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Siro Ferrone

Marco Napolioni, attore del Convitato di pietra (1657)

Data di pubblicazione su web 23/02/2011
Balli di Sfessania

Questo saggio è apparso nel volume I colori della narrativa. Studi offerti a Roberto Bigazzi, a cura di A. Matucci e S. Micali, Roma, Aracne, 2010, pp. 83-94.

 

 

Marco Napolioni (o Napoleoni), in scena noto come «Flaminio», interprete quindi di parti da «innamorato», è citato da Benedetto Croce (I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari, Laterza, 1926, p. 78), repertoriato da Luigi Rasi (I comici italiani, Firenze, Fratelli Bocca, 1897-1905, vol. II, pp. 174-176), ma ignorato dall’Enciclopedia dello Spettacolo e dal Dizionario biografico degli italiani. Grazie ad alcune recenti ricerche archivistiche relative alla storia materiale del teatro del secolo XVII e a indagini dedicate alle compagnie e ai luoghi teatrali del tempo, la sua biografia, per quanto tuttora largamente lacunosa, è almeno in parte lumeggiata, tanto da suggerire un primo abbozzo di ‘giudizio’ critico. Nelle pagine che seguono, si propone, anche se leggermente rimaneggiato ai fini di una più agevole lettura su carta, il profilo tracciato per il lemma dell’Archivio Multimediale. Non sono menzionate per ragioni di spazio tutte le fonti dirette e indirette che il thesaurus elettronico contempla, dall’elenco delle compagnie di cui fece parte il nostro attore al calendario delle stagioni comiche (che – come è noto – a quest’altezza iniziano dopo la quaresima e si concludono con il carnevale dell’anno seguente) agli epistolari dei comici coevi e dei principi mecenati che costituiscono la base documentaria affidabile del nostro restauro. Per una completa informazione bibliografica si rimanda alla consultazione del sito di AMAtI nella rete telematica.

 

Pur non conoscendo certificazione alcuna sulla sua città natale, si può supporre un’origine napoletana di Napolioni sulla base dei numerosi riferimenti, emersi nella ricostruzione della sua carriera, a quella città e ad attori partenopei a lui collegati. Alla primavera del 1635 risale la sua prima apparizione in un documento: risulta tra i componenti di una compagnia che rivolge alle autorità medicee la richiesta di autorizzazione per un ciclo di rappresentazioni da tenersi l’anno seguente, tra maggio e agosto, a Firenze, nel teatrino di Baldracca, e a Siena. È insieme al grande attore e musicista Francesco Gabrielli, in arte noto come Scapino, che morirà probabilmente di sifilide nel marzo dell’anno seguente. A causa di quella tragica defezione non è certo che le rappresentazioni previste abbiano avuto luogo, più probabile che la compagnia si sia sbandata. Una parte degli attori mantiene tuttavia dei legami con Napolioni. Alcuni di essi figurano infatti con lui nel 1637 in una nuova formazione costituitasi a Bologna e capeggiata da Giovanni Andrea Bragaglia (Valerio) e da moglie Ippolita Gabrielli, erede per ragioni famigliari dei diritti di capocomicato derivanti dal defunto. Ci sono altri attori appartenenti ad una folta colonia napoletana abitualmente residenti in quella città. Tra questi si segnalano il Pulcinella Francesco Biancolelli, padre del futuro astro Domenico Biancolelli, che sarà interprete della maschera di Arlecchino alla corte di Luigi XIV, e, in coppia con la moglie Beatrice Vitali, Giovan Battista Fiorillo (Trappolino), figlio di un altro illustre napoletano, Silvio Fiorillo, inventore primo della maschera di Pulcinella ma anche celebre per le sue performances sceniche e letterarie come Capitan Matamoros. Sicuramente Bologna costituisce per questo nucleo di attori il luogo privilegiato di abitazione durante i periodi di sosta dell’attività teatrale, in particolare durante la quaresima. In questo periodo la città pare costituire – anche grazie alla “copertura politica” che poteva essere garantita dall’appartenenza a una comunità interna alla stato pontificio – il centro più attivo nello smistamento delle compagnie teatrali itineranti occupando il ruolo che era stato di Mantova tra il 1580 e il 1630[1].

