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Lorenzo Colavecchia

Antonio Sacco alla corte di San Pietroburgo (1733-1734)

Data di pubblicazione su web 03/02/2011
Antonio Sacco alla corte di San Pietroburgo (1733-1734)

Pubblichiamo in anteprima l'articolo che Lorenzo Colavecchia ha scritto per il n. 63 di «Il castello di Elsinore». Includiamo anche il testo della commedia I quattro Arlecchini, tradotto da Daniela Bonciani.


La figura di Antonio Sacco, pur non essendo stata finora oggetto di una monografia specifica, è stata ampiamente trattata dagli studiosi. Ad essa sono stati dedicati numerosi saggi e ancor più frequenti sono i richiami all'attore contenuti all’interno delle pubblicazioni relative a Carlo Goldoni, a Pietro Chiari e a Carlo Gozzi1, gli autori con i quali collaborò nel corso della sua lunga esperienza sulla scena teatrale del XVIII secolo. La dispersione della notevole quantità di materiale storico e critico prodotto a riguardo di Antonio Sacco ha purtroppo impedito che l’attenzione degli studiosi si posasse su uno degli episodi fondamentali della vita del comico, ovvero il ciclo di recite che l'attore tenne alla corte di San Pietroburgo tra il 1733 e il 1734 insieme alla compagnia diretta dal padre Gaetano, su invito dell'Imperatrice Anna Ivanovna. L'analisi dei documenti archivistici e spettacolari prodotti in occasione di questa tournée si rivela invece indispensabile per comprendere a pieno la fisionomia artistica di Sacco e contestualizzare meglio il suo rapporto con i tre grandi drammaturghi del Settecento veneziano. Le informazioni a disposizione degli studiosi sono infatti abbondanti e preziose, sia per la precisione dei dati relativi alla composizione della compagnia che per la particolare forma testuale del materiale drammaturgico conservato. Conoscere su cosa si basasse l'interpretazione del ruolo di secondo zanni da parte di Antonio Sacco in occasione delle recite in Russia e sapere quale fosse il suo repertorio all'età di venticinque anni significa infine gettare una luce più intensa e proveniente da un'angolazione diversa sul suo ingresso nella compagnia del teatro di San Samuele di Venezia nel 1738. Risulteranno quindi più chiari i termini della sua collaborazione con Goldoni e potremo comprendere meglio a cosa si riferiva l'autore quando affermò che «ce qui rendit cette Compagnie completement bonne, fut le fameux Arlequin Sacchi2».

Di una tournée in Russia dell'attore parlò gia Francesco Saverio Bartoli, senza però fornire una precisa collocazione temporale e liquidandola con un generico «portossi in Moscovia»3. Nel 1917 il filologo russo Vladimir Nikolaevic Peretc dette alle stampe una raccolta dei testi delle commedie rappresentate dai comici italiani alla corte russa tra il 1733 e il 17354, nella quale tuttavia non si fa riferimento alla composizione delle compagnie. Per avere informazioni sicure sulla presenza dell’attore in Russia si è dovuto attendere fino al 1989, quando Ljudmila Mihajlovna Starikova pubblicò il rendiconto amministrativo dell’organizzatore incaricato di occuparsi delle compagnie comiche ospitate a San Pietroburgo, l'italiano Giuseppe Avolio5. Nel documento estratto dagli archivi moscoviti il nome di Antonio Sacco compare più volte, accanto a quello dei suoi familiari e di altri attori italiani. Un’ulteriore conferma della sua presenza in Russia è data dalla scoperta, sempre ad opera di Starikova, delle registrazioni relative ai passaporti rilasciati nel dicembre 1734 ad alcuni comici per il loro ritorno in Italia6. Nel 2000 infine le notizie raccolte dagli studiosi russi sono state oggetto di una monografia da parte di Marialuisa Ferrazzi, nella quale, oltre a ricollegare i testi ai materiali d'archivio e agli artisti che li rappresentarono, vengono fornite le traduzioni degli argomenti delle commedie e delle sezioni del documento di Avolio relative agli allestimenti scenici7.

La volontà di Anna Ivanovna di importare artisti italiani direttamente dall’Italia si inserì all’interno di un disegno politico e culturale che tendeva all’imitazione dello splendore delle corti occidentali, dove la presenza dei comici dell’arte era una consuetudine ormai secolare. Nel 1730 un’altra compagnia di attori italiani era già stata chiamata ad esibirsi a Mosca nell’ambito dei festeggiamenti per l’incoronazione dell’Imperatrice, ma per l’occasione Anna si era rivolta a Federico Augusto I, principe elettore di Sassonia, che presso le corti di Dresda e Varsavia poteva vantare la presenza di cinque troupes di varie nazionalità, specializzate nei diversi generi spettacolari8. Questa prima esperienza si era però conclusa alla fine del 1731, probabilmente a causa del lutto indetto per la morte della sorella dell’Imperatrice, avvenuta l’8 ottobre, e per la successiva concorrenza di un gruppo di musicisti e cantanti giunti a Mosca dalla Germania9. Nel 1732, a seguito dello spostamento o meglio del ritorno della corte a San Pietroburgo, Anna decise di proseguire e dare nuovo slancio alle rappresentazioni comiche, rafforzando così anche sul piano spettacolare le tendenze occidentalizzanti della corte. Il 13 settembre di quell'anno infatti l’Ufficio di Tesoreria di San Pietroburgo inviò al Ministero degli Affari Esteri un promemoria per il rilascio di un passaporto ai musicisti Kašper Kugert e Domenico Dreyer per consentire loro di recarsi in Italia a reclutare una compagnia di comici e portarla a recitare a corte. All’inizio del mese di marzo 1733 Dreyer ripartì da Venezia, insieme agli artisti che riuscì ad ingaggiare subito dopo la fine del carnevale10. Non è possibile stabilire con esattezza la data in cui il gruppo giunse a San Pietroburgo, ma sicuramente sappiamo che il 17 aprile vennero stanziati 12500 rubli «per il mantenimento annuale della compagnia di comici italiani che soggiornerà qui a corte»11.

