durante la quale sia i musicisti sia gli spettatori si trovavano nelle barche sul lago durante «una pescagione generale di tutte queste barche». Da un altro documento sappiamo che probabilmente la pesca fu suddivisa in tre intermedi e che ebbe una struttura teatrale poiché intervenivano almeno tre personaggi, un Pescatore, una Ninfa e un Biffolco che usavano canne da pesca[72]. Un’altra pesca musicale fu progettata per le feste in occasione delle nozze Borromeo Arese – Odescalchi del 1677 e il testo poetico fu nuovamente chiesto a Carlo Maria Maggi, ma in questo caso le tracce archivistiche non ci permettono di raccogliere altre informazioni e non sappiamo se la pesca fu poi realizzata[73].

Certamente, dopo la morte di Vitaliano Borromeo, furono preparati spettacoli di commedie e intermezzi anche dialettali, sia ad opera di interpreti professionisti che di dilettanti, fra i quali ci furono anche alcuni rampolli della famiglia. Un gruppo di notizie riguarda gli anni milanesi di Ludovico Antonio Muratori che fu anche segretario di Carlo Borromeo Arese[74], nipote del conte Vitaliano e figura di spicco della famiglia negli anni tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento. Il giovane Muratori, che subito fu accolto negli ambienti accademici e aristocratici milanesi e si legò in amicizia con Carlo Maria Maggi, fu frequentemente ospitato all’Isola Bella e lì si adoperò per l’allestimento di opere teatrali. L’epistolario muratoriano degli ultimi cinque anni del secolo offre numerose tracce di tale attività scenica. E’ possibile ipotizzare che, nell’agosto del 1695, fosse prevista la recita di «intramezzi»  composti da Maggi forse al teatro dell’Isola Bella. Dai documenti si evince che si trattò di testi drammatici in milanese, ma non sappiamo se si trattò di uno fra i testi oggi noti[75].

Un’altra opera dialettale di Maggi, con il protagonista Meneghino, fu preparata nel luglio del 1699 grazie all’impegno di Ludovico Antonio Muratori. Era prevista la partecipazione di Nicolò Molina, noto interprete dei testi dialettali di Maggi, forse coinvolto per le difficoltà recitative del vernacolo, che però non raggiunse l’Isola per quell’occasione. Anche il 9 maggio 1696, in occasione della visita all’Isola Bella del Conte di Santo Stefano, era programmata l’esecuzione di alcune «opere»  del poeta milanese, considerate «fra le gioie riservate all’Isola» [76]. Oltre alla drammaturgia comica in vernacolo del Maggi, negli anni documentati dall’epistolario di Muratori all’Isola Bella fu preparata l’opera Ladislao di un autore francese (sia nel 1695 che nel 1699) e una «comedia di quelle del marchese Orsi» [77], quindi un testo proveniente dagli ambienti dei dilettanti bolognesi guidati da Giovan Gioseffo Orsi con il quale Muratori fu in stretta relazione[78]. Negli stessi anni, altri spettacoli furono interpretati dai rampolli della casata forse anche all’Isola Bella, come accadde nel 1698 durante la permanenza milanese dei conti di Soisson «in diversi […] palazzi»  della famiglia. In effetti, a partire dall’età di Carlo Borromeo Arese, erede a cui confluirono i patrimoni delle due famiglie, l’attività festiva e teatrale all’Isola Bella deve essere letta nel più ampio contesto della rete di residenze di villeggiatura e di città che la famiglia abitava a rotazione nel corso dell’anno: l’Isola Bella, Cesano, Arona, Milano di volta in volta ospitavano celebrazioni, intrattenimenti, eventi rappresentativi che potevano essere legati fra loro. Nell’occasione degli spettacoli del 1698, uno dei figli di Carlo Borromeo Arese, il conte Giovanni, coinvolse nel gioco della rappresentazione il figlio degli ospiti[79]:

 

Dal conte Filippo Archinti furono condoti all’Isola ove si trovava il conte con tutta la Casa, il conte e contessa di Sois[s]on e madama di Brandemburgo sì che il conte li trattò alla grande e simili trattamenti faceva a quasi tutti li signori che si portavano per veder l’Isola in tempo che vi si trovava lui. Le dette altezze di Sois[s]on, essendosi tratenute molto tempo in Milano, il conte l’invitava a villeggiare con lui in diversi suoi palazzi e li faceva fare dell’oneste comediole per divertimento nelle quali recitava ed il prencipe suo figlio ed il conte Giovanni essendovi spesse volte musica e sinfonie.

 

Anche in questo modo il teatro diventava uno strumento per rinsaldare legami o per tessere nuove relazioni.