 

Bisogna poi arrivare al 1640 per trovare altre notizie su Napolioni. Ulisse Prota Giurleo (I teatri di Napoli nel secolo XVII, Napoli, Il Quartiere edizioni, 2002, tomo III, pp. 236-237) informa che quell’anno l’apparatore Gregorio delle Chiavi, diventato impresario, prende in affitto il teatro dei Fiorentini «per farvi agire la Compagnia di Marco Napolione»: è dunque probabile che abbia assunto l’autorità, anche se provvisoria, di capocomico. Ma è ancora a Bologna che lo troviamo insieme ad alcuni compagni del ’37 nell’ottobre 1642: accanto a nuovi scritturati, c’è ancora la coppia Beatrice-Trappolino, ci sono gli eredi di Scapino, ci sono soprattutto i due leaders del gruppo, Ippolita Gabrielli e il marito di lei Valerio[2]: le testimonianze che ci rimangono assegnano a quest’ultimo il merito dell’importazione al nord di molti canovacci inediti provenienti dall’area napoletana; ma l’esperienza vissuta da Napolioni al teatro dei Fiorentini, insieme alla tradizione che gli assegna la paternità di copioni, molti dei quali di origine spagnola, certificano almeno la fama di una sua certa qualità di drammaturgo.

 

Nella prima edizione della Drammaturgia di Leone Allacci (Roma, Mascardi, 1666) vengono infatti attribuite a Napolioni numerose opere (adattamenti e traduzioni), tutte citate dal Rasi nella voce a lui dedicata nei Comici italiani. Le successive edizioni dell’Allacci omettono tuttavia le attribuzioni mentre Benedetto Croce le corregge parzialmente. Riportiamo qui di seguito alcuni dei titoli sulla base di emendamenti proposti recentemente da Nancy A. D’Antuono, La commedia española en la Italia en el siglo XVII: la Commedia dell’Arte in La comedia española y el teatro europeo del siglo XVII, edited by Henry W. Sullivan, Raul A. Galoppe, Mahlon L. Stoutz, London, Tamesis, 1999, pp. 2 – 39: Il re rivale del suo favorito da Jeronimo de Villayzan; Il purgatorio di San Patrizio [da El Purgatorio de San Patricio], La gran Zenobia [da La Gran Cenobia], La vita è sogno [da La vida es sueño] , La casa con due porte [da Casa con dos puertas] da Calderon de la Barca; Il Sansone [da El Sanson (El valiente Nazareno)] e Il gran Seneca di Spagna Filippo II [da El segundo Seneca de España] da Pérez de Montalban; Il nigno diablo [da El niño diablo], L’armata navale vittoriosa sotto Don Giovanni d’Austria [da La Santa Liga] e Il cane dell’ortolano [da El perro de l’hortelano] da Lope de Vega; Lo schiavo del demonio ovvero il Don Gili (da El esclavo del demonio di di Mira de Amescua); Theagene e Cariclea forse da Theagenes y Cariclea (ovvero Los hijos de la fortuna di Perez de Montalban). Altri titoli proposti dal primo Allacci, ripresi dal Rasi, sono stati corretti e integrati dalla D’Antuono ma con qualche dubbio: La fortuna di Don Bernardo di Cabrera e Don Lopez de Luna (da La prospera fortuna de Don Bernardo de Cabrera); La verità bugiarda (di origine incerta); Il Gran Catalan Sacralonga da El catalan Serralonga di Montalban, Coello e Rojas Zorilla (oppure da El catalan Serralonga y Bandos de Barcellona di Coello, Velez de Guevara e Rojas Zorilla); Il Macometto (forse da El profeta falso Mahoma di Rojas Zorilla); Il maritarsi per vendetta [forse da Casarse por vengars], Il pericolo ne’ rimedi [forse da Peligrar en los rimedios], Persile e Sigismondo [forse da Persiles y Segismunda] di Rojas Zorilla; Gli aggravj trionfanti della gelosia [forse da Juan Ruiz de Alarcon]; L’anticristo [forse da un’opera di Gabriel Deldorel]; Il generoso nemico di fonte non identificata. Nessuno di questi copioni è giunto a noi.