Circa gli spazi predisposti nella nuova capitale per l’esibizione della compagnia proveniente dall’Italia si possono fare solamente delle ipotesi, basate sulle memorie di contemporanei e su alcuni documenti rinvenuti negli archivi russi. Nel 1723 Pietro I aveva fatto costruire un teatro in legno lungo il canale della Mojka, tra la prospettiva Nevskij e la Bol’šája Konjùšennaja12, ma sappiamo che Anna, dopo il ritorno a San Pietroburgo, decise di abbatterlo e il 5 aprile 1734 firmò un decreto per l’edificazione di una sala teatrale all’interno del complesso del Palazzo d’Inverno, allora in costruzione13. Possiamo quindi pensare che nel 1733 i comici utilizzassero il 'vecchio' teatro di Pietro I, anche se non si può escludere che questo fosse così mal ridotto da costringerli a recitare su una scena mobile allestita nel Palazzo d’Inverno o in altri palazzi privati14. Verosimile potrebbe inoltre essere una soluzione ‘mista’: che le scene mobili fossero utilizzate nella bella stagione nei giardini del Palazzo d’Estate, dove sappiamo che, negli stessi anni in cui si lavorava alla sala nel Palazzo d’Inverno, venne costruito un apparato teatrale su progetto di Giovanni Antonio Guerra e Carlo Gibelli, due nominativi che ritroviamo nel rendiconto amministrativo di Avolio alle date di maggio 173415. Le prime testimonianze relative all’uso della sala interna al Palazzo d’Inverno risalgono invece al 1735, quando la compagnia che comprendeva Antonio Sacco aveva già lasciato la Russia; la descrizione del nuovo teatro, progettato da Francesco Bartolomeo Rastrelli e realizzato dal mastro falegname Johann Christoph Göring, esula quindi dal nostro argomento, ma possono comunque risultare interessanti alcune annotazioni fatte da ospiti stranieri, in quanto forniscono informazioni relative alle modalità di ricezione degli spettacoli ed è facilmente ipotizzabile che l’atteggiamento del pubblico fosse la stesso di quando vi recitava Sacco. In particolare vengono evidenziati il prestigio di poter disporre di comici italiani e le ingenti spese sostenute dalla corte per mettere in scena le commedie. Karl Rejnhold Berk, ad esempio, un svedese giunto espressamente per visitare la nuova capitale nel 1735, ricorda che:

Gli spettacoli sono italiani; quando sono allestiti secondo l’ordine normale, cioè due volte alla settimana, allora vengono rappresentati una commedia e un intermezzo alternativamente. Tutti gli attori sono buoni, come anche i ballerini e i musicisti. Questo, perché hanno cominciato col proporre degli spettacoli italiani, la cui lingua è comprensibile solo a pochissimi (sebbene l’imperatrice ordini sempre di trasmetterle il contenuto dell’opera in russo). C’è stata la compagnia italiana del re Augusto II, da lui mandata a Mosca per svagare l’imperatrice. E siccome queste buffonerie hanno molto divertito la corte, dall’Italia, dove, come a Vienna, ci sono buoni musicisti, castrati e cantanti di altro genere, hanno scritturato una propria troupe. Per gli stipendi e i costumi teatrali di questa compagnia si spende ogni anno una somma considerevole, alla quale coloro che frequentano gli spettacoli non contribuiscono neppure in minima parte16.

Anche Peter von Haven, presente a San Pietroburgo tra il 1736 e il 1737, dà indicazioni interessanti, in particolar modo su Anna:

L’imperatrice che, a causa del freddo, non poteva più svagarsi con il tiro – arte in cui nessuno le è pari e con la quale d’estate a Petergof si svagava quasi quotidianamente – si riposava allora, presenziando con la sua corte ogni volta che venivano rappresentate opere, commedie e intermezzi. Potevano frequentare il teatro a loro piacimento sia ogni straniero decentemente vestito, sia i cittadini più in vista di San Pietroburgo; questo, oltre a tutto, senza pagar nulla: bastava arrivare in orario, prima che la sentinella ricevesse l’ordine di non far entrare più nessuno17.

Per quanto riguarda i componenti della compagnia e il repertorio disponiamo di dati decisamente più attendibili. Dal manoscritto di Avolio sappiamo che, oltre ad Antonio Sacco, ne facevano parte Alessandra Stabili18, Ferdinando Colombo19, Giovanni Antonio Guerra20, Gasparo Janeschi21, Giovanni Piantanida22 e la moglie Costanza23, Pietro Pertici24, Carlo Gibelli25, Antonia Franchi Sacco26, Pietro Mira27, Adriana Sacco28. A questi vanno aggiunti Luigi e Antonio Madonis29, Gaetano Sacco30 e la moglie Libera31, Anna Caterina Sacco32, Antonio Fioretti33, Francesco Ermano34, Ieronimo Ferrari35, Domenico Zanardi36. Tra gli attori menzionati da Avolio troviamo anche un non identificato Kandake37, mentre nell’elenco dei passaporti compaiono Giovanni Porazisi e Camillo Ganzaga, le cui identità risultano sconosciute38. Lo studioso russo Nikolaj Fedorovich Findejzen cita anche i nomi di Antonio Piva e di Bernardo Vulcano con la moglie Elisabetta39, ma il loro arrivo in Russia risale alla primavera del 173540.

Il nucleo comico della compagnia può dirsi sostanzialmente formato dalla famiglia Sacco e da attori che facevano parte della formazione da almeno tre anni e che conosciamo grazie ai documenti relativi alle loro scritture presso il Teatro del Cocomero di Firenze.41 Troviamo infatti presenti un capocomico (Gaetano Sacco), un innamorato (Ieronimo Ferrari, detto Silvio), tre innamorate (Antonia Sacco, detta Beatrice, Libera Sacco e Anna Caterina Sacco), un vecchio (Antonio Fioretti, Pantalone), una servetta (Adriana Sacco, detta Smeraldina) e due zanni (Domenico Zanardi e Antonio Sacco). Le altre parti di innamorato potevano essere coperte da Francesco Ermano e Pietro Pertici, il quale poteva anche cantare negli intermezzi insieme a Pietro Mira e Alessandra Stabili. Rimarrebbe scoperto il ruolo di secondo vecchio o Dottore, ma non possiamo escludere che fosse interpretato da Ferdinando Colombo. La debolezza della compagnia nel ruolo del Dottore può essere spiegata con il fatto che investire risorse economiche e drammaturgiche in questo personaggio non sarebbe risultato conveniente, in quanto una comicità basata sull’ampollosità verbale avrebbe difficilmente superato la barriera linguistica che separava attori e spettatori.