Nel corso del XVIII secolo, la tradizione delle visite e degli intrattenimenti all’Isola Bella proseguì. Gli elementi delle allegrezze furono costanti, anche se potevano essere dispiegati con diverse gradazioni di intensità festiva, in parte influenzate dal pregio degli ospiti ma soprattutto determinate dal tempo disponibile per i preparativi, che poteva variare a seconda del preavviso con cui la visita era stata annunciata. I governatori della città di Milano, alti prelati della chiesa ambrosiana (come il cardinal Caccia nel 1698 e il cardinale Erba Odescalchi intorno al 1720),  ospiti provenienti da corti estere (ad esempio il principe di Sassonia o l’Elettore di Baviera) frequentavano lo specchio del Verbano: le feste potevano comprendere accoglienze con il corteo di imbarcazioni, spari a salve, intrattenimenti , banchetti, illuminazioni straordinarie del palazzo e dei giardini dell’Isola Bella, feste da ballo, fuochi artificiali e rappresentazioni teatrali. Dal diario di uno dei dipendenti di Carlo Borromeo Arese, Giovanni Tapia, affiorano le memorie di numerose tappe festive[80].

Un’occasione di grande impegno celebrativo fu la visita della moglie di Carlo III, la regina Elisabetta Cristina di Brunswick nel 1708[81]. Le allegrezze furono particolarmente grandiose: basti rilevare che Carlo Borromeo Arese, secondo la testimonianza di Tapia, inviò «circa trenta tra musici ed istrumenti da corda e fiato». Il dato quantitativo è un indicatore delle proporzioni imponenti che l’evento festivo assunse; ma è significativo rilevare che alla regina non fu proposta alcuna rappresentazione. Dai documenti fino ad ora portati alla luce, si può evincere che nell’età di Carlo Borromeo Arese l’attività teatrale ebbe un ruolo molto meno rilevante di quel che aveva giocato quando il conte Vitaliano ne era stato il promotore. Le notizie di spettacoli, dopo gli anni del rapporto amicale con Ludovico Antonio Muratori, si diradano e mostrano una diversa coloritura: non opere in musica ma commedie, sicuramente più semplici da realizzare rispetto a un genere che richiedeva quantomeno interpreti capaci di cantare e musicisti in grado di eseguire partiture. Inoltre questi spettacoli sono più frequentemente affidati all’estro rappresentativo dei giovani della casata: se nel 1698 fra gli interpreti spicca il conte Giovanni, figlio di Carlo Borromeo Arese, successivamente, nel corso della villeggiatura del 1718, un altro figlio del conte Carlo,  

Federico, promosse e interpretò spettacoli all’Isola Bella, coinvolgendo anche i figli del governatore di Milano, conte Girolamo Colloredo, nella pratica scenica[82]:

 

Passato il conte in Cesano si visitorono reciprocamente dalla vila di Cusano, ove vilegiava il conte governatore, con il conte non essendovi che vicina incirca cinque miglia di distanza fra l’una e l’altra e gli figli del conte governatore più spesse volte venivano a Cesano per godere delle comediole che il conte Fedrico, con il permesso del conte padre, faceva fare e similmente fecero sì gli figli come il nipote del governatore marchese Coloredo. Il medesimo seguì il novembre seguente  nell’Isola per il piacere di godere delle comediole ed essere ancor loro interlocutori  fermandovisi qualche tempo con gli loro ai o governatori ed il conte Fedrico che, d’ettà di sedeci anni, si portava con molto spirito e proprietà , si divertiva in recitare or un personaggio or l’altro.

 

Anche in questo caso il gusto delle rappresentazioni domestiche si radica nella passione personale del giovane figlio di Carlo Borromeo Arese e nel suo impegno diretto nella pratica scenica.

Lo stesso accadde nel 1720, in questo caso ad Arona, dove

per divertimento de figli fece piantare nella Salla dell’Ospitale (che non vi abitano infermi) un bel teatrino e fece recitare delle comediole parte studiate e parte all’impronto; ed il conte Fedrico e Renato recitavano ancor loro con spirito e fu di gran divertimento di tutt’il borgo in particolare delli uffiziali che vi erano di presidio e perché riuscivano tanto belle essendovi qulche soggetto fatto espressamente andar da Milano per parte buffa, gli stessi ufiziali invitavano gli loro coleghi di guarnigione in Novara per vederle.

 

Le attuali conoscenze sulle pratiche teatrali nel Settecento all’Isola Bella non procedono oltre l’età di Carlo Borromeo Arese. Sappiamo però che l’attività spettacolare proseguì e che, nel corso del Settecento, fu edificato un teatro anche all’Isola Madre.

Tra settembre e ottobre del 1788, il conte Giberto Borromeo fece attuare alcune verifiche per «trasportare dall’Isola Madre» all’Isola Bella il teatro, con tutta la struttura lignea dei palchetti. Si presero in considerazione diverse collocazioni: il «sito […] della Racchetta»,  il «salone al piano superiore del quarto nobile», la «libreria contigua al Salone»; però non ci sono tracce dell’effettivo spostamento del teatro[83].