 

Il Napolioni dovette praticare il mestiere di drammaturgo e adattatore dallo spagnolo con quella disinvoltura che è tipica degli artigiani della scena, poco attenti al rispetto filologico, sensibili invece agli espedienti scenici. Il suo fu, probabilmente, un mestiere analogo a quello di Giacinto Andrea Cicognini, il maggiore importatore di testi teatrali spagnoli nell’Italia del secolo XVII. La mancata edizione dei copioni da lui elaborati probabilmente spiega l’oblio della sua pratica drammaturgica. Ma può anche essere vero il contrario: che il Napolioni avesse fatto conoscere come opere sue composizioni teatrali da lui solo rappresentate sulla base di copioni approntati da altri.

 

Nella stagione iniziata nel settembre 1645 l’attore si trasferisce da Napoli a Firenze su richiesta di Leopoldo dei Medici, insieme alla moglie e a un’altra coppia di comici, Andrea e Angela Orsi, in arte Fabrizio e Angela (o Angiolina). Nel febbraio del 1647 risulta essere impegnato, alle dipendenze del duca di Modena insieme a Carlo Cantù (Buffetto), a Giovan Andrea Zanotti (Ottavio), Isabella Franchini (Colombina), moglie del Cantù, e altri (fra cui forse il giovane Domenico Giuseppe Biancolelli, futuro Arlecchino), prima a Parma e poi a Roma presso Donna Olimpia Panfili per la stagione di carnevale. L’ipotesi[3] di una sua presenza a Parigi per la rappresentazione dell’Orfeo di Cavalli e Buti pare dunque infondata o comunque da spostare a data diversa. A Roma Napolioni viene raggiunto dalle notizie napoletane dell’insurrezione antispagnola di Masaniello. L’attore si sarebbe adoperato per staccare «quanti più compagni potesse dalla Compagnia di Buffetto, per condurli seco a Napoli con laute promesse e i viaggi pagati (mercé le auree pistole dell’Ambasciatore di Francia)». Nonostante l’opposizione dei compagni Flaminio raggiunge la città in rivolta «per portare istruzioni ai ribelli napoletani». Ma la missione è di breve durata, almeno quanto il governo di Masaniello: in autunno l’attore deve tornare in tutta fretta a Roma sfuggendo alla repressione spagnola e lasciando le sue «robbe» nel molo piccolo di Napoli. Prota Giurleo rievocando quelle turbolenze sottolinea che «il povero teatro S. Bartolomeo servì per due anni ad ospitare Compagnie di soldati, anziché di comici» e «quando nell’aprile del 1648 fu sgombrato dai soldati e restituito all’Ospedale, era in condizioni miserande ed occorsero grandi spese per restaurarlo e riaprirlo agli spettacoli». Nel frattempo però Napolioni aveva trovato ricovero prudente a Firenze presso Leopoldo dei Medici insieme alla moglie e ad altri compagni.

 

Nell’autunno del 1648 Napolioni si svincola definitivamente dai compagni bolognesi con cui aveva iniziato la professione ed entra a fare parte di una compagnia assai brillante, in cui si segnala il talento dell’ultimo rampollo dei Fiorillo, Tiberio, noto in arte come Scaramuccia, figlio di Silvio e fratello minore di Giovan Battista. Prima a Roma nell’ottobre e poi a Milano nel teatro del palazzo ducale, subito dopo Pasqua si trova a recitare con Angela Signorini Nelli (Angiola), Angela Orsi (Angiolina), Diana (Giulia Gabrielli), la moglie di Scaramuccia, Isabella Del Campo (in arte Marinetta), Andrea Orsi (Fabrizio), Agostino Grisanti (Mario), Ercole Nelli (Dottore), Angelo Gabriele Bindoni (Pantalone), Giulio Cesare Torri (Zaccagnino). Con lui anche la moglie, in arte Fragoletta, ma di ignoti natali. Non è dato di sapere chi fosse il capocomico di una formazione così agguerrita ma è probabile, stando alle firme della richiesta di licenza per Milano, che i referenti autorevoli fossero il Nelli e Scaramuccia.