Nelle memorie dello svedese Berk, citate precedentemente, si fa cenno alla disposizione impartita dalla zarina di trasmettere il contenuto delle opere in russo per consentire al pubblico di seguire la trama delle commedie e apprezzare più facilmente la perizia degli attori fatti giungere dall’Italia. L’incarico della stampa fu affidato alla Tipografia dell’Accademia delle Scienze, che produsse 200 copie di fascicoli molto sottili e di piccolo formato, contenenti le traduzioni degli scenari degli spettacoli messi in scena a San Pietroburgo dalle compagnie italiane tra il 1733 e il 1735.42 Si tratta dei testi raccolti e pubblicati nel 1917 da Peretc, che comprendono trenta commedie (quattordici rappresentate nel 1733, dodici nel 1734, quattro nel 1735), una tragicommedia (rappresentata nel 1735) e 10 intermezzi (tre rappresentati nel 1733, cinque nel 1734, uno nel 1735 e uno non datato).43 L'interesse verso questi documenti non riguarda solamente l'accertata presenza di Antonio Sacco come interprete della parte di Arlecchino relativamente alle commedie allestite nel 1733 e nel 1734, ma è la loro stessa forma testuale a fornire fertili spunti per la conoscenza e l'analisi del repertorio delle compagnie comiche della prima metà del Settecento.44 Ci troviamo infatti di fronte a scenari molto diversi da quelli contenuti in altre raccolte del XVII e del XVIII, proprio perché la loro destinazione d’uso non era quella quella di fungere da strumento di lavoro per gli attori, bensì di facilitare la comprensione dello spettacolo da parte del pubblico. È ad esempio sempre presente un esaustivo 'argomento', che espone gli antefatti necessari a seguire la trama, mentre è limitato il ricorso a termini tecnici, in favore di una maggiore distensione verbale nella descrizione dell’evolversi dell’azione. Abbiamo perciò a che fare con canovacci più estesi e particolareggiati dei tradizionali canovacci della commedia dell’arte, con una particolare attenzione a indirizzare l'attenzione degli spettatori verso la mimica e la gestualità degli attori, che erano del resto gli elementi determinanti per la comunicazione con il pubblico e la buona riuscita dello spettacolo.

L’esistenza di questi documenti testuali e la loro particolare natura permette quindi di procedere all'analisi delle scelte di repertorio della compagnia e delle caratteristiche della recitazione di Sacco, che come interprete del personaggio di Arlecchino si pone come protagonista assoluto della raccolta. Il contesto di questa pubblicazione non consente di presentare la traduzione delle singole commedie e il relativo commento, ma attraverso una di queste possiamo comunque notare come i riferimenti principali adoperati dalla compagnia per esportare il fenomeno della commedia dell'arte in Russia si rifacessero al collaudato modello rappresentato dalle esperienze dei comici italiani che operarono a Parigi nel corso del XVII secolo. Le maggiori analogie con l'Arlecchino di Sacco sono infatti riscontrabili confrontando le commedie delle raccolta Peretc con gli appunti scenici di Giuseppe Domenico Biancolelli. I dati più interessanti emergono tuttavia dalle differenze tra i due zanni, differenze dalle quali traspare come già all'età di venticinque anni Antonio Sacco fosse consapevole che il segreto del suo successo personale e della sopravvivenza stessa della forma di produzione spettacolare della quale si considerava erede passasse necessariamente dalla capacità di porsi come autore del proprio personaggio, rendendolo unico, facilmente riconoscibile e inimitabile, come nei secoli precedenti avevano fatto Tristano Martinelli e lo stesso Biancolelli.

I quattro Arlecchini
, come indica il titolo, vede come protagonista lo zanni, del quale sono innamorati i tre personaggi femminili. Ciò che più marcatamente segna questo spettacolo è l'elemento del travestimento, ma a differenza di altri scenari rappresentati a San Pietroburgo non è Arlecchino a farne ricorso, in quanto sono gli altri personaggi ad assumere le sembianze dello zanni per condurre a buon esito le loro trame amorose. La decisione di calarsi nei panni di Arlecchino non è però frutto della loro sagacia o degli interessati consigli di Brighella, ma viene suggerita da un mago «il quale promette di farli diventare degli Arlecchini, in modo tale che grazie a ciò possano ottenere in moglie le proprie amate». La necessità dell’intervento dello stregone sta anzitutto a significare che il personaggio di Arlecchino possiede degli attributi magici, se non demoniaci, senza i quali è impossibile anche solo ipotizzare di prenderne le forme. È altresì interessante notare come, oltre a Silvio, Odoardo e Brighella, nel travestimento sia coinvolto anche uno spirito evocato dallo stregone, la cui presenza si rivela determinante per caratterizzare la dimensione infernale del travestimento stesso. La natura sinistra del personaggio è del resto confermata dalle scene immediatamente successive, nelle quali il mago, dopo avere annunciato il decesso dello zanni, mostra a Brighella «uno spirito con le sembianze di Arlecchino con altri spiriti che lo adagiano a terra e se ne vanno». Dalla propria apparente morte Arlecchino ricava inoltre una nuova occasione di comicità, in quanto «avendo visto uno con le sue sembianza giacere per terra, si impaurisce e vedendosi vivo non riesce a capire in che modo il suo corpo sia morto». Un aspetto vagamente inquietante ha anche la scena iniziale del terzo atto, nella quale lo zanni, dopo aver bussato «ai quattro angoli della scena» alla ricerca di Smeraldina, vede comparire i quattro finti Arlecchini che lo circondano e «tutti insieme non gli fanno aprir bocca e ognuno di loro dice di essere il vero Arlecchino».