Alle soglie dell’Ottocento, nei primi decenni del secolo, si ebbe una svolta importante quando l’Isola Bella vide la costruzione di un nuovo teatro, detto «delle Marionette», che forse fu ricavato dal ripristino del teatro delle Commedie. Il teatro delle Commedie era stato rimesso in uso nell’estate del 1828, in previsione della visita dei reali di Sardegna, Carlo Felice e Maria Cristina di Savoia, avvenuta il 13 settembre. In quel caso la famiglia Borromeo si avvalse di una collaborazione d’eccezione, poiché la realizzazione di nuove scenografie fu affidata allo scenografo che dal 1817 era unico responsabile delle scene del Teatro alla Scala, Alessandro Sanquirico. Sempre Sanquirico si occupò di progettare la decorazione per le grandi imbarcazioni necessarie a trasportare sull’Isola il corteggio e realizzò anche alcuni elementi della illuminazione.

Non era la prima volta che Sanquirico collaborava con i Borromeo: nel 1823, infatti, aveva preparato alcune scene per il teatrino di marionette del palazzo di città[84].

Quando, nel 1831, la famiglia decise di avviare nuovi lavori nel Teatro delle Commedie, fu ancora Sanquirico ad esserne incaricato: lo scenografo, in quel frangente, si trovò a trasformare il Teatro dell’Isola Bella in Teatro di Marionette. Si trattava della ripresa di una tradizione antica. Fin dal 1690, infatti, i documenti archivistici recano traccia della presenza di «quatordeci bambocci per far delle commedie burlesche, i quali sono vestiti in varii modi secondo il personaggio che rappresentano, con suo filo di ferro et rocchetto da sostenerli» [85] fra i materiali presso l’Isola Bella. Una pratica verosimilmente interna alla famiglia Borromeo, esperita come svago e intrattenimento del gruppo o, forse, in particolare dei bambini di casa, diventava ora un’esperienza centrale delle forme di ricreazione familiare: nel momento in cui il teatro di marionette acquisiva un luogo specifico dove poteva essere realizzato, tale genere teatrale assumeva dignità e otteneva un preciso riconoscimento fra i molti modi di affermazione dell’identità pubblica della famiglia Borromeo.

 

 

 

 

 



Nel presente contributo farò riferimeno alle ricostruzioni storiografiche compiute nel mio Drammaturgia del comico. I libretti per musica di Carlo Maria Maggi nei « theatri di Lombardia», Vita e Pensiero, Milano 1998, d’ora innanzi citato con l’abbreviazione DC, e nel mio La festa in villa. Allegrezze e spettacoli per le nozze di Carlo Borromeo Arese con Giovanna Odescalchi (1677), in ROBERTA CARPANI, Scritture in festa. Studi sul teatro tra Seicento e Settecento, Pisa- Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008, pp. 119- 150.

A tali lavori rimando per tutta la disamina delle fonti che giustificano in gran parte la ricostruzione della cronologia degli eventi festivi e spettacolari; non è infatti possibile, in questa sede, ripercorrere in modo dettagliato le questioni interpretative sollevate dai documenti dell’Archivio Borromeo dell’Isola Bella che là sono state discusse. Per altro si aggiungono qui nuovi recenti ritrovamenti documentari e tali integrazioni sono riportate per esteso oltre che vagliate criticamente.

[1] Su Bartolomeo Arese rinvio a Nicola Raponi, s.v. Arese, Bartolomeo, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1962, pp. 82- 83;  fondamentale il lavoro di Gianvittorio Signorotto, Milano spagnola. Guerra, istituzioni, uomini di governo (1635- 1660), Milano, Sansoni, 1996, in particolare il capitolo 9 dedicato all’Arese; infine Andrea Spiriti, I committenti: da Bartolomeo III Arese a Renato III Borromeo Arese, in Il palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno, a cura di  Maria Luisa Gatti Perer, Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda, 1999, pp. 17- 42.

[2] Un rapido profilo di Antonio Renato Borromeo è tracciato all’interno della voce di Valerio  Castronovo, s.v. Borromeo, Giulio Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIII, Istituto della Enciclopedia Italiana Fondata da Giovanni Treccani, Roma 1971, p. 59.

[3] Le allegrezze per le nozze del 1677 sono ricostruite e studiate nel mio La festa in villa. Allegrezze e spettacoli per le nozze di Carlo Borromeo Arese con Giovanna Odescalchi (1677), in ROBERTA CARPANI, Scritture in festa. Studi sul teatro tra Seicento e Settecento, Pisa- Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008, pp. 119- 150.

[4] Gazzetta di Milano, 13 novembre 1652.

[5] Per il 1663, infatti, la serie della Gazzetta di Milano è stata reperita in modo incompleto.