 

Una nuova compagine, questa volta intitolata «Uniti», sotto la protezione di Giovan Carlo dei Medici, prende forma nella primavera del 1649 in vista della stagione che condurrà al carnevale del 1650. Marco Napolioni ne fa parte con Tiberio Fiorillo. Sono della partita, oltre a Fragoletta e Marinetta, le mogli dei due principali attori, anche Lorenzo Cecchini (Virgilio), Angelo Gabriele Bindoni (Pantalone), Bernardo Coris (Silvio) e la moglie Orsola Coris (Eularia), Lodovico Lupari (Dottor Spadazza) e Giovan Battista di Alisa con la moglie.

 

Nella primavera 1650 Napolioni viene coinvolto in una complessa vicenda mecenatesca. Il duca Francesco I d’Este tenta di formare una buona compagnia, adatta anche per le “esportazioni”. Per fare questo cerca di ricattare Beatrice e Giovan Battista Fiorillo facendo in modo che restino senza scritture ed averli così a buon mercato, nello stesso tempo offre condizioni vantaggiosissime a Napolioni. Questi però ha commesso l’errore di rivelare l’offerta ai suoi compagni i quali arrivano addirittura a sequestrarlo in casa avendo invece l’intenzione di accettare le proposte di rappresentazioni in autunno a Firenze e per il carnevale 1651 a Roma, probabilmente sotto la protezione di un altro principe mediceo, questa volta il cardinale Giovan Carlo dei Medici. Forse, in questo come in altri casi, la debolezza dell’attore consiste nel fatto di non poter disporre di una primadonna di sicuro talento, capace di rafforzare il suo potere contrattuale presso i nobili committenti.

 

La successiva stagione comica vede ancora Napolioni al centro di turbolenze contrattuali e provocazioni mecenatesche ordite dai due coniugi. Nella primavera del 1651, nel tempo di quaresima in cui si stipulano i nuovi contratti e si programmano le tournées, l’attore si trova probabilmente a Roma insieme ai due Fiorillo, alle loro mogli e al vecchio e famoso Giovan Battista Andreini che sta concludendo la sua carriera interpretando la parte di Pantalone dopo avere consumato una vita nei panni dell’innamorato Lelio. C’è in programma una bella serie di rappresentazioni prima a Roma, poi a Napoli, poi in autunno a Firenze e quindi di nuovo a Roma nel carnevale 1652. Scoppiano però dissidi fra la coppia Beatrice e Giovan Battista Fiorillo, da una parte, e Napolioni dall’altra: quest’ultimo, insofferente della dittatura impresariale della coppia, avrebbe provocato una piccola scissione abbandonando la compagnia e trascinando con se altri ottimi attori. L’intervento “impresariale” di Giovan Carlo dei Medici risolve però come al solito la vertenza rimaneggiando d’imperio la formazione che recita prima a Firenze, in autunno, e poi a Roma presso la famiglia Pamphili. Dai documenti in nostro possesso risulterebbero esclusi Giovan Battista Fiorillo e Beatrice Vitali, che avrebbero quindi perso il duello con Napolioni; al vertice della compagnia dovette essere forse Ercole Nelli, il cui principale merito consisteva nella relazione coniugale con la brillantissima Angela Nelli che negli anni precedenti era diventata famosa per le interpretazioni osées in una parte minore dell’Ateista fulminato.

 

Nella primavera del 1653 l’ambasciatore di Francia a Roma cerca di costituire una compagnia per Luigi XIV, avendo in mente soprattutto la presenza di Tiberio Fiorillo. In un primo momento la compagnia prevede tre zanni (Giovan Battista Fiorillo – Trappolino, Tiberio Fiorillo – Scaramuccia e Domenico Locatelli – Trivellino), tre amorose (Isabella Del Campo, Beatrice Vitali e la moglie di Trivellino, Luisa Gabrielli, detta Lucilla), tre amorosi (Marco Napolioni, Agostino Romagnesi come Leandro, un Capitano) e due vecchi (Graziano e Pantalone) non meglio identificati. In seguito però il Locatelli si oppone alla presenza di Napolioni che infatti resta in Italia. Inizia qui un periodo oscuro della sua vita. Di lui si perdono le tracce per alcuni anni, con una notizia del marzo del 1655, quando lo troviamo insieme alla moglie e a un figlio, alle dipendenze del duca di Mantova, una che lo segnala a Firenze tra la fine del 1656 e il gennaio 1657. Ed è allora che la sua apparizione si fa gloriosa.