La morte di Arlecchino è un elemento che ricorre in tutto lo spettacolo, anche prima dell’episodio del travestimento. Uccidere il rivale e riscuoterne la taglia è infatti il proposito di Brighella, che «con armi di svariato tipo domanda ad Arlecchino in che modo preferisca morire». Una prima volta lo zanni viene salvato dal duplice intervento di Diana e Aurelia, che accorrono alle sue richieste di aiuto e riescono a mettere in fuga l’assalitore. In seguito Brighella tenta di strangolarlo con una corda, ma Arlecchino, dimostrando un’astuzia non comune rispetto alle altre commedie della raccolta, riesce a ingannarlo «dicendo di conoscere un segreto grazie al quale, pronunciando alcune parole, egli sputa soldi». La dimostrazione dei suoi poteri fornisce inoltre ad Arlecchino l’occasione per cimentarsi in «molti lazzi propri del teatro», che purtroppo non è specificato in cosa consistano. Il tema della morte viene utilizzato da Arlecchino anche nelle scene d’amore con Smeraldina, seppure con toni privi di ogni violenza. Di fronte all’ostinata gelosia della servetta, Arlecchino minaccia infatti di uccidersi e non riuscendo a commuoverla «finge di essersi colpito con la spada e cade su di essa gridando: Sono morto». Non appena però Smeraldina accenna al piatto di maccheroni che ha preparato per cena e che ora non sa a chi dare, «Arlecchino fa un salto dicendo che li avrebbe mangiati lui», confermando quindi come l’impulso primario del personaggio sia quello della fame.

L’altra caratteristica peculiare della commedia è che Arlecchino, senza nessuna indicazione che ne spieghi i motivi, è l’oggetto del desiderio di tutti i personaggi femminili. Se la relazione con Smeraldina è una costante di quasi tutte le commedie rappresentate a San Pietroburgo, i sentimenti espressi nei suoi confronti dalle due innamorate rappresentano invece un caso unico. Sia Diana che Aurelia nutrono verso di lui un amore talmente grande da non curarsi delle convenzioni sociali e della volontà dei genitori, che non credono neppure possibile che le proprie figlie possano provare «un sentimento tanto basso». La mancanza di interesse da parte di Arlecchino verso di loro porta inoltre a pensare che anche le due giovani siano vittime di una sorta di incantesimo, ammantando quindi lo zanni di un’ulteriore aura magica. Al contrario il suo rapporto con Smeraldina presenta caratteristiche più regolari e quasi borghesi. Oltre alla gelosia della servetta verso le rivali-padrone, la loro vicenda è infatti scandita dal fidanzamento, dopo il quale la giovane «non può venir meno alla parola data», e dai progetti per il futuro, secondo i quali lo zanni ha «deciso di portare Smeraldina nella propria terra e di vivere là in pace insieme a lei». Questa affermazione ci informa anche che lo zanni è uno straniero, giunto in città per lavorare come servitore.

All’ambito sociale fa riferimento un ulteriore elemento distintivo dell’Arlecchino di questa commedia, ovvero la professionalità con la quale egli svolge il suo lavoro presso Pantalone. Nelle scene iniziali, ad esempio, lo zanni «esce di corsa e si mette dalla parte del padrone» che sta rimproverando Silvio e Brighella perché infastidiscono la figlia. Il vecchio è poi la prima persona alla quale Arlecchino dà la notizia del suo fidanzamento con Smeraldina, informandolo anche «dell’amore che la figlia prova per lui in modo da mostrarsi fedele nei suoi confronti». La reazione di Pantalone non è però quella che egli si aspetta, in quanto il padrone reputa l’infatuazione della figlia come un affronto del quale Arlecchino è responsabile e per questo il servitore viene picchiato e cacciato via di casa.

In una pièce nella quale il personaggio presenta attributi in parte difformi da quelli delle altre commedie della tournée, Arlecchino trova comunque l’occasione per mostrare la propria agilità. In preda alla disperazione per l’ingresso dello spirito travestito in casa della fidanzata, lo zanni decide infatti di arrampicarsi e salire dalla finestra, dando così vita ad una performance che a San Pietroburgo sarà ripetuta in numerose altre commedie e che deve essere quindi catalogata a pieno titolo nel repertorio artistico di Antonio Sacco.

La commedia dei Quattro Arlecchini fu tra quelle che riscossero il maggior successo in Russia, tanto che venne replicata per due volte nel 1734. Nel rendiconto di Avolio si trovano infatti annotate alle date del 25 maggio e del 18 agosto le spese relative alla sua messinscena45. È interessante notare come la lista delle ‘robbe’ per i due allestimenti non sia la stessa, indicando quindi delle possibili variazioni o aggiunte che rendono evidente il gioco d’improvvisazione usato dalla compagnia nel caso di rappresentazioni ravvicinate della stessa opera.
Una commedia dal titolo Les quatre Arlequins fa parte del repertorio della compagnia dell’Ancien Théâtre Italien ed è quindi possibile confrontare lo spettacolo portato dalla troupe di Antonio Sacco a San Pietroburgo con gli appunti di Domenico Biancolelli relativi alle parte di Arlecchino da lui interpretata a Parigi46. La somiglianza più forte riguarda il rapporto dello zanni con le donne, che in entrambe le opere rivolgono a lui tutte le loro effusioni sentimentali. Identica è ad esempio la sequenza delle scene iniziali, con la rassegna dei tre personaggi femminili innamorati di Arlecchino, che nella commedia parigina rispondono ai nomi di Eularia, Aurelia e Diamantine. Delle differenze si notano però nell’atteggiamento del protagonista, che in Biancolelli appare più smaliziato e interessato alle attenzioni femminili. Nell’incontro con Eularia, Arlecchino di Biancolelli appare infatti già consapevole dell’infatuazione della giovane e si lamenta «d’avoir receu un soufflet d’Octave» per farsi accarezzare da lei, motivando poi il rifiuto al suo invito ad appartarsi solo perché «cette proposition me fait rougir». Il personaggio di Sacco nella stessa situazione si dimostra invece indifferente ai tentativi di Diana «di esprimergli la sua passione», come se non potesse non solo trarre piacere ma neanche ipotizzare di essere egli stesso l’oggetto del suo desiderio: è talmente inebetito dalla profferta amorosa che «non capendo nulla ride». Quando poi la ragazza dichiara direttamente i propri sentimenti nei suoi confronti, Arlecchino non si trincera dietro la sua timidezza ma «comincia ad accusarla e a minacciarla di dire tutto al padre di lei».