[6] ABIB, Stabili Isola Bella in genere Ce- G/ 2786 Feste e Divertimenti, lettera di P. Aron Cuchino, 1663 settembre 19, che in apertura accenna ad un equivoco: «L’equivoco seguito nel negotio delle peotte ha cagionato per quello intendo molto senso al signor Conte Antonio. Mancamento non vi è. Ho usate molte finezze acciò consideri ben bene il negotio et la purità d’esso, ma intendo che vi sta sopra; se vi è luogo a mancamento, è tutto di quei suoi ministri che dovevano mandare a pigliarli quali erano allestite. Se detto signore non si vole appagare della verità, io non so che farci. […]

Ho servito dalla casa di Vostra Signoria Illustrissima in Arona et all’Isabella al signor Marchese Casnedi che fu qui sabbato, et hieri pure ritornò per passare a Sesto et [ebbe ??] la peotta. »  Altre lettere accennano ai preparativi per la festa ( ABIB, Stabili, Isola Bella in genere Ce- G/ 2786 Feste e Divertimenti, lettera non firmata, s.d. ma 1663 settembre 13: «Questa mattina del 13 di settembre viene aviso d’Angera che le feste sarano dominica prosima. Incominciano preparare di vestire la nave delli suoi aderazzi ?? L’aviso è venuto per parte del Capitano Bortoletti. Può essere che sia quel giorno, ma io non lo credo; simili cose grandi non hanno per il più giorno prefisso sin che non siano passati molti e molti giorni delli concertati; tanto più che quei ministri hanno le vere politiche […]»). Si veda anche

ABIB, Stabili, Isola Bella in genere Ce- G/ 2786 Feste e Divertimenti, lettera di P. Aron Cuchino, 1663 settembre 12:

«Arona sin adesso non ha il giorno preciso delle feste navali, è ben corrsa [sic] qua una lista delle navi che s’admetterano alle feste, nelle quali Arona ha il primo luogo. L’aderazzi [??] della nave sono pronti, ma sin adesso non incominciano vestirla. Io non li ho visti, né penso di vederli, mentre non si opera alle [??] sodisfattioni.»

Infine si legga la lettera di ringraziamento di Antonio Renato Borromeo (ABIB, Stabili, Isola Bella in genere Ce- G/ 2786 Feste e Divertimenti, lettera di Antonio Renato Borromeo a Renato Borromeo a Milano, dall’Isola,  1663 settembre 17): «Sicome sopra ogn’altro devo stimar io l’honore che mi proviene dal favore che Vostra Signoria Illustrissima mi fa, così fra queste dimostrationi del Lago alla Contessa mia manifesto la più gallante e ben intesa esser stata quella d’Arona, per la quale a Vostra Signoria Illustrissima et al Borgo rendo gratie et professo perpetua l’obligatione. Per tutte le parti insino dal tempo è seguita favoritissima la fontione solamente che al godimento di essa mi si è fraposta la mortificatione di non esser stato honorato con la presenza di Vostra Signoria Illustrissima et di mi Signora la contessa sua [..]»

[7]Si veda il mio lavoro La festa in villa…  in particolare pp. 132- 135.

[8] Entrambe le citazioni sono tratte dal mio La festa in villa…, p. 134.

[9] ASFirenze, Mediceo del Principato, f. 3207, Francesco Bondicchi a Maruscelli, 1677 ottobre 27.

 

[10] Devo rinviare alla ricostruzione compiuta nel mio volume DC.

[11] Scrive Vitaliano Borromeo al Canonico Barbaglio a Novara: «Il prete Giuseppe Rossi detto il Ferrazino nativo di cotesta città mi era di gran trattenimento per havere una pazzia assai curiosa e mista con la virtù della musica. Intorno ad un mese fa lo condusi meco alla Isola, ma ivi col motivo di certa burla se ne andò con la libertà che è privileggio della sua miseria. Intendo esser capitato in cotesta città e la sua venuta doverà ben esser publica e riverita mentre egli si spaccia per il Papa di Novara. Supplico Vostra Signoria a farli intendere che goderò molto del suo ritorno e che qui non è quel soprano suo nemico. Che lo sto desiderando e che li prometto ogni buon quartiere e che ho negozii grandi da trattar con lui»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza Minute 1659- 1664, Pavia, 1659 aprile 22).

[12] Si legge nella minuta autografa di Vitaliano Borromeo a Francesco Antonio Preti a Casale: «Hebbi la gentilissima di Vostra Signoria che ben si può dire in musica mentre venne fra sì nobile accompagnamento di belle canzoni. Stupisco bene che mentre che per molte parti s’intendono risuonare voci di pace Vostra Signoria mandi attorno canzoni che intimano la guerra e che intonano i strepitosi soni militari. […] Procurerò copia delle due canzoni che ella ha inviate alla Signora Donna Margherita. Mi [canc. Se Vostra Signoria mi vuole conto e tutto si riporrà nelli archivii della Isola] continui Vostra Signoria il suo affetto e me lo comprovi con scrivermi, comandarmi et inviarmi delle canzoni. Ed io riconoscerò il copista»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza Minute 1659- 1664, Pavia, 1659 aprile 20).