 

Qui infatti, l’8 gennaio 1657, documenti conservati all’Archivio di Stato di Firenze segnalano una importante rappresentazione «ne la via del Cocomero, ne la stanza dell’Accademia dei Sorgenti. Recitarono i commedianti e rappresentarono Il convitato di pietra. Fu arricchita con belle musiche, intermedi, machine e con balletti. Vi fu il Granduca, la Serenissima e tutti i principi e si fece invito di Dame» una replica è segnalata il 19 gennaio. Ci pare attendibile l’ipotesi avanzata da Annamaria Testaverde[4] secondo la quale quel canovaccio fu recitato da Giovan Battista Fiorillo e da Marco Napolioni: si può anche supporre che il primo recitasse nella parte del servo Cola e il secondo nella parte di Don Giovanni; suggeriamo questa ipotesi in considerazione del diverso rilievo che i due attori assumono nel libro-paga dei Medici: Napolioni riscuote infatti cinquantacinque scudi, mentre Trappolino solo quindici, compenso di poco superiore alla «dote» di dodici scudi che il granduca concesse in quella occasione al figlio di Scaramuccia, Silvio, in quei giorni in procinto di partire per la Francia dove avrebbe ritrovato il padre[5]. Probabile che in quella rappresentazione Beatrice Fiorillo abbia recitato nella parte di Donna Anna. Meno attendibile l’inserimento in quel cast anche di Carlo Palma (Truffaldino) e Eularia Coris, avanzata sempre da Testaverde, alla quale si deve peraltro la pubblicazione del canovaccio conservato nel libro dei conti della famiglia Montalvo, intitolato Il convitato di pietra opera cavata dal vero e congetturalmente collegabile alle rappresentazioni fiorentine. Testaverde ipotizza anche che quel canovaccio possa essere collegato alla tradizione avviata in area medicea dal Cicognini e a questo proposito cita le ultime battute del dramma, dove i «servi […] si dolgono del salario»: tali battute non sono presenti in nessun altro testo, tranne che in quello attribuibile al Cicognini, nel Dom Juan di Molière e nel canovaccio di analogo argomento che l’Arlecchino Biancolelli avrebbe recitato fin dal 1660 a Vienna, prima di riprenderlo a Parigi qualche anno dopo[6]. Del Convitato di pietra esisterebbe dunque una possibile filiera di stampo mediceo di cui sarebbe testimone e vettore proprio il nostro Napolioni.

 

Forse anche in seguito a questo ruolo di grande successo, nel corso della stagione che comincia nel settembre 1657, Napolioni assurge al ruolo di capocomico in una compagnia protetta dai Gonzaga e impegnata a Firenze nel bimestre settembre-ottobre e poi in novembre al teatro San Samuele di Venezia governato dall’impresario Giovanni Grimani; nella formazione figurerebbe anche il giovane Arlecchino Biancolelli. Nell’anno comico 1658-59 nonostante la sua compagnia, sempre sotto l’egida dei Gonzaga, abbia ottenuto la licenza di recitare in tutta la Toscana a partire dall’estate, Napolioni, forse ammalato, si trattiene dapprima con la moglie a Roma, provocando una controversia con l’attrice Orsola Coris, la quale deve ammettere che «come sarà arrivato Flaminio [Napolioni] […] sarà la meglio di tutte le compagnie di questo anno» (7 gennaio 1658). La compagnia reciterà prima ad Ancona (senza molta fortuna) e poi a Livorno, durante l’estate, quindi a Lucca e poi a Firenze in ottobre, e infine a Roma, come di consueto, per le prime settimane dell’anno seguente. Oltre alla Coris, faranno parte della formazione Giulio Cesare Torri (Zaccagnino), la moglie di questo, Antonia Isola Torri (Lavinia) e un non identificato Giangurgolo, che morirà però proprio quella estate. Tra gli spettacoli realizzati si menziona un’opera in musica, battezzata «l’opera di Firenze», più volte replicata e destinata a riprese future, molto apprezzata per le macchinerie e la scenografia.