La sequenza si chiude in entrambi in casi con la scenata di gelosia della servetta e la conseguente prova di fedeltà dello zanni che simula parodicamente il suicidio. Nella versione di Biancolelli si assiste però ad una proliferazione delle giustificazioni adottate da Arlecchino per ritardare il momento in cui togliersi la vita, motivata anche dal fatto che Diamantine gli procura due strumenti con i quali uccidersi, «une espée et une corde», mentre nello scenario russo rimane solo la spada. La riduzioni delle occasioni comiche è tuttavia bilanciata dalla partecipazione alla scena del personaggio di Silvio, che «vedendo che Arlecchino si vuole uccidere, gli toglie la spada dicendo che è lui che deve morire» per rinfacciare a Diana il suo amore non corrisposto, ponendo così a diretto confronto l’innamorato con la sua caricatura parodica. Nel prosecuzione della stessa scena viene infatti indicato che «Arlecchino si fa da parte per vedere» e poi che «sta per imitarlo». Questa differenza tra le due versioni, seppur di lieve entità, sta a significare che il personaggio interpretato da Antonio Sacco possiede una minore capacità di accentrare su di sé i momenti comici, ma sia al tempo stesso più consapevole delle dinamiche che ne sono all’origine e tenda quindi a coinvolgere maggiormente i propri compagni nell’azione. La motivazione più plausibile può essere ricercata nella minore esperienza e nel minor carisma dell’ancor giovane Sacco rispetto al già affermato Biancolelli, ma non si può tuttavia escludere che fosse la natura stessa dei destinatari, poco avvezzi alle convenzioni della commedia dell’arte e alle diverse tipologie dei personaggi, a richiedere una messinscena più esplicita e didascalica, senza la quale sarebbe stato più difficile per gli attori coinvolgere il pubblico ed attivarne il riso. Che la ricerca della partecipazione degli spettatori da parte di Biancolelli fosse indispensabile e al tempo stesso più semplice è inoltre confermato dai suoi stessi appunti, nei quali si legge che «je demande à la cantonnade s’il n’y a personne qui veuille me passer mon espée à travers le corps, sans me faire de mal».

Delle differenze si notano anche nel rapporto tra Arlecchino e la servetta: se in Sacco abbiamo notato un atteggiamento molto affettuoso e pseudoborghese tra lo zanni e Smeraldina, i termini della relazione tra l’Arlecchino di Biancolelli e Diamantine appaiono meno impegnativi e più ricchi di doppi sensi erotici. Al posto del «pegno per il matrimonio» troviamo infatti un meno vincolante «nous nous raccommodons», mentre il programma di trasferirsi e portare la futura sposa a vivere nel proprio paese è sostituito dalla notizia che Diamantine «s’est moquée de moy». La zuffa nel finale del primo atto, nella quale Diana e Aurelia «essendo rivali si mettono a litigare fra di sé volendo ognuna avere Arlecchino» e che viene interrotta solo dalla comparsa di Smeraldina, nella versione francese contempla anche la partecipazione di Diamantine, con lo zanni che assiste divertito e commenta come «le proverbe est bien vray, que les chiens se battent pour un os et le femmes pour un nerf». L’Arlecchino di Biancolelli si dimostra altresì disposto a rinunciare all’amore di Diamantine e a cederla al rivale Trivelin pur di aver salva la vita, «sans y rien pretendre», confermando così il diverso atteggiamento nei confronti della fidanzata.

Dei cambiamenti si avvertono anche nel modo di porsi di Arlecchino rispetto a Pantalone: quello che nella commedia rappresentata a San Pietroburgo è un rapporto improntato alla lealtà e alla consapevolezza del divario sociale tra padrone e servitore, nella precedente versione francese assume toni più burleschi e antagonistici. Non è più il vecchio a cacciare di casa lo zanni e a prenderlo a bastonate dopo aver scoperto l’infatuazione della figlia, ma è Arlecchino stesso che, accusato d’essere «fol de m’imaginer qu’il me donne sa fille en mariage, a moy, qui suis son vallet», decide di presentare le dimissioni, vantando un’eredità la cui riscossione lo rende adesso «egal à luy» e pretendendo inoltre di riscuotere immediatamente la paga.

Per quanto riguarda il tema del travestimento, dagli appunti di Biancolelli non è possibile sapere se anche la commedia rappresentata a Parigi prevedesse l’intervento dello stregone47, ma alcuni elementi lasciano comunque supporre la presenza di una componente magica. Nel finale del secondo atto infatti lo zanni si trova al cospetto di un «Arlequin butor ou niais» che è «censé mort» e che costituisce l’equivalente dello «spirito» dello spettacolo interpretato da Sacco. La reazione del personaggio di Biancolelli alla vista di quello che crede essere il suo corpo privo di vita è di improvvisare un rito funebre con «deux pommes dans chacune desquelles il y a un bout de chandelle» per poi rientrare «avec des estoupes que j’allume sous l’Arlequin butor». Il testo dello scenario pietroburghese si limita ad indicare che Arlecchino «si mette a fare un lazzo buffo con quello spirito», senza però specificare di cosa si tratti. Tra le spese relative all’allestimento del 25 maggio 1734 si trovano tuttavia annotate «delle mele, delle arance e della stoppa», il che porta ad ritenere che Sacco possa averle utilizzate per proporre lo stesso lazzo descritto da Biancolelli48. Non risulta invece rintracciabile il lazzo che apre il terzo atto della commedia parigina, nel quale Arlecchino suona con la chitarra una serenata per Diamantine, con il sosia che ripete come un’ombra i movimenti dell’originale. Il successivo ingresso in scena degli altri Arlecchini, momento culminante dello spettacolo, non consente purtroppo di stabilire paragoni tra le due versioni, in quanto lo scenario russo non specifica in cosa consistano i «molti lazzi» ai quali lo zanni costringe i suoi imitatori e la «buffa scenetta» che ne deriva. Alcune suggestioni si possono tuttavia trarre dagli appunti di Biancolelli, che descrivono una lunga scena basata su acrobazie, movimenti coreografici e sul contrasto tra l’agilità dell’Arlecchino autentico e la goffaggine della copia «qui se remue tres lourdement».