[13] Per esempio, il 5 ottobre 1678 scrive Vitaliano Borromeo all’abate Migliares Canonico della Scala: «Sarà con questa [canc. congionta] la dolce sampogna la quale era qui [canc. era in questo Archivio] fra queste musiche. Et a’ fogli che Vostra Signoria  mi rimandò si è aggionto quello che mancava. […] Questa Isola riverisce Vostra Signoria»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza Minute 1678/ 1185). Tre anni dopo, un musicista vicino a Vitaliano Borromeo, Francesco Pietra Grua si dichiara pronto a eseguire i comandi del conte Borromeo in merito a una «fontione» e chiede di dare a «Giuseppino la chiave del scritorio dove vi sono le musiche al Isola»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1681/ 1141, 1681 maggio 5, da Arona).

[14] Per esempio, Vitaliano Borromeo narra al fratello cardinale Giberto: «Alli 5 del corrente lasciai l’Isola e mi riportai qua, e supplico Vostra Eminenza a compatirmi se non sono stato frequente nello scrivere […] assicuro a Vostra Eminenza che la bellezza del sito, le facende per i suditi e per le fabriche, i tratenimenti della musica e la compagnia e conversatione de i camerata sono cose tutte che colà in sommo divertono da lo scrivere»  (ABIB, Stabili, Isola Bella, Giardini dal 1669 al sec. XIX, Milano, 1670 dicembre 9). O ancora il residente mediceo Francesco Bondicchi, l’anno successivo, scrive a Vitaliano Borromeo all’Isola esortandolo a stare lontano dalle questioni spinose: «Si conservi lontana Vostra Eccellenza da simili dolorosissime vicende, avvalorata dal suo buon genio; e sollevandosi con la musica che mantiene lo spirito a conversar tra gl’angioli»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1671/ 1106, Milano, 1671 ottobre 7).

[15] Si legge in una minuta autografa di Vitaliano Borromeo non datata e senza destinatario: «L’affetto che piace Vostra Signoria havere per l’Isola mi dà l’addito di supplicarle il favorire con la di lei autorità il Signore Valentino musico della Isola e che aspira al posto di tenore vacato in San Giovanni la Conca e mentre Vostra Signoria ha parte sì principale in quella scola e sa quanto sii la di lei benignità raccorre alla di lei protetione»  (ABIB,  Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Minute 1668- 1671).  Un Valentino interpretò la parte di Nice nell’opera in musica Ben venga Maggio overo La ninfa guerriera, forse nel mese di giugno del 1668, e si è ipotizzato che possa essere Giuseppe Valentino (DC, p. 86 nota 154). Nel 1675 il musico Giuseppe Valentino fu tra gli interpreti a Casale Monferrato dell’opera in musica su libretto di Giacomo Natta L’Orode e portò il libretto in dono al Borromeo (rinvio al mio lavoro La festa in villa…, in particolare pp.  141-142).  Quando poi, nel 1677, L’Orode fu ripreso all’Isola Bella per le nozze di Carlo Borromeo Arese con Giovanna Odescalchi, il musico Valentino risulta pagato dai libri cassa dello sposo per aver cantato all’Isola in occasione delle feste nuziali (ibi, pp. 145- 146). Sempre nel 1677 Vitaliano Borromeo lo raccomandò in varie occasioni per ingaggi di lavoro: devo rimandare al mio intervento La «condotta dei musici»  e dei comici nel 1677 a Milano, in A. COLZANI, A. LUPPI, M. PADOAN (a cura di), Barocco Padano 5, Atti del XIII Convegno internazionale sulla musica italiana nei secoli XVII- XVIII, Brescia, 18- 20 luglio 2005, Como, A.M.I.S., 2008, pp. 641- 700.

[16] Vitaliano Borromeo scrisse il 14 aprile 1673: «Morì il Fontana sonatore di violino di Palanza e che era musico dell’Isola. Ha lasciato un figlio, che ben pur sona, in stato miserabile, et havendomi ricercato aggiutto, et impiego, non ho trovato altro modo che quello di farlo assertare ?? fra i quaranta, perché ne’ giorni che non haverà guardia potrà attendere a perfetionarsi sotto la scola del signor Franceschino. Et anche potrà havere occasioni di sonare. Li ho detto che venghi a farsi conoscere da Vostra  Signoria inclinato a’ virtuosi. E prego Vostra Signoria del suo parere e favore verso il medesimo et è buon figlio.»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1673/ 1110). Si può ipotizzare che il figlio violinista di cui si parla nella lettera citata sia il Fontana di Pallanza che suonò a Cesano nel 1677 per le nozze di Carlo Borromeo Arese con Giovanna Odescalchi (rinvio al mio lavoro La festa in villa…, p. 130).

[17] In una lettera indirizzata a Vitaliano Borromeo Francesco Antonio Carcani si firma «Novitio de’ Minori Conventuali di S. Francesco d’Assisi e già di lei musico» e ricorda le delizie «quelle sì singolari consistenti nell’Isola di Vostra Eccellenza da me per la di lei gentilezza per qualche tempo godute»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1676/ 1121, 1676 novembre 12). In una lettera successiva Carcani ribadisce la volontà di servire nuovamente il Borromeo: «quando tornerò a Milano haverò ocasione di attualmente esercitarmi nella di lei servitù e massime al Isola con la mia inabilità»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1676/ 1121, 1676 dicembre 29).