 

Ancor più controversa e agitata appare la stagione comica successiva 1659-60, quando il Napolioni si trova al centro di una contesa che riguarda più la procedura che il merito di una nuova programmazione di spettacoli. La controparte a lui avversa è il principe di Gallicano, Pompeo Colonna, che fino all’ultimo si oppone ad una presenza duratura di Napolioni in compagnia, mentre tutti gli altri negoziatori paiono impegnati a risolvere la questione con il gradimento dei mecenati medicei, i quali finiranno ovviamente per prevalere consentendo, come al solito, quel circuito teatrale ‘virtuoso’ che all’epoca consisteva nella successione delle tappe toscane (Firenze in primis) e poi romane, con esclusione, quando non fosse possibile altrimenti, della tappa napoletana, pur desiderata dai comici. Così in questo caso il nostro Napolioni sarà presente in tutta la tournée (una lettera del 4 luglio 1659 lo definisce «il melio comico che calchi sena») e come al solito lautamente ricompensato, oltre che dai Medici, anche a Roma dai Farnese e dai Barberini per le rappresentazioni tenutesi al teatro del Mascherone in via Giulia, la cui pessima reputazione non dovette disturbare i guadagni degli attori. Quanto alla composizione della compagnia pare certa la partecipazione di Orsola Cortesi (Eularia), di un figlio e di una figlia del Napolioni, di Carlo Palma (Truffaldino); solo probabile invece la presenza di attori identificati talvolta dal solo nome d’arte e segnalati esplicitamente nella fase iniziale della trattativa. A questi altri se ne aggiunsero, provenienti da Siena per disposizione di Mattias dei Medici. Paiono invece cadere le candidature proposte dallo stizzoso e prepotente principe di Gallicano: Aurelia (Brigida Bianchi Romagnesi), suo marito (Agostino Romagnesi, detto Leandro) e forse Ottavio (Giovanni Ottavio Zanotti). Dello stesso Scaramuccia e della di lui moglie Marinetta, inizialmente presi in considerazione, non sono visibili tracce in compagnia. Ma molti di questi dati restano incerti.

 

Nell’autunno del 1660, sempre sotto la protezione medicea, Napolioni recita prima a Firenze, poi si trasferisce in dicembre a Roma per lavorare di nuovo nel teatro del Mascherone in via Giulia al servizio del cardinale Flavio Chigi. Con lui sono Orsola Coris (Eularia), Giuseppe Fiala (Capitan Sbranaleoni), Scaramuccia e Marinetta che recitano «con grandissimo concorso di popolo». Non sappiamo se la raccomandazione che Giovan Carlo dei Medici indirizzò al viceré di Napoli perché fosse loro aperta la piazza di Napoli, abbia avuto successo.

 

Dopo il marzo 1661, al termine del ciclo di recite romane, non compaiono più documenti con espliciti riferimenti all’attività di Napolioni. Una lettera del 17 settembre 1661, all’aprirsi del nuovo anno comico a Firenze, pare desolata: «Si trova questa città all’autunno e sprovvista del consueto trattenimento delle commedie, onde la gioventù non sa astenersi di farne meco qualche rammarico. Io ho procurato di vedere se era possibile comporre una compagnia, premendomi sopra ogni altra cosa il gusto che ne saria derivato alla serenissima sposa, ma essendo mancato Flamminio e trovandosi disgregati in paesi diversi gli altri suggetti, non mi è riuscito di concluder cosa alcuna». Quel “mancamento” pare essere la morte del nostro Flaminio, con successivo scompiglio dei suoi compagni comici. In una successiva lettera del 31 agosto 1662 (di Giovan Agostino Grisanti, detto Mario comico, a Giovan Carlo dei Medici, da Brescia) si parla di una «Flaminiuccia ch’era di Flaminio e Odoardo suo marito» [forse l’attore Francesco Maria Balletti]: la donna potrebbe essere la figlia di Napolioni già citata in una lettera del 25 agosto 1659 di Mattias dei Medici a Giovan Carlo[7]. Un successivo documento del 1664 pare menzionare meccanicamente il nome di Flamminio come marchio di fabbrica di una realtà trapassata.