L’elemento che più rende distanti le due versioni, nella cornice comunque di una sostanziale affinità, è l’importanza che il finale riserva allo scioglimento della trama amorosa. Nella commedia interpretata da Sacco le ultime scene vedono infatti Diana e Aurelia condurre nelle proprie case gli innamorati sotto le sembianze di Arlecchino, mentre lo spirito approfitta della distrazione dello zanni per entrare da Smeraldina. All’arrivo dei vecchi, ognuno dei finti servitori si affaccia dalla finestra e risponde di essere lì con la propria moglie, generando lo stupore degli interlocutori e innescando un litigio tra le donne che solo l’intervento chiarificatore dello spirito, che «racconta della stregoneria fatta per ottenere in mogli le figlie dei vecchi», riesce a placare. Negli appunti di Biancolelli invece, lo zanni entra in casa di Diamantine con i sosia che lo seguono ed «entrent aussy» e poi si affacciano per rispondere a Pantalone e al Dottore che il vero Arlecchino «c’est moy, ces coquins ne sont que des bastards». La soluzione della vicenda e i matrimoni non sono nemmeno accennati, come se il personaggio interpretato da Biancolelli non ne facesse parte o comunque l’elemento non meritasse di venire segnalato. Questo dato, in linea con quanto abbiamo notato a proposito della diversa natura del rapporto tra lo zanni e la servetta, pare quindi confermare come la compagnia di Antonio Sacco, pur all’interno di uno spettacolo basato sul ruolo centrale di Arlecchino, preferisse puntare su una maggiore organicità dell’azione, mantenendo una struttura drammaturgica più forte alla quale ancorare i lazzi. Se il canovaccio di Biancolelli «non potrebbe essere più indicativo dell’estensione della parte del servo balordo in trame che vanno sfilacciandosi, mentre si dissolve l’equilibrio originale della Commedia dell’Arte»49, la versione interpretata da Sacco si pone come un tentativo di fornire al personaggio di Arlecchino un’identità più chiara e definita, anche a scapito di limitarne le evoluzioni più virtuosistiche.

È inoltre da segnalare, nella raccolta della Biblioteca Nazionale di Napoli, l’esistenza di un canovaccio dal titolo di Quattro Pollicinelli simili50. La trama è praticamente identica a quella dello spettacolo rappresentato in Russia, ma gli unici due particolari che se ne discostano sono comunque indicativi delle differenze tra il personaggio interpretato da Sacco e il Pollicinella della raccolta napoletana. Nello scenario del Casamarciano il primo incontro tra il protagonista e la servetta, che in questo caso risponde al nome di Rosetta, non prevede infatti la scena del finto suicidio del protagonista, che come abbiamo notato offre ad Arlecchino lo spunto per allargare la propria gamma comica includendovi la parodia del ruolo dell’innamorato. L’altra divergenza riguarda più prettamente lo stile comico del personaggio: per sfuggire all’aggressione da parte di Coviello, che nella commedia napoletana assume lo stesso ruolo di Brighella, Pollicinella ricorre a un lazzo scatologico, dicendo di «volere vacuare prima di morire», mentre nella stessa situazione Arlecchino riesce ad ingannare il rivale abusando della sua credulità, sostituendo quindi la volgarità con l’astuzia.

Ricca d’interesse si rivela infine l’analisi delle riprese settecentesche del soggetto ad opera della compagnia del Nouveau Théâtre Italien, in quanto permette di porre a confronto due diversi esempi di rapporto con la tradizione dell’improvvisa. Lo spettacolo portato in Russia dai Sacco si dimostra infatti più fedele ai due canovacci che abbiamo esaminato, entrambi risalenti al XVII secolo, di quanto non lo siano le coeve rappresentazioni francesi. Nell’estratto di Les quatre Arlequins, commedia rappresentata il 4 ottobre 1716 a Parigi, sembra ad esempio esclusa la presenza dello stregone e l’attrazione principale è costituita dagli spericolati lazzi acrobatici dell’Arlecchino Tommaso Vicentini, che «faisait, en dehors, le tour de premières, secondes e troisièmes loges»51, una scena che risulta assente nelle versioni precedenti così come in quella interpretata da Antonio Sacco nel 1734. Ancora più distante e ormai non assimilabile agli altri canovacci è l’adattamento portato in scena il 5 marzo 1733 con il titolo di Les quatre semblables. La commedia, interamente scritta in francese e in versi da Pier Francesco Biancolelli, pur derivando da una «ancienne piéce Italienne jouée en 1716»52, abbandona infatti il tema del travestimento per quello degli equivoci, strutturandosi quindi sul modello plautino dei Menaechmi.




NOTE
1 Per limitarsi agli interventi più recenti, si vedano C. Alberti, Tipologie dell'attore goldoniano, in “Sipario”, 537, 2003, pp. 82-89; G. Herry, Carlo Goldoni. Biografia ragionata (1707-1744), Marsilio, Venezia 2007; L. Riccò, “Parrebbe un romanzo”. Polemiche editoriali e linguaggi teatrali ai tempi di Goldoni, Chiari, Gozzi, Bulzoni, Roma 2000; A. Scannapieco, Carlo Gozzi, la scena del libro, Marsilio, Venezia 2006; P. Vescovo, Il repertorio e la “morte dei sorzi”. La compagnia di Antonio Sacchi alla prova, in “Problemi di critica goldoniana”, XIII, 2007, pp. 141-153.
2
C. Goldoni, Mémoires, in Opere complete, Edizioni del Municipio di Venezia, t. XXXVI, Venezia 1946, p. 184.
3
Cfr. F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani che fiorirono intorno all'anno 1550 fino a' giorni presenti, Conzatti, Padova 1781-1782, vol. II, p. 143.
4
V. N. Peretc, Italianskija komedii i intermedii predstavlennyja pri dvore Imperatricy Anny Ioannovny v 1733-1735 gg. Teksty, Imperatorskaja Akademija Nauk, Petrograd 1917.
5
L. M. Starikova, Novye dokumenty o dejatel’nosti ital’janskoj truppy v Rossii v 30-e gody XVIII v. i russo ljubitel’skom teatre etogo vremeni, in “Pamjatniki kul’tury. Novye otkrytija. Ežegodnik ANSSSR za 1988 god”, 1989, pp. 80-92.
6
Cfr. Id., Teatral'naja zizn' Rossii v epohu Anny Joannovny: dokumental'naja hronika 1730-1740, Radiks, Moskva 1995, pp. 259-260.
7
M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), Bulzoni, Roma 2000.
8
La compagnia che recitò nel 1730 al Cremlino, era guidata da Tommaso Ristori e comprendeva sua moglie Caterina, Cosimo Ermini con la moglie Margherita, Andrea Bertoldi con la moglie Marianna, Filippo Fantasia con la moglie Rosaria, Natale Bellotti, Carlo Malucelli, Luca Caffani, Giovanni Verder, Francesca Dima. Sulla composizione del gruppo e sulla trattativa per il loro reclutamento, cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 21-43. A titolo di confronto è interessante notare che per ogni giorno di residenza a corte gli attori ricevettero un rublo a testa, al quale si devono aggiungere 3000 rubli che l’Imperatrice concesse a conclusione del ciclo di recite e che furono spartiti in base alle gerarchie interne alla compagnia.
9
Di questa formazione facevano parte anche i citati Domenico Dreyer e Giuseppe Avolio (cfr. ivi, p. 41).
10
«La semaine dernière, le maître de chapelle impérial russe Domenico Draire [sic] est parti d’ici pour Pétersbourg, avec trent-deux musiciens vocaux et instrumentaux au service de l’impératrice russe». La notizia, risalente al 10 marzo 1733, fu pubblicata dallo “Stockholms Post-Tidninger”, n. 14, 1733 ed è riportata in R. A. Mooser, Annales de la musique et de musiciens en Russie au XVIII siecle. Des origines a la mort de Pierre III, 1762, Mont-Blanc, Genève 1948, pp. 99-100.