[18] Scriveva Antonio Rossi a Vitaliano Borromeo: «Sua Altezza […] mi ordina di mandargli dimani con una sua carozza che è qui un musico tenore che sia buono per recitare in un’opera che Sua Altezza intende di fare prontamente in Parma, et vi va anche un tal Pasquale che colà ha recitato altre volte in parte ridicola con molto suo proffitto. Pensando io dunque di poter beneficare in sì buona congiontura, il conte Bartolomeo mio figlio mi ha ricordato il Celidone dipendente da Vostra Signoria Illustrissima rapresentandomi la sua virtù, mentre lo sentì l’altro giorno nelle prove del Duomo. Io ne do questo aviso a Vostra Signoria Illustrissima per la molta divotione che le proffesso e perché vorei far valere alle sue creature gli miei arbitrii, e però quando ella voglia et aprovi questa propositione, sarrà necessario che il sudetto musico sia da me subito doppo il pranso per intendersi o pure si compiacia dirmi se devo provederne un altro, poiché la caroza non può trattenersi, ma deve dimani portarsi a Lodi»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1676/ 1121, 1676 dicembre 11). Tre anni dopo, Celidone è ancora citato come musicista attivo all’Isola, in una lettera di Giovanni Angelo Pensa probabilmente rivolta a Vitaliano Borromeo: «se l’aria è strumento della voce, l’aria buona, come quella dell’Isola, è dovere che sia anche miglior strumento e disposicione della buona musica, che ciò sia vero mi rimetto al buon giudicio del signor Celidone e signor Francesco Grua»  (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1679/ 1132, Milano, 1679 ottobre 12).  Su Pietro Antonio Celidone, che effettivamente risulta attivo a Parma in due spettacoli operistici nel 1677, rinvio alle notizie raccolte in DC, p. 59 nota 63.

[19] Si può rilevare il quadro delle presenze scorrendo la ricostruzione compiuta in DC, pp. 47-99, passim.

[20] DC, p. 53 nota 47.

[21] DC, pp. 52-53.

[22]Alcuni manoscritti di composizioni sacre e profane (fra le quali anche tre intermedi) di Carlo Camillo Bramante sono conservati presso il fondo musicale dell’Archivio Borromeo: rinvio a ENRICO BOGGIO, Il fondo musiche dell’Archivio Borromeo dell’Isola Bella, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2004, pp. 9-10.

[23] Agli interessi teatrali si aggiungono quelli per gli studi di filosofia morale e letterari che lo condussero a contribuire alla fondazione del più importante consesso accademico presente a Milano nel secondo Seicento, l’Accademia dei Faticosi, la cui storia ho ricostruito nel mio Valenze sceniche e aperture drammaturgiche nell’attività dell’Accademia dei Faticosi, ora in Scritture in festa…, pp. 49- 77.

[24] DC, pp. 67 ss. Alla medesima commedia si riferiscono probabilmente tre documenti che attestano la copiatura di una commedia e l’invio di quella con alcune musiche da Roma (ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, Corrispondenza 1664/ 1092, 1664 luglio 26, da Roma Giulio Cesare Beagna scrive: «Tengo all’ordine  un altro involto di canzonette, et hora si va coppiando una commediuccia che tutto manderò con prima occasione»; ibi, 1664 agosto 30, Beagna aggiunge: «Stimavo di poter questa sera inviar a Vostra Signoria Illustrissima la commedia et altre musiche, ma puoco vi è mancato a terminarla; ma infalibilmente manderò il tutto la settimana che viene»; ibi, 1664 settembre 13, Beagna comunica: «Con l’ordinario passato inviai la commedia et altre musiche a Vostra Signoria Illustrissima sì come al signor Conte Renato una scattoletta d’Orvietano»).

[25] DC, p. 66.

[26] Per l’attribuzione all’abate Giacomo Rospigliosi, nipote di Giulio Rospigliosi poi divenuto papa Clemente X, rinvio a D. DAOLMI, Sulla paternità degli ultimi drammi di Clemente IX. Con un’appendice documentaria sul nipote Giacomo Rospigliosi, «Studi secenteschi», XLVI, 2005, pp.  131- 177. Lo stesso Daolmi ha, in seguito, rivisto la sua posizione e ha riconsiderato i documenti, arrivando a ritenere che il vero autore dei libretti fu Giulio Rospigliosi, il quale poi intenzionalmente dissimulò la vera paternità dei drammi (si veda D. DAOLMI, Sugli ultimi libretti di Giulio Rospigliosi, «Studi secenteschi», L, 2009, pp. 321- 324).

[27] DC, p. 71.