 

Di sua mano è sopravvissuta una sola lettera, indirizzata da Bologna a un segretario del duca di Mantova il 30 agosto 1657. Di documenti diretti restano alcune fredde ricevute di pagamenti presso corti italiane. Tutto questo mio breve profilo è dunque il risultato del montaggio di frammenti di missive “di altri ad altri” nelle quali sono rimaste impigliati come nelle reti di ignari pescatori cenni, allusioni, commenti di una delle tante esistenze perdute del teatro.

 

 



[1] Sul ruolo di Bologna come centro dei commerci teatrali del pieno Seicento cfr. gli studi di Sergio Monaldini, Il teatro dei comici dell’arte a Bologna, in «L’Archiginnasio», XC (1995), pp.33-164 (qui è pubblicata alle pp. 113-115) l’unica lettera autografa conosciuta di Napolioni) e Id., Arlecchino figlio di Pulcinella e Colombina. Note sulla famiglia Biancolelli, tra Bologna e Parigi, ivi, XCI (1996), pp. 83-161 (in particolare alle pp. 93-94 la trascrizione del documento che attesta la presenza a Bologna del Napolioni nella parte finale del 1637).

[2] Cfr. ivi, p. 88 la notizia registrata nel 1643 presso un notaio bolognese circa il credito vantato dalla famiglia del napoletano Francesco Biancolelli, in arte Pulcinella, nei confronti del «signor Marco Napolioni detto Flaminio, comico napolitano, di scudi ottanta moneta di Bologna». Il documento originale si trova all’Archivio di Stato di Bologna, Notarile, notaio Paolo Forti, 1643, c. 36r.

[3] L’ipotesi è avanzata da Silvia Carandini e Luciano Mariti, Don Giovanni o l’estrema avventura del teatro. “Il nuovo risarcito Convitato di pietra” di Giovan Battista Andreini, Roma, Bulzoni, 2003, pp. 204-205 e nota 5.

[4] Anna Maria Testaverde, Le ‘riusate carte’: un inedito repertorio di scenari del secolo XVII e l’ombra di Molière, in Lo spettacolo nella Toscana del Seicento, a cura di Sara Mamone, in «Medioevo e Rinascimento», XI/n.s. VIII (1997), pp. 417-446.

[5] Teresa Megale, Figli d’arte. Giovan Battista Fiorillo alias “Trappolino”, in «Il Castello di Elsinore», VII (1994), 20, pp. 71- 86.

[6] Per i testi di Cicognini e Biancolelli cfr. Giovanni Macchia, Vita avventure e morte di Don Giovanni, Torino, Einaudi, 1978, pp. 151-162 e 167-206. Cfr. sull’argomento anche Siro Ferrone, Shakespeare, Scaramouche, Arlecchino, Molière. Sulla tradizione europea della Commedia dell’Arte in «Commedia dell’Arte. Annuario internazionale», II (2009), pp.3-51.

[7] I due documenti sono pubblicati in Sara Mamone, Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 320-321 e 407-408. In alcune lettere moglie e figli sono menzionati come compagni nell’Arte. Oltre alla prima moglie, che abbiamo conosciuto per il solo nome d’arte, Fragoletta e che fa la sua prima apparizione nell’ottobre 1645, i figli, di numero imprecisato, vengono ricordati una prima volta in un documento del novembre 1647; nel marzo del 1655 si apprende che Napolioni è pagato «una parte» come la moglie mentre un figlio riceve «mezza parte»; più avanti (16 aprile 1658) si apprende che c’è anche una figlia impegnata nella professione; nelle lettere dell’estate 1659 sono certificati insieme al padre sia un figlio che una figlia: quest’ultima è quella menzionata insieme al marito nella citata lettera del 17 settembre 1661.

 

 


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