11 Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 45. Può essere interessante notare come la somma riservata ai comici italiani, che potrebbe anche escludere il loro ingaggio, equivaleva a 350 chili di argento, a fronte del salario mensile di un solo rublo concesso pochi anni più tardi dall’Imperatrice Elisabetta ai lavoratori addetti alla costruzione del Palazzo d’Inverno (cfr. D. O. Svidovskij, St. Peterburg. Architecture of the Tsars, Abbeville, New York 1996).
12 Cfr. E. Lo Gatto, Storia del teatro russo, Sansoni, Firenze 1952, vol. I, p. 136.
13 Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 18.
14 È quello che successe a Mosca alla compagnia italiana reclutata alla corte di Federico Augusto I: pur disponendo di un teatro nella Piazza Rossa, Anna ordinò di abbatterlo e di costruirne uno nuovo, ma poiché all’arrivo dei comici i lavori non erano ancora finiti, fu approntata una scena mobile, da spostare da una sala del Cremlino ad altri palazzi moscoviti (cfr. ivi, pp. 36-37).
15 La notizia relativa al Palazzo d’Estate è riportata in E. Lo Gatto, Gli artisti italiani in Russia. Gli architetti del secolo XVIII a Pietroburgo e nelle tenute imperiali, a cura di A. Lo Gatto, Scheiwiller, Milano 1993, p. 48. Il 18 maggio 1734 troviamo annotato, relativamente alla commedia della cosiddetta Tartana: «pagati a Guerra per piccole spese in teatro: per dei chiodi, delle cassette, della tela, della carta rossa e gialla, della colla, dei cerchi, del tessuto colorato di rosso: rubli 8 copeche 15 / per dei cerchi, degli aghi per cucire le maschere e gli abiti da gigante: copeche 85 / per della carta da imballaggio e la confezione dei berretti da gigante: copeche 35 / per dell’altra carta e dei nastri semplici: copeche 72 / per delle melarance, delle mele ecc.: copeche 30 / per 12 bicchieri, della stoppa, un gatto, un gallo e le gabbie: rubli 2 copeche 25». Il 25 maggio vengono «pagati a Carlo Gibelli per la commedia della nascita di Arlecchino: rubli 20» (cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 272-273).
16 Il brano, tratto da J. N. Bespjatych, Peterburg Anny Ioannovny v inostrannych opisanijach, BLIC, Sankt Peterburg 1997, p. 145, è riportato in traduzione in Marialuisa Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 71-72.
17 Ibidem.
18 Alessandra Stabili è catalogata come cantante in C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, indici II, Bertola e Locatelli, Cuneo 1994, p. 619. La sua attività è segnalata a Firenze e Pistoia fino al 1732.
19 Bartoli ricorda come Ferdinando Colombo «recitò in Moscovia». Specializzato nella maschera di Arlecchino, riuscì ad ottenere successo in molte città, ma mai a Venezia, dove non riuscì a reggere il confronto con Antonio Sacco. Possedeva anche abilità drammaturgiche di carattere serio e romanzesco, senza tuttavia dare alle stampe alcuna opera (cfr. F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, cit., t. I, p. 177-178).
20 La presenza di Guerra in Russia è attestata fin dal 1731, con eclettiche competenze di macchinista, cantante, compositore e musicista. Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 272.
21 Gasparo Janeschi, o Taneschi, viene scritturato come violoncellista nella troupe del 1731 per Mosca, ma non rientra a Varsavia insieme ai suoi compagni. Cfr. ivi, pp. 32 e 42.
22 Giovanni Piantanida, violinista fiorentino, rimase in Russia fino al 1737. Cfr. ivi, p. 272
23 Costanza Piantanida, detta La Pusterla, cantante bolognese. Cfr. ibidem.
24 Su Pietro Pertici, comico e cantante, cfr. G. Cicali, Il buffo internazionale. Sulle tracce di Pietro Pertici, in “Problemi di critica goldoniana”, XII, 2005, pp. 5-50.
25 Carlo Gibelli, macchinista e scenografo, rimase in Russia almeno fino alla fine del 1735. Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 52 e 65.
26 La moglie di Antonio, figlia di Elisabetta Franchi, specializzata nelle parti di donna seria con il nome di Beatrice (cfr. F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, cit., t. II, p. 142-143). Compare nei documenti con il nome di Nina Sacco (cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 274-275).
27 Pietro Mira, musicista e buffone preferito dall’imperatrice, era in Russia già dal 1732. Cfr. ivi, p. 75.
28 La sorella di Antonio, specializzata nelle parti di servetta con il nome di Smeraldina, compare nei documenti con il nome di Jana o Andrejan. Cfr. ivi, p. 48.
29 La presenza dei due violinisti è ricordata da Jakob von Stählin, un artista e studioso tedesco attivo alla corte di San Pietroburgo; cfr. ivi, p. 45.
30 Il nome del padre di Antonio non compare relativamente alle commedie rappresentate o ai passaporti di ritorno, ma viene citato in Sbornik imp. Russkago istoričeskago Obščestva, t. I, XII, Sankt Peterburg 1888, p. 744, dove è data notizia della sua morte il 4 luglio 1734 (cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 47). Tale dato conferma, anticipandola di un anno, l’affermazione di Bartoli secondo cui Gaetano Sacco «fu in Moscovia al servigio della gran Zara, ed ivi pose fine a’ suoi giorni nel 1735» (F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, cit., t. II, p. 149).