[28] Presso la Biblioteca Trivulziana di Milano è conservato il Cod. Triv. 891 che riunisce i testi dei libretti di Teodora (I santi Didimo e Teodora) e Bonifatio (San Bonifacio) : è stato ipotizzato che il codice sia da mettere in relazione ai materiali inviati a Vitaliano Borromeo (D. DAOLMI, La drammaturgia al servizio della scenotecnica. Le «volubili scene» dell’opera barberiniana, «Il Saggiatore Musicale», XIII, 2006, n. 1, pp. 39-40). Un profilo dell’attività teatrale di Giulio Rospigliosi è tracciato in S. MAMONE, La vocazione teatrale di Giulio Rospigliosi, in CHIARA D’AFFLITTO, DANILO ROMEI (a cura di), I teatri del paradiso. La personalità, l’opera, il mecenatismo di Giulio Rospigliosi (Papa Clemente IX), Comune di Pistoia, 2000, pp. 37- 67.

[29] Lo attesta una lettera di Federico Calisti a Giberto Borromeo (ABIB, FB GIB03 Corrispondenza 1663/ 741, Roma, 1663 ottobre 31: «Il signore Pignatelli non haveva presso di sé il libro di poesi desiderato da Vostra Eminenza; ma l’ha procurato dal signor Cardinal Pallavicino per mezzo d’uno suo gentilhuomo, et io l’includo in una scatola perché giunga costà più sicuro da ogni strapazzo e verrà insieme con questa lettera. Il signor canonico dice che procurerà anco le comedie del Palazzo incantato e di S. Bonifatio e che le invierà o porterà seco costì al cui fine attende il comodo della carrozza ch’è per venir qua»).

[30] DC, p. 75.

[31] DC, p. 76.

[32] ABIB, Culto, Pontefici, Distinta A-F, Clemente IX (Rospigliosi), lettera di Francesco Liberati, senza destinatario, da ???Crema, 1673 marzo 22: dal momento che il documento non si trova più nei carteggi originari delle singole personalità della famiglia Borromeo, si può solo ipotizzare che la lettera con il testo teatrale siano stati inviati a Vitaliano Borromeo.

[33] Rinvio al saggio di DAOLMI, Sulla paternità degli ultimi drammi…,

[34] La cronologia è stata ricostruita e documentata in DC, pp. 54 ss.

[35] DC, pp.  101 ss.

[36] DC, p. 97 e il mio La festa in villa …

[37] ABIB, Stabili, Isola Bella, Giardini 1632- 1668, Vitaliano Borromeo a Giberto Borromeo, Milano, 1668 giugno 20, pubblicata in DC, p. 86.

[38] ABIB, Stabili, Isola Bella in genere Ce-G/ 2786, Vitaliano Borromeo a Giberto Borromeo, Milano, 1669 novembre 20, pubblicata in DC, p. 93.

[39] DC, p. 106.

[40] Per esempio, L’Irene di Salerno fu probabilmente replicata nel maggio 1667 e, con Ben venga Maggio overo La ninfa guerriera , nell’ottobre 1668 (DC, p. 82 e 87); anche Gratitudine umana fu replicato, forse nell’autunno del 1674 (DC, p. 94).

[41] La festa in villa … pp. 139 ss.

[42] Ibi, p. 141.

[43] Su di lui rinvio al mio Educazione, edificazione, ricreazione: tracce di teatro nei monasteri milanesi in età spagnola, intervento in corso di pubblicazione negli atti di La musica e il sacro, XV Convegno internazionale sul Barocco padano (secoli XVII- XVIII), Milano, Università Cattolica, 14- 16 luglio 2009. I due testi drammatici noti di Fausto Ferrari sono: Himeneo porporato cioè sposalitio e martirio di Santa Cecilia dramma tragicomico musicale, Milano, Heredi di Filippo Ghisolfi, 1671;  Athenais overo il trionfo della bellezza virtuosa. Dramma eroicomico historico, Milano, Gariboldi, s.a.

[44] ABIB, FB VIT06 Corrispondenza 1678/ 1127, Fra Fausto Ferrari Triulzio a [Vitaliano Borromeo], Milano, 167[lacerazione] agosto 25

[45] DC, p. 96.

[46] ABIB, Governi e Stati, Milano, Castellani e Governatori dal 1644 al 1669, fasc. Paolo Spinola Doria, Vitaliano Borromeo al Marchese Spinola, 1674 novembre 27.

[47] DC, pp. 94- 95.

[48] DC, p. 56

[49] DC, p. 68 n. 92 e 70

[50] DC, p. 76 e p. 93.

[51] DC, p. 55 n.

[52] DC, p. 93.

[53] DC, p. 30 ss

[54] DC, p. 87.

[55] DC, p. 67

[56] DC, rispettivamente le due citazioni si trovano alle pp. 67 e 82.

[57] DC, p. 88 nota 158.

[58] Sul profilo politico della famiglia e in particolare sulla figura di Carlo Borromeo Arese, rinvio ai numerosi studi di Cinzia Cremonini, in particolare: Carlo Borromeo Arese, un aristocratico lombardo nel “nuovo ordine” di Carlo VI, in MARCELLO VERGA (a cura di), Dilatar l’Impero in Italia, «Cheiron», 21 (1994), pp. 85- 160; Storia di un’eclissi apparente: la famiglia Borromeo tra dissidi interni e ostracismo spagnolo (1600- 1652), in PAOLO PISSAVINO, GIANVITTORIO SIGNOROTTO (a cura di), Lombardia borromaica Lombardia spagnola 1554- 1659, Roma, Bulzoni, 1995, pp. 477-513; infine Ritratto politico cerimoniale con figure. Carlo Borromeo Arese e Giovanni Tapia, servitore e gentiluomo,  Roma, Bulzoni, 2008. Il brano del  testamento di Vitaliano Borromeo è trascritto ibi, pp. 58-59.

[59] Lettera non firmata ma attribuibile a Giovan Battista Barella, datata 24 novembre 1684, in ABIB, Stabili, Isola Bella in genere, Addobbi e mobili (RINVIO A APPENDICE DOCUMENTARIA DEL VOLUME curata da APisoni)

[60] C. MOZZARELLI, Villa, villeggiatura e cultura politica tra Cinque e Settecento. Riflessioni dal caso milanese, «Annali di Storia moderna e contemporanea», 3 (1997), p. 156, sottolinea le modalità con cui i Borromeo, come poche altre famiglie di levatura sopranazionale, vivessero la «gloria dell’otium»  .

[61] DC, p. 50.

[62] ABIB, FB, Vitaliano VI, Corrispondenza 1680/ 1137, Angelo Bon a Vitaliano Borromeo, Venezia, 1680 giugno 22.

[63] ABIB, Stabili Isola Bella in genere O-Z, Vitaliano Borromeo a Giberto Borromeo, Milano, 1665 novembre 18.

[64] DC, p. 51 nota 40.

[65] Il compendio della vita dell’Eccellentissimo Signor Conte Carlo Borromeo composta da Don Giovanni Tapia cavagliere dell’Ordine di Sant’Jago, e gentiluomo della detta eccellentissima Casa Borromea, in CREMONINI, Ritratto politico cerimoniale, p. 226.

[66] DC, p. 51 nota 39.

[67] DC, pp. 51- 52.

[68] I disegni sono conservati in ABIB, Stabili, Isola Bella in genere O-Z. PER ALEX PISONI: SAREBBE DA CTRLL

[69] DC, pp. 139- 140.

[70] ABIB, Stabili Isola Bella in genere O-Z, cappellano Lamberti a Vitaliano Borromeo, Isabella, 1674 agosto 16.

[71]Il compendio della vita, p. 353.  Una prima lettura complessiva della cultura teatrale della nobiltà milanese nel Settecento è tracciata nel mio Pratiche teatrali del patriziato e dei nobili a Milano fra spazi privati e pubblici teatri, in A. CASCETTA, G. ZANLONGHI (a cura di), Il teatro a Milano nel Settecento, I, I contesti, Milano, Vita e Pensiero 2008, pp. 375- 431.

[72] DC, p. 66 e p. 58.

[73] La festa in villa, pp. 133-134.

[74] www.verbanensia.org

[75] Si veda l’edizione C. M. MAGGI, Il teatro milanese, a cura di Dante Isella, Torino, Giulio Einaudi, 1964, 2 voll.

[76] DC, pp. 123- 125.

[77] CARPANI, Pratiche teatrali del patriziato, p. 408.

[78] G. GUCCINI, Per una storia del teatro dei dilettanti:la rinascita tragica italiana nel XVIII secolo, in G. GUCCINI (a cura di), Il teatro italiano nel Settecento, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 177- 203.

[79] Il compendio della vita, p. 251.

[80] Il compendio della vita, pp. 246, 249, 251, 252, 257,  265, 289,  313, 318, 322, 324, 326, 329- 330, 332, 333, 335- 338,  341- 342.

[81] Il compendio della vita, pp. 265- 268.

[82] CARPANI, Pratiche teatrali del patriziato, pp. 410- 411.

[83] P. CANETTA, Notizie storiche riguardanti le quattro isole possedute nel Lago Maggiore dal conte Giberto Borromeo, dattiloscritto conservato presso l’Archivio Borromeo dell’Isola Bella.

[84] Sugli interventi di Sanquirico rinvio a MARIA IDA BIGGI, Immaginazione e dominio tecnico, in MARIA IDA BIGGI, MARIA ROSARIA CORCHIA, MERCEDES VIALE FERRERO, Alessandro Sanquirico «il Rossini della pittura scenica», Pesaro, Fondazione Rossini, 2007, pp. XIII- XXVIII.

[85] M. GORLA, Le marionette di casa Borromeo, Bologna, CLUEB, 1987, p. 27.














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