31 La madre di Antonio è citata nelle registrazioni relative ai passaporti rilasciati ai comici nel dicembre 1734 per il ritorno in Italia (cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 46).
32 Cfr. ibidem.
33 Anche il nome di Antonio Fioretti è registrato tra le pratiche relative ai passaporti; cfr. ivi, p. 48. Bartoli ricorda che «recitò da Pantalone con grazia, con studio, e con una vera ed indefessa attenzione» (cfr. F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, cit., t. I, p. 216).
34 Francesco Ermano aveva già fatto parte come amoroso della compagnia che recitò a Mosca. Rientrato a San Pietroburgo da Varsavia il 23 giugno 1732, rimarrà in Russia fino al 1746 (cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 48 e 285).
35 La presenza di Ieronimo [Girolamo] Ferrari è segnalata nel gennaio 1735, quando una parte della compagnia era già ripartita per l’Italia. Tuttavia, dato che una nuova compagnia di comici italiani arrivò a San Pietroburgo solo alcuni mesi più tardi e che Ferrari faceva già parte, con il nome di Silvio e la qualifica di amoroso, della compagnia di Gaetano Sacco al Teatro di via del Cocomero a Firenze nel 1730, possiamo dare come sicura la sua partecipazione alla compagnia a partire dal 1733. Cfr. ivi, pp. 48-49.
36 Per Zanardi valgono le stesse osservazioni fatte per Ferrari. Bartoli ricorda uno Zanardi, senza indicare il nome, «comico, che recitò valorosamente in questo secolo nella Maschera del Brighella, per la quale diede a divedere esser egli fornito di molto spirito, e d’una somma abilità. Si rese assai noto inventando una commedia intitolata: Arme, e Bagaglio, in cui intorno alla sua propria persona aveva tutto il bisogno onde apprestare una mensa lautamente imbandita» (cfr. F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, cit., t. II, p. 276).
37 Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 273.
38 Ivi, p. 49.
39 Cfr. N. F. Findejzen, Očerki po istorii muzyki v Rossii s drevnejšich vremen do konca XVIII veka, Moskva-Leningrad 1928-1929, t. II, n. 12.
40 Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., p. 49. La presenza di Antonio Piva a San Pietroburgo nel 1733 è da escludersi anche perché, pur facendo parte nel 1729 della compagnia di Gaetano Sacco, nell’estate di quell’anno risulta essere il capocomico della compagnia del teatro di San Luca di Venezia e si esibì al Teatro del Cocomero di Firenze. Cfr. Archivio Storico del Comune di Firenze, Fondo Teatro Niccolini, 9 (3521), Atti diversi degli anni dal 1713 al 1762, c. 54.
41 Per la composizione della compagnia di Gaetano Sacco nella stagione comica 1729/1730 si vedano i documenti conservati nel Fondo del Teatro Niccolini presso l'Archivio Storico del Comune di Firenze.
42 Circa l’autore delle traduzioni dei testi, gli studiosi russi hanno formulato diverse ipotesi nel corso di tutto il Novecento, indicando come più probabile esecutore Vasilij Kirillovic Trediakovskij (cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 66-70).
43 Per l'ordinamento e la numerazione dei testi, cfr. ivi pp. 58-60.
44 A tale proposito si veda P. Colombi, La Commedia dell’Arte alla corte di Anna Ioannovna (1733-1735), in “Il castello di Elsinore», IV, 1991, 11, pp. 43-61.
45 Cfr. M. Ferrazzi, Commedie e comici dell’arte italiani alla corte russa (1731-1738), cit., pp. 273 e 276.
46 Le annotazioni di Biancolelli relative a questa commedia si leggono in D. Gambelli, Arlecchino a Parigi. Lo scenario di Domenico Biancolelli, Bulzoni, Roma 1997, pp. 187-194. La trama di Les quatre Arlequins presentata in C. Parfaict, Histoire de l’Ancien Théâtre Italien depuis son origine en France jusqu’à sa suppression en l’année 1697, suivie des extraits ou canevas des meilleures pièces italiennes qui n’ont jamais été imprimées, Lambert, Paris 1753, pp. 192-205 non aggiunge purtroppo informazioni ulteriori in quanto riporta solamente le scene che vedono come protagonista lo zanni.
47 Il personaggio non è incluso nell’elenco degli «acteurs» ma, visto che in questo non compaiono neanche Cinthio e Trivelin, che invece sono presenti nel testo, l’elemento non risulta sufficiente ad ipotizzarne l’assenza.
48 L’ipotesi è rafforzata dal fatto che le mele e la stoppa non vengono menzionate nello scenario e quindi dovettero servire per uno dei lazzi non descritti dettagliatamente nel testo.
49 D. Gambelli, Arlecchino a Parigi. Lo scenario di Domenico Biancolelli, cit., p. 183.
50 Quattro Pollicinelli simili è il testo n. 61 del ms. XI.AA.40 (vol. II) ed è pubblicato in The commedia dell’arte in Naples. A bilingual edition of the 176 Casamarciano scenarios, a cura di F. Cotticelli, A. Goodrich Heck, T. Heck, Scarecrow, Lanham 2001, pp. 464-466.
51 Le notizie sulla commedia sono menzionate in C. Parfaict, Dictionnaire des théâtres de Paris, Rozet, Paris 1747, t. 4, pp. 319-320.
52 Ibidem.
 





Vedi il testo della commedia I quattro Arlecchini
 